ACCORDI E RICORDI - Melania Valenti - La mia prima auto-
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| Melania Valenti |
Quand' ero bambina e pensavo al mondo dei miei diciott' anni, ancora lontano a venire, ribadivo con fermezza e serietà che molto probabilmente non sarebbero più esistite le auto di allora, ma sarei salita su macchine simili a coccinelle volanti, con corsie immaginarie e motori silenziosi come vele nel vento. Ero proprio sicura di ciò che asserivo.
Gli anni passarono. A 18 anni presi subito
la patente per guidare un'auto che mi portava ovunque e che mio padre mi donò
come palestra per un anno di pratica. Una meraviglia di Fiat 500 rimessa del
tutto a nuovo come fosse stata appena acquistata, col tettuccio apribile e un
motore più potente del suono. O così io lo vedevo.
E senza fronzoli, tra le ore fredde
d'inverno e le afose estati (di climatizzatore, figuriamoci, neanche il
pensiero), avanti e indietro su ogni tipo di strada, imparai così, con la
gavetta delle auto, a fare doppiette per non sentir raschiare il cambio.
Anche l'autoradio era un pio desiderio,
ma voce ne avevo eccome, sogni altrettanto, e allora improvvisavo concerti
privati che, a volte, mi rendevo conto dalle espressioni di chi si trovava in
fila accanto a me, tanto privati non restavano.
Adesso che un prototipo di auto volante
è già pronto per volare tra i cieli, adesso sorrido di me e del mio essere
lungimirante già da bimba di appena pochi anni. Avanti, devo riconoscerlo, lo
sono sempre stata, ma troppo spesso soltanto coi pensieri, che hanno portato
a percorrere vie ignote a chi mi stava vicino.
Erano "i meravigliosi anni
'80", gli anni di tante speranze e progetti e note che nascevano dalle
dita sui tasti bianchi e neri del mio fedele pianoforte. Erano gli anni dei cantautori,
di Dalla e di Pino Daniele, Vasco e De Gregori. E Ron o Venditti o Baglioni, cantati
a squarciagola e consumati dentro i nastri delle audiocassette di allora. Gli
anni di Bennato e tutta la sua magia, che accompagnava le mie favole e la notte
le posava sul cuscino.
Erano i miei anni, di quando scrivevo
ancora di tesori nascosti dove finivano i colori dell’arcobaleno.


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