L'INGRATO - David La Mantia - Il negozio dei babbi
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| David La Mantia |
Comincerei così, ricordando com'era.
Son passati secoli, ma l'ho ancora ben chiara in mente. Prima di tutto un barattolo pieno di "no" da servire a tutti alla prima occasione. Vuoi venire al mare con mamma e babbo? No. Vuoi rifare il letto, per favore? No. Vuoi aiutare tua sorella con i compiti? Vuoi sparecchiare la tavola? Vuoi spolverare i mobili? No. No. E poi no. Shelvi era così. E molte altre cose. Per esempio Shelvi era una bambina che giocava e vinceva sempre. Giocava a carte e sembrava conoscere già la mossa dell'avversario. Giocava a Nomi, Mestieri, Città e, prima ancora che gli altri potessero scrivere anche solo una lettera, era pronta a sfoderare già il foglio riempito di tutto punto. Shelvi era un vero talento, ma questo non le guadagnava le amicizie dei suoi pari, che preferivano, anche da piccoli, femmine più malleabili e meno originali. Shelvi diceva a tutti di avere nove anni, ma nel dirlo scuoteva la testa. Shelvi adottata in un paese lontano con la sorella. Shelvi che non voleva venire nella sua nuova casa con quel babbo così brutto e grasso. Sì. Shelvi era così. E tante altre cose. E sapete perché si chiamava in questo modo particolare? Che strano... Era l'unica cosa che i genitori avevano scoperto di lei, quando erano andati a prenderla. Perché la mamma, già in pancia, sentiva di avere qualcosa di esplosivo dentro ed allora aveva scelto quel nome, quello della benzina più potente di tutte, prima di abbandonarla all'ospedale. Ed aveva avuto ragione. La bambina cresceva docile come una bomba a orologeria. Ed anche i "no" crescevano, insieme alla sua altezza. No sempre più rabbiosi e decisi. No feroci contro un padre che lei proprio non riusciva a sopportare. Evitava anche di guardarlo, tanto gli sembrava repellente, simile a un elefante calzato e vestito con camicie bagnate e fradice di sudore. Poi un giorno cominciò a raccontare, facendo ridere un po' tutti, che lei aveva scoperto che nel suo nuovo paese c'era un negozio di babbi, forse addirittura due, un negozio dove i bimbi bravi potevano cambiare i genitori che non piacevano, specie quelli brutti e cattivi. E diceva convinta che prima o poi avrebbe provveduto a farlo quel cambio. E che sarebbe tornata a casa con un bel babbo nuovo, magro, alto e sorridente. E che da quel giorno avrebbe smesso di dire "no" a tutti, anzi no, avrebbe continuato, ma a quel padre così bello avrebbe detto anche qualche sì. Ricordo bene quelle parole e ricordo quanto era felice quando le aveva dette. E ricordo che da allora chiedeva a tutti di accompagnarla in giro per quella città così grande di cui non riusciva a ricordare il nome, alla ricerca di quel negozio miracoloso. E che ogni sera, quando tornava a casa stanca e insoddisfatta, si diceva pronta a ricominciare da capo la ricerca, perché era sicura che prima o poi l'avrebbe trovato. Poi un giorno accadde qualcosa. Tornò a casa con un sorriso grande quanto un aquilone e voleva abbracciare tutti, anche il padre e gli animali di casa, che, impauriti, svanirono all'istante e si nascosero sotto un tavolo. Ricordo bene quanto raccontò. Aveva trovato il negozio. Era entrata e aveva visto tante foto di babbi, uno più brutto dell'altro, finché… in un angolo, il babbo che aveva sempre desiderato: alto, biondo, magro, sorridente. Ed in fondo, la terribile scritta ESAURITO. Scoppiò subito a piangere e urlò così forte da attirare l'attenzione di un tizio strano, brutto come il padre. Gli parlò a lungo e gli raccontò una storia, una storia che cominciava da un'altra parte e che, perdonatemi, ho dimenticato. Ma ricordo bene che lei disse di aver capito e che da allora tutto sarebbe cambiato, ma proprio tutto. Intanto promise che avrebbe guardato suo padre con occhi diversi e che, qualche volta, prima o poi, avrebbe accettato anche una sua carezza. E così fece. Addirittura cominciò ad uscire con lui ed a quelli che gliene parlavano male ripeteva con forza che era il suo babbo e guai a quelli che glielo avessero toccato. Sì. Tutto cambiò. Diventò una bambina disponibile per tutti, sempre sorridente e pronta ad aiutare in casa i genitori nelle faccende domestiche. Unica cosa: la notte non voleva essere disturbata. Appoggiava i gomiti al davanzale della finestra e passava tutte le notti a guardare il cielo. Un cielo nero e buio per lei. Con pochissime stelle. E ricordo quei momenti in cui si alzava, si metteva in punta di piedi, ed indicava un puntino luminoso lontano. Sì. Shelvi era così. E tante altre cose. Ma non vi ho detto la cosa più importante e vorrei che mi perdonaste per questo. Ero io suo padre. E le volevo tanto bene, anche se era una bambina particolare, non molle e viscida, con solo due occhi ed un naso, e senza proboscide. Come potrei dimenticarla, anche adesso che è morta da quattrocentotrentasei anni. |
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