LA LINGUA MISTERIOSA DELLA POESIA - Anna Spissu - Il poeta è un fingitore. E poi c’è il Natale

 

Anna Spissu


L’enunciazione di Fernando Pessoa è famosissima.

Il poeta è un fingitore.

Finge così completamente

Che giunge a finger che è dolore

Il dolore che davvero sente.

 

Cosa vuol dire in sostanza?  Di cosa sta parlando?

Prima di rispondere a queste domande farei un passo indietro, partendo proprio da una poesia di Pessoa che mi sembra illuminante:

 

Fra l’albero e il vederlo

dov’è il sogno?

Che altro arco di ponte vela

Dio…E io sono triste

per non sapere se la curva del ponte

è la curva dell’orizzonte…

 

Fra ciò che vive e la vita

da che parte scorre il fiume?

Albero di foglie vestito-

tra questo e l’Albero c’è un filo?

Colombe che volano- la colombaia

è sempre alla loro destra, o è reale?

 

Dio è un grande Intervallo,

ma fra che e che?...

Fra quel che dico e ciò che taccio.

Esisto. Chi mi vede?

Mi erro…E la colombaia elevata

è intorno alla colomba, o accanto?

 

E allora si potrebbe inventare un seguito: “Il poeta vede quello che è reale o finge di vederlo? Oppure lo sogna?”

Pessoa affida all’onirico il compito di essere una fonte primordiale, con il tumulto di sentimenti, sensazioni, incertezze, stramberie ma anche verità segrete che sono proprie del mondo dei sogni. 

Tutto questo, come un immenso magma in continuo movimento, abita nel cuore degli esseri umani, di qualsiasi essere umano, indistintamente.

Ma ecco arrivare il poeta fingitore che elabora e trasfigura la realtà, colui che non si limita soltanto a una semplice espressione di sentimenti.

Questa, dice Pessoa, è la natura dell’arte poetica, che se pure attinge a un magma è poi capace di trasformarlo, quando il poeta riesce a estrapolare parole e versi che rendono fruibile, vero, penetrante e possibilmente universale quello stesso magma.

Il poeta diventa quindi un tramite compiendo un’attività che va ben al di là della pura ispirazione.

Si avvicina il Natale e al di là della follia turbinosa e insensata di regali e luminarie, nessuno potrà certo negare che la Festa è stata istituita per la nascita di Dio, per il suo essere venuto al mondo. Questo è un fatto storico oggettivo che va al di là delle singole convinzioni religiose. Che uno sia credente oppure no il Natale porta già solo nella parola, la memoria di questo fatto originario della festività.

Seguendo la strada tracciata da Pessoa, se è vero che il poeta è un tramite quale sfida più ardua potrebbe esserci che cogliere con la poesia l’essenza della divinità in questo giorno così importante per la Cristianità?      

Ho fatto un po’ di ricerche, sono partita da lontano e sono arrivata alla conclusione, probabilmente sotto gli occhi di tutti, che tanto più forte era il convincimento della fede, tanto più la poesia si ritraeva per lasciare posto alla pura narrazione dei Vangeli, senza alcun quid novum che non fosse la ricerca di nuovi aggettivi mirati a ampliare la grandiosità (di per sé indescrivibile) dell’evento. Come se il poeta fingitore e tramite si trovasse davanti un muro talmente accecante da non poterlo nemmeno scalfire. In mezzo a questi versi celebrativi mi piace trascriverne alcuni in cui invece la poesia fa capolino:

 

Si scioglie l’inverno; una culla

è l’inizio di ciò che germoglia

inizia di nuovo la terra

principio del mondo è un bambino.

(Novalis 1772- Germania)

 

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Così

adorano le madri i piedini dei bimbi,

e baciano dove essi sono passati;

ma il tuo dolce bambino

era il tuo Dio davvero!

(Coventry Patmore 1823 – Regno Unito)

 

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Si vegliava sui monti. Erano pochi

pastori che vegliavano sui monti

di Giuda. Quasi spenti erano i fuochi.

(Giovanni Pascoli-1855- )

 

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Se in te semplicità non fosse, come

t’accadrebbe il miracolo

di questa notte lucente?

(Rainer Maria Rilke-1875- Repubblica Ceca)

 

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Splendono i cuori degli uomini; è l’aurora

del giorno dell’amore.

(Diego Valeri- 1887)

 

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Mio piccolo, dormi.

Sogna. Nei sogni umani la terra

ascende al cielo

(Wystan Hugh Auden-1907- Regno Unito)

 

Al contrario, quando il poeta fingitore si è allontanato da questa luce per avvicinarsi alla quotidianità la poesia ha ripreso fiato, scoprendo nella semplicità una dimensione più autentica del Natale.  

 

Così è nella poesia “Natale” di David Maria Turoldo

Ma quando facevo il pastore

allora ero certo del tuo Natale.

I campi bianchi di brina,

i campi rotti al gracidio dei corvi

nel mio Friuli sotto la montagna

erano il giusto spazio alla calata

delle genti favolose.

I tronchi degli alberi parevano

creature piene di ferite;

mia madre era parente

della Vergine,

tutte in faccende finalmente serena.

Io portavo le pecore fino al sagrato

E sapevo d’essere uomo vero

del tuo regale presepio.

 

E come dimenticare lo struggimento della poesia di Ungaretti che invece racconta della solitudine del Natale?

 

Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade

 

Ho tanta

stanchezza

sulle spalle

 

Lasciatemi così

come una

cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata

 

Qui

non si sente

altro

che il caldo buono

 

Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare. 

 

Come non sentire la forza del poeta fingitore e tramite che racconta la storia sconsolata nel momento in cui il senso della divinità è scomparso?

Tuttavia mentre scrivo queste ultime righe penso a quando, da ragazza, ho letto per la prima volta questa poesia. Ne avevo avuto tristezza allora, oggi rileggendo quel “caldo buono “e il “focolare”mi sembra invece che sarebbe desiderabile, nonostante la stanchezza, per tutte quelle persone la cui vita è distrutta dalle guerre. Come cambia il Natale.

 

Fernando Pessoa da “Il mondo che non vedo” Bur ed

Natale in poesia- antologia dal IV al XX secolo- Interlinea ed. 


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