LA POESIA ELEMENTARE - Anna Martinenghi - LA POESIA (elementare) DEL BASILICO. Su Dorinda Di Prossimo, “Dal basilico alla luna”, Seri Editore 2025

 

Dorinda Di Prossimo – “Dal basilico alla luna” – Seri Editore 2025



Dal basilico alla luna

stretta alle parole

ho visto stelle in fuga.

 

Nessuna prendendomi per mano.


Disclaimer: La recensione che segue è partigiana e faziosa, poiché io sono del tutto innamorata di questa autrice: l’ho conosciuta al tempo dei blog, ci siamo scritte a lungo solo usando francobolli, ci siamo incontrate dopo molto tempo e ci siamo abbracciate strette. Abbiamo riso molto. Vorrei averla vicina. Sempre. Vorrei che le sue poesie venissero insegnate nelle scuole. Il premio Nobel per la letteratura non mi stupirebbe. Ora che avete capito quanto la amo, potete leggere quanto segue.

Dorinda Di Prossimo[1] sa usare le parole come pochi, pochissimi autori sanno fare. Le sue costruiscono mondi: sono parole strutturali, al contempo oggetto e soggetto del suo fare poesia. Dal basilico alla luna[2] è un viaggio che comprende la sua intera poetica: parte dalle cose minute (quelle che lei definisce “minuscolerie”) per arrivare all’immenso:


Voglio lettere e cartoline.

Francobolli giardinieri.

Grafia come di suono che sbircia la felicità

Magari da un dove addormentato

Col tuo nome coraggioso. Aperto fin dall’ossa.

 

·         Sbirciare. Verbo umano. Timoroso. Aggraziato.

 

Sosteneva Wittgenstein[3]: "I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo"; nel caso di Dorinda di Prossimo questi limiti si spingono molto lontano. Alle parole oggetto, infatti, si sommano le parole suono e poi le parole magia; quelle che la poetessa crea, plasma, inventa per necessità espressiva, per ampliare ciò che sente e riesce a trasmettere. Ecco allora apparire: il sassocuore, un lindoscalzo buondì, la lontanitudine, la lunipendula. Non si tratta di vezzi formali o di giochi linguistici fini a loro stessi, ma di nuove gamme di segni, suoni, significati. Nuove sfumature di sentimento. Creare parole diventa così un atto di sopravvivenza espressiva, con cui Dorinda rivendica il diritto di ri-nominare il mondo, espandendo i confini del linguaggio, ponendo il lettore nel profondo della complessità dell’esistere.

.  Che ne faremo

di questi giorni come tasche storte

coi loro violini di tormenta .

 

Lontanitudine, ne faremo.

 

Bagaglio di viaggio. Da qui a lì.

Dal nodo della sciarpa, al blu di un colibrì.

 

M’incanta la sua capacità d’essere astratta e al contempo concreta, avvicinando realtà che appartengono a livelli di vita differenti (il basilico/la luna), riuscendo a contenerli tutti, in accostamenti arditi, che una volta su carta mostrano un’armonia nuova, una coerente spontaneità:

 Mia siesta di miele e vino,

tu,

mio sassofono agghindato.

 

Oh!

di baci brindarti

di molli zollette succhiarti

 

E ancora:

Penso/dentro le rughe andantine/

 

mi porteresti dentro un turistico bacio?

 

 E infinitamente:

 

Questo mio cuore, questo,

di tuo tondo, liscio frutto,

dentro lo sterno di labbra e temporali,

la mania delle tue mani osserva, conserva,

la tua maniera d’illuminar, fin la trachea

de’ baci, la meteorite che mi danza.

Piroetta leggera. In stanza. A quietanza.

  

Il lettore è obbligato a decodificare questi cortocircuiti di senso, ad abitarli e farli propri, in un percorso che è carnale e metafisico allo stesso tempo, perché tocca anima e corpo senza soluzione di continuità.

La sua scrittura si amplifica e si contrae, riducendosi spesso a un solo verso, all’essenza che è natura stessa della poesia:

Non spiegatemi tutto. Non mi fa bene.

E qui:

Tu, unico spigolo che non mi duole.

E ancora:

Dormo sul lato triste, come a toccar un bacio andato.

La poesia di Dorinda non è solo intimità. La sua attenzione al particolare, il suo sguardo ravvicinato, si volge anche alla Storia. Le sue parole, attraversate le minuscolerie e misurata la lontanitudine, esondano nella realtà, se ne impregnano, la restituiscono intatta, entrano nei giorni, lambiscono il 25 novembre, continuano la loro corsa:

Credo fossero da qualche parte a sanguinare,
la corolla del sole, la virgola della luna.
Da qualche parte a gridare.
Mentre il tiranno. La crudeltà. Il danno.

Dedicata a Hervin Khalaf, assassinata dalle milizie jihadiste di Erdogan: prima di essere uccisa, è stata presa dall’auto, violentata, lapidata. Combatteva per i diritti delle donne, e perciò, pericolosa

E poi ancora:

Ho un silenzio che mi pascola dolore. Ho una mano che non può salvare. Non può allungarsi fino alla memoria di tutte le guerre. Un buco, una voragine mi continua, la roca voce di quando ho promesso, promesso abbiamo: da ora in poi, saremo migliori, saremo bordi di trasparente libertà. Di equità. E. Tutto il rosario dei qua, qua, qua.

/ Attacco turco contro il nord est della Siria. 9 Ottobre 2019 /

E ancora:

De profundis

Sia benedetto il tuo nome, Lea. Venga il regno in cui non serva più il tuo coraggio. Il tuo esempio. Sia fatta la volontà di chi dice no e persevera, pur se severa è la condanna, vile, feroce, buia. Piena di grazia sei stata e sarai. Bene detta tra tutte le donne e bene detto lo sguardo tuo, frutto del ventre tuo di donna, tenacemente al rogo, incenerito, tradito.

In memoria di Lea Garofalo, simbolo antimafia.

Dalla Storia maiuscola, torniamo poi alla storia personale: il racconto della perdita più intima, quella della madre. Una perdita che si oggettiva negli oggetti del quotidiano. La madre diventa oggetto stesso della vita che resta. Le minuscolerie qui si fanno giganti:

Sentivo la nuda voglia di farti restare, madre, di farti, magari, diventare letto, coperta, leggio di quella stanza che ‘sin le scarpe già ti aveva tolto, il respiro, il ventaglio dei capelli. Purché restassi, gentil grammofono di voce ancora viva, purché, magari, ti trasformassi in un gorgoglio meno opaco, meno fatale. Il freddo restava dietro le sedie. Le nuvole, carnose e immobili, sul tetto. Il padre, le braccia al corridoio, come birilli a barricata, come un sipario a tutelare. Ma, quel tuo nome, così mondano, sulle punte scompariva, e, pure i sorrisetti d’un tempo, dal divano, a noi, sulla porta, frettolosi e leggeri. Ché, intanto, il mondo ci ammaestrava, una vana felicità l’ali ci alleggeriva.

 

Morta mammà, ho conservato le pentole migliori,

lo sfrigolio di cipolla con chiodo di garofano,

la parsimonia dell’olio, la forza del basilico.

 

L’umore suo stanco ho spremuto,

in quei centimetri di cucina, in quei finali d’attesa.

Se. Un figlio. La forma dei suoi passi. Dal lontano.

 

Dal basilico alla luna testimonia quanto la poesia possa ancora nominare il mondo, ricrearlo attraverso il linguaggio, con una voce unica che è contemporaneamente sussurro e grido, carezza e pugno chiuso. È poesia che sa essere intima senza essere intimista, civile senza essere didascalica, inventiva senza essere gratuita.

È poesia che sa che nelle minuscolorie è contenuto tutto: amore, perdita, Storia, ingiustizia, tenerezza e rabbia e tutta quella magia di cui ancora abbiamo grandissimo bisogno.






[1] Dorinda Di Prossimo

 https://www.serieditore.it/autore/di-prossimo-dorinda/

[2] Dal basilico alla luna

  https://www.serieditore.it/catalogo/le-piume/dal-basilico-alla-luna/

[3] Ludwig Wittgenstein

 https://it.wikipedia.org/wiki/Ludwig_Wittgenstein

 


Commenti

  1. Immediata,presente,puntuale.Versi dai quali è impossibile distrarsi.Mi affascina la ricerca di nuove parole

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