I GRANDI IRREGOLARI - Mauro Barbetti - L'ultimo idillio di Broggi
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| Mauro Barbetti |
Ho letto da poco l'ultimo libro di
Alessandro Broggi (ultimo purtroppo in senso assoluto, a meno di altri
rinvenimenti postumi che spesso capitano dopo l'uscita di scena di un autore)
che ci ha lasciato a fine 2024 all'età di soli 51 anni.
Alessandro è stato uno degli artefici
della svolta verso la “prosa in prosa”, presente nell'omonima antologia uscita
nel 2009 (e rieditata da Tic nel 2020) e in molti degli sviluppi successivi del
movimento. È stato probabilmente quello che tra i sei è riuscito a mantenere
meglio l'equilibrio tra sforzo concettuale (allontanamento dall'io lirico, non
assertività ecc.) e ricerca non solo metalinguistica, ma ontologica, capace
cioè di toccare porzioni di umano, sia pure attraverso operazioni di
straniamento o attraverso la proposizione di interrogativi e provocazioni
(rigorosamente senza possibili risposte).
“Idillio”, uscito nel 2024 per
Arcipelago Itaca, ne è stata un'ulteriore conferma, un libro dove anche il
lettore non avvezzo al terreno delle scritture di ricerca, può forse trovare un
percorso da intuire e da gustare (so bene quanto questo termine sia scarsamente
contemplato nel vocabolario di un post-poeta).
Non so dire se questo esulasse dagli
scopi dell'autore, ma di fatto, in quest'ultimo libro, Alessandro sembra voler
davvero entrare dentro questioni esistenziali e filosofiche, dentro meccanismi
del nostro funzionamento psichico più profondo, dentro porzioni di reale che
arrivano diritti alle domande di senso che come esseri umani ci poniamo.
Non so neppure dire quanto di questo
possa essere stato mutuato dalla sua condizione di “essere a termine”, né mi
interessa più di tanto puntualizzarlo (in fondo tutti, sul lungo periodo,
abbiamo la coscienza di essere a termine).
Mi interessano invece le tracce che ci
ha lasciato e che come qualsiasi lettore ho fatto mie, con tutta la parzialità
(ma anche la libertà) di un'operazione del genere.
C'è da premettere che il libro ha anche
una sua dimensione visuale che qui inevitabilmente si perderà: ogni foglio del
libro contiene infatti un'unica stringa testuale posta in punti diversi della
pagina tale che scorrendo velocemente il volume si crea un vero e proprio
movimento grafico sul lato sinistro. Il foglio di destra, invece, è sempre
bianco.
Anche qui trovare le motivazioni
profonde di questa mise en scene non è semplice: di fatto il testo
risulta così immerso nello spazio bianco, sganciato dal suo sviluppo, isolato,
quasi a voler fare di ogni stringa un unicum, un dato su cui è facile
rallentare e fermarsi a riflettere. Sembra quasi un enorme flusso di coscienza
(sapientemente controllato) in cui il particolare innerva l'universale. A
condire il tutto è poi la lingua, una lingua che si pone a metà strada tra
saggistica e poesia, tra riflessione e contemplazione oggettiva del mondo,
condita di tempi ipotetici (il condizionale soprattutto), di interrogative e di
punti di sospensione, così da porsi decisamente nella dimensione della
suggestione e del suggerimento a fior di labbra piuttosto che della definizione
assertiva, della declamazione certa e ad alta voce.
Il volume risulta così di oltre 300
pagine per un testo che si disperde (o viene fuori) dal bianco della pagina.
Per ragioni di spazio, qui condenserò i
versi (altro termine improprio nella post-poesia) mantenendo la loro posizione
e gli eventuali accapo, aumentati là dove c'è il fine pagina.
Faccio dunque anch'io una sorta di
cut-up, prelevo due sequenze dell'opera e ve le affido.
Buona lettura.
le durerebbe il piacere
di non
impazientarsi più
né di leve né di giurisprudenze,
sistemi, vangeli,
e anche l’ultimo dei gesti
da nulla del momento
concorrerebbe,
nella dimestichezza del suo
svolgersi,
sotto una pacatezza sempre
più comprensiva,
alla perfetta regolarità dei moti periodici
come
all’eventualità della
storia semplice che la riguarda.
Non una diver-
sione,
l’immagine della vita
stessa,
dacché si sarebbe tutto ciò
che accade in ogni cosa…
***
A che cosa pensa quel viso?
Di
che parla?
Si domanderebbe quanto
quell’esistenza sarebbe vivace,
quale ampiezza di
contenuto avrebbero lì
la direzione dello sguardo,
la vicenda di ogni istante,
il viaggio nella specie futura?
Sarebbe
in condizione di non
ingannarsi
e rendere perspicua
la propria
presenza nel mondo,
di vedere il proprio rapporto con le persone
diventare più ricco di
significato,
prima di accomodarsi a un lieto
fine?
Riuscirebbe
a crederci fino in fondo?
Chissà…
Dov’è andata?…
Dove va?
Che senso
hanno queste parole?...


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