UMAMI, DHARMA E BARBABIETOLE - Pietro Edoardo Mallegni - Batti il tuo martello, John, che io batto il mio!

 

Pietro Edoardo Mallegni

Se, in questo momento, al posto di leggere questo articolo, seduto/seduta sul tuo comodo divano, fossi alla domanda finale di un quiz televisivo e ti fosse chiesto “Nella cultura Folkloristica di quale nazione, un uomo di colore viene elevato ad eroe, dopo aver sfidato e battuto una macchina, per dimostrare la sua insostituibilità, morendo per la troppa fatica?” Non vorrai dirmi che hai bisogno delle quattro risposte o dell’aiuto da casa, perché solo in America esiste la leggenda di John Henry o meglio il “progetto metaforico” del lavoratore perfetto (per lo meno per chi non deve lavorare, ma solo assumere).

John era uno “Steel Driver”, ossia quello che doveva piantare i chiodi nella roccia per permettere l’innesto di cariche esplosive al fine di costruire i tunnel e, una mattina, il progresso decise di bussare alle porte del cantiere dove lavorava presentando a lui e ai suoi colleghi il trapano a vapore. Nel vederlo, gli operai si sgomentarono pensando che il lavoro di quattro persone poteva essere completato da un singolo marchingegno, e pertanto il loro ruolo (già pagato una miseria) poteva essere interpretato da un oggetto.  Così il nostro eroe decise di sfidare la macchina: perforare alla massima profondità nel minor tempo possibile. La storia si carica dell’esagerazionismo tipico americano: martelli enormi, la montagna che trema, profondità sempre più assurde. Alla fine della gara, John è vincitore: 4 metri; la macchina poco più di 2 e mezzo. Sfinito, crolla a terra e muore per la fatica, dando prova che nessuna macchina potrà mai sostituire l’uomo, poiché tutto si rimette alla volontà e non alle capacità concrete. Una bellissima storia. Meravigliosa. Cioè bella solo se siete il padrone dell’azienda che ha vinto l’appalto per la costruzione dell’Ohio Railway, perché adesso i vostri operai lavoreranno fino a morire per paura di essere sostituiti, avrete a disposizione le macchine che li sostituiscano nel caso ciò accada e tutto ciò eleva ad eroe chi muore per la causa della produzione. Insomma una storiella che al vecchio zio Marx non avrebbe fatto molto piacere.

Persone sacrificate al lavoro, oltre i limiti delle loro possibilità, nel mio settore vive la storia/leggenda di Antonin Careme, cuoco che ha praticamente decodificato l’Haute Cuisine, chef e pasticcere per Napoleone, per James Rothschild, per il Duca di Tayllerand-Perigord e che Honorè de Balzac ricordava così: “Morì bruciato dal fuoco dei suoi fornelli e del suo genio”. A 38 anni. I cosiddetti lavoratori instancabili. E oggi?  Oggi che “l’inverno del Socialismo è reso gloriosa estate grazie a questo cielo d’Occidente”? Oggi abbiamo il “Karoshi” e ce ne parla il nostro corrispondente da Tokyo: “Karoshi, letteralmente “Morte da Superlavoro”. Vengono definiti così, anche in termini medici, tutti quei decessi (anche se indirettamente) causati dal lavoro eccessivo. Le diagnosi spesso sono infarti, ictus o malnutrizione. Turni infiniti. Standard sia professionali che sociali sempre più elevati. Lo stress che si è fatto oramai ossigeno per determinate tipologie di azienda.  Apparentemente limitato, studi confermano che il Karoshi è un fenomeno che nei prossimi anni andrà sicuramente a crescere. Linea allo studio.

D’altro canto, la macchina del capitalismo vuole sempre vedere gravido il sistema della produzione, quindi di “John Henry” e di “trapani a vapore” in giro, credo, che oggi ce ne siano molti di più di quanti riusciamo a contare e, riflettendoci bene, invece, di montagne in cui scavare i tunnel non ne vedo più così tante. Ora ci sono i budget. L’ultima moda in tema di sfida lavorativa, tutto ridotto ad una mera cifra su una tabella. Dove però l’unica che conta è sempre quella messa in grassetto in fondo: il guadagno netto, quindi alla fine dei giochi, anche noi diveniamo une mera percentuale. Uno spicchio infimo di quei paragrafi a torta e la fetta che ci tocca appare sempre più piccola. Servirebbe che ognuno di noi avesse una sorta di epifania come quella di Gian Maria Volontè in “La classe operaia va in Paradiso”, servirebbero meno storie come quella di John Henry, ma d’altro canto anche a noi dall’altra parte dell’Atlantico ci viene insegnato che Achille avrebbe potuto “saltare il turno” e vivere una vita lunga e tranquilla, ma no, doveva andare a Troia e morire per la gloria. Concedetemi un po’ di dissacrazione, ma io adoro immaginare Teti che al figlio dice prima della partenza “guarda che a fine mese la medaglia non te la da nessuno”, un po’ come quei buontemponi che in cucina, vedendo correre noi giovincelli, ci interrogano con la stessa curiosità di un elefante che si approccia a una stampante a laser.

La notizia brutta è che il progresso tecnologico non ci ha migliorati, ha solo ridipinto gli interni di questa gabbia ideologica, ma la guerra rimane la stessa. Più avanzata, sicuramente, ma il principio è il medesimo e la catastrofe è che adesso “martellare sulla roccia” non ci basta più, ora dovremmo aspettare una sorta di nuovo messia-eletto, tipo Neo in “Matrix” per sconfiggere il mondo delle macchine. Non riesco a immaginare oggi un essere umano che grazie alla propria forza di volontà possa riuscire a sconfiggere il progresso in nome del diritto all’obsolescenza. Il “nuovo che avanza” è divenuto una palude che inghiotte. Conviene la resa. Sconfitti. Lasciati da parte da coloro che vivono nel futuro, pronti a fare ciò che i marchingegni non possono fare in cambio di un po’ di minestra e finalmente ridisegnati in funzione del capitale, timidi e deboli laddove siamo inutili e fieri invece di prestare il nostro servizio al raggiungimento dello scopo (che poi è l’unico momento in cui gliene importa qualcosa di noi a quelli che vivono nel futuro, quando contribuiamo allo scopo).

Finisce così il pezzo? Davvero? Cioè, niente lieto fine; il bene che vince sul male; l'elevazione ad eroi in difesa dell’umano? No, la fine non esiste in questa storia, potresti tornare indietro e arrivare al primo contratto di lavoro tra dio e i giardinieri dell’Eden e andare avanti fino agli spazzini dell’atomo, c’è solo una cosa da fare: prendere i nostri martelli e andare a scavare un tunnel laddove fa più male al futuro, che solitamente corrisponde alla zona dei genitali, ma lascio libero spazio alla fantasia  e rimembrare a noi stessi ai giorni di domani quale prezzo sul budget ha da essere speso per il nostro diritto ad esistere: tutto (e credetemi “tutto” va ben oltre la totalità del budget).


Commenti

  1. Grazie! Un articolo che fa riflettere. Aggiungiamoci i limiti pensionistici in continua "evoluzione"...

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  2. Indianascrittrice02/10/25, 21:42

    Forse l'unico atto umano è la coscienza di questo meccanismo,
    l'unica vera volontà...
    Rubare il tempo e restituirlo a sé stessi

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