CALL ME ISHMAEL - Anna Polin - LA POESIA NEL LAVORO DEL COUNSELOR
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| Anna Polin |
Carla ha l’aids, i capelli biondi e gli occhi verdi. È alta, filiforme, elegante. Quando viene da me le mani le tremano, lei crede che io non sappia che è per la cocaina. Da quattro sedute le mani non tremano più, la pupilla non invade l’iride. Il tremito del corpo sta lasciando spazio ad altro. Avevo pensato di non continuare le sedute, la situazione mi pareva oltre le mie capacità, “ ci sono i centri specializzati”, ho pensato, “ io non posso fare nulla”. Poi qualcosa è cambiato.
Carla è seduta sulla sedia di legno con il cuscino rosso tra le mani, da medico quale è, ha fatto un analisi precisa sulla sua condizione fisica e con l’ intelligenza che la caratterizza, mi racconta le cause della sua disperazione. “Niente da aggiungere”, penso, “ci è arrivata da sola”. Le confermo che è così, è come lei ha analizzato. Rimaniamo in silenzio.
Ci siamo dette tutto il dicibile, non c’è nulla da aggiungere ed io non ho alcuna soluzione salvifica. L’assenza d’ intenzioni, di ragionamenti, di consigli, di analisi, di richieste, crea uno spazio in cui la nudità di entrambe diventavano evidenti. Io come professionista non posso fare nulla per lei, lei non ha più nessun male da presentare. Accadono tante cose nel silenzio, alcune imperscrutabili e meravigliose. Mi sento vulnerabile, come lei, uguale in tutto, insieme stiamo abitando quello spazio in cui si è pienamente umani, in cui si è, prima di credere alla propria storia. Mi pare di avere tra le mani un diamante, una pietra che splende grazie ai suoi tagli. Carla è il diamante. Percepisco la luce del gioiello ovunque, qualcosa che nessuna parola può racchiudere si libera nella nostra relazione, ho un senso di gratitudine, l’essenza scavalca entrambe e s’impone con il baluginio di ciò che può essere fatto realmente, che non può essere inventato. Tra noi non c’è nessun atto sciamanico, nessuna tecnica efficace, non c’è nessuno di quei metodi per salvarsi che oggi vanno tanto di moda.
C’è una donna esile dagli occhi verdi e ci sono io, siamo entrambe stupite d’esistere in questa normalità gioiosa che si auto-impone. Ho la sensazione che la gioia sia una legge del vivere che si dichiara senza scampo se si sta ad ascoltare. Fisso il quadro sulla parete, poi mi giro verso di lei, Carla guarda il pavimento, ed io, per discrezione, sposto lo sguardo da quell’unica lacrima che le scende dalla guancia. Dall’aids non si può guarire, dalla cocaina se ne esce con “bruciature” nel sistema nervoso che sono spesso indelebili, eppure la realtà è un paradosso giocoso ed inarrivabile che mette a soqquadro le carte e ci riporta in ciò che è inalterabile e perciò salvifico. Guardo Carla salutarmi ed andarsene nel suo vestito firmato, so che non è finita, so che la realtà è impietosa e non le eviterà l’incontro con i suoi buchi neri, ma ora che siamo fianco a fianco qualcos’altro s’impone ed entrambe accettiamo il viaggio… e ringraziamo.
Entro nella stanza ancora “satura” della sessione, mi pare che pezzi del diamante brillino sul pavimento, mi sembrano schegge di quell’unica lacrima che ultimamente arriva puntuale ad ogni seduta. Non so se quello che sto per scrivere è giusto, ma ho l’impressione che ogni percorso di crescita raggiunga il suo apice quando chi fa un mestiere come il mio dice grazie a chi gli ha chiesto aiuto.


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