INCROCI - Iolanda Cuscunà - Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro

 

Iolanda Cuscunà


Dopo che la luna fu immediatamente calata

Ti presi fra le braccia, morto

*

Un Cristo piccolino

A cui m’inchino

Non crocefisso ma dolcemente abbandonato

Disincantato

*

Mi sforzo, sull’orlo della strada

A pensarti senza vita.

Non è possibile, chi l’ha inventata questa bugia

*

Come un lago nella memoria

I nostri incontri

Come un’ombra appena

Il tuo volto affilato

Un’arpa la tua voce

E le mani suonano

Tamburelli

*

Rocco morto

Terra straniera, l’avete avvolto male

I vostri lenzuoli sono senza ricami

Lo dovevate fare, il merletto della gentilezza!

*

Rocco vestito di perla

Come il grigiore dei colli vicino al tuo paese

Mostrami la via che conduce

Non so dove

*

Nuovo anno

Arrivi

Teneramente

Ossequioso.


Amelia Rosselli 1953 




Si conobbero a Venezia, nella primavera del 1950, Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli e fu immediatamente l’incrocio di due anime diversissime eppure complementari. Amelia Rosselli aveva appena vent’anni, ma aveva già girato il mondo, mentre Rocco, che di anni ne aveva ventisette, non si era mai allontanato dall’Italia ma aveva già alle spalle una vita intensa: sindaco di Tricarico, aveva trascorso quarantacinque lunghi giorni in carcere a causa di un’accusa rivelatasi infondata. 

Al Convegno di Venezia intitolato “La Resistenza e la Cultura in Italia”, Amelia, figlia di Carlo Rosselli, antifascista ucciso dai fascisti, era stata avvicinata da “un giovane simpaticissimo” come ebbe poi a dire di Rocco e da quel momento la loro divenne un’amicizia assai intensa. Non importa qui concentrarsi sulla natura di questo legame, se sia stato un rapporto platonico o meno, ciò che importa davvero è comprendere la forza dirompente di un sentimento che di fatto cambiò la vita della Rosselli.

I due giovani condividevano interessi e ideali: lo sguardo rivolto alla realtà contadina del Sud, l’indagine  antropologica e soprattutto la poesia.

Ma dove può condurre la poesia quando è relazione dialogica intensa e vera che si nutre della relazione stessa? Cosa accade se il dialogo s’interrompe improvvisamente e in maniera traumatica? Accade ciò che Amelia Rosselli ci mostra in “Cantilena” l’opera dedicata a Rocco Scotellaro dopo la sua morte nel 1953 a soli trent’anni. 

La Rosselli aveva già perso prima il padre e poi la madre evento, quest’ultimo, che l’aveva segnata profondamente. Nelle lettere che scriveva a Scotellaro, Amelia si firmava con il nome materno: Marion Cave. Era questo un modo per per continuare a farla esistere o forse per scomparire lei, al suo posto, non potendo accettare la tragicità dell’evento. Lo stesso meccanismo si ripresenterà alla morte di Scotellaro, quando Amelia racconterà che i versi di Cantilena sembrava che le fossero stati dettati proprio dal poeta lucano morto. 

L’io di Amelia dinanzi alla tragedia si dilegua, perde i propri confini e si lascia occupare da ciò che resta dell’altro: la parola. Cantilena è poesia che abita la frattura e tenta di dare forma a qualcosa che può essere detto solo per frammenti, risonanze, spezzature, dissonanze. 

La morte di Rocco Scotellaro sembra portarsi via una parte di Amelia Rosselli, che finirà addirittura in manicomio e subirà diversi elettroschock,  ma l’Amelia che resterà, da quel momento, genererà una poesia nuova: più aspra, più complessa, più musicale e insieme più lacerata e radicale, che del mondo restituirà le fratture e gli scarti. Una poesia che come un filo riannoderà le parole, ripescandole da una profondità dove a riecheggiare sarà ancora la voce di Rocco in un rinnovato dialogo che continuerà per tutta la vita di Amelia, fino al suo congedarsi.



Io sono un filo d’erba

Un filo d’erba che trema.

E la mia Patria è dove l’erba trema.

Un alito può trapiantare

Il mio seme lontano.


Io stringo una pallida mummia 

Che non odora affatto 

Escono semi dai suoi occhi

E tu non puoi fruttificare.


*



Scordarmi i vivi per ritrovarli

Con tutto il peso che mi porto

Della vita che m’è nata

I fiori son cresciuti la luce li accende.


Tu non appari a chiarire il mistero della

Tua non-presenza, tu non stimoli i fiori

In corona attorno al mio polso, rotto perché

Non posso tenerti vicino.


*


Improvvisa la sera ci ha toccati

Me, le mie carte, la pezza di luce

Sui mattoni della stanza.

È tanto imbrunito

Che mi sento addosso paura.

Ha ripreso la vita

Dei piccoli rumori.

Sono sui tetti le anime

Dei morti del vicinato,

camminano sulle zampe dei gatti.


C’è come un dolore nella stanza, ed

È superato in parte: ma vince il peso

Degli oggetti, il loro significare

Peso e perdita.

C’è come un rosso nell’albero, ma è

L’arancione della base della lampada

Comprata in luoghi che non voglio ricordare

Perché anch’essi pesano.

Come nulla posso sapere della tua fame

Precise nel volere

Sono le stilizzate fontane

Può ben situarsi un rovescio d’un destino

Di uomini separati per obliquo rumore.


Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro





Note.

La poesia in apertura è tratta da “Cantilena” raccolta di poesie per Rocco Scotellaro, 1953.

Le tre poesie che si susseguono in chiusura incrociano liberamente versi di Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli:

Io sono un filo d’erba” è tratta dalla poesia di Rocco Scotellaro “La mia bella patria

Ad essa seguono i versi della Rosselli “Io stringo una pallida mummia” tratti dalla poesia “Primavera, primavera in abbondanza”.

La quartina “Scordarmi i vivi” è parte della poesia di Rocco Scotellaro “La terra mi tiene”.

La quartina “Tu non appari a chiarire il mistero” è tratta dalla poesia “Serie ospedaliera” di Amelia Rosselli

"Improvvisa la sera ci ha toccati” è parte del testo poetico di Rocco Scotellaro, tratto dalla sua poesia “Improvvisa la sera”.

C’è come un dolore nella stanza” è tratta dalla raccolta “Documento” di Amelia Rosselli.

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