RUGIADE. Novità sugli scaffali - Melania Valenti su "La macchina da cucire - Geologia del dolore" di Daniele Ricci

 


La macchina da cucire - Geologia del dolore, puntoacapo editrice, 2025, Intersezioni Collana di poesia diretta da Mauro Ferrari, con prefazione di Fabrizio Lombardo, è l’ultima raccolta di Daniele Ricci.

Come mia abitudine, mi faccio guidare dal titolo, ed è proprio nel titolo dell’opera che rinvengo le prime spie del contenuto che compone la silloge. Lo stesso autore ha del resto spiegato che il titolo è un omaggio ai propri genitori, che erano sarti. Ma il sottotitolo? La geologia è allora un termine eletto ad indicare un lavoro di scavo, di inoltro fino alle radici stesse del dolore. Un dolore che, leggendo i testi, da personale diviene rappresentazione di un dolore collettivo.

La scelta di porre in esergo una lirica di G. Leopardi, e poi di porre in epigrafe di ognuna delle altre 6 sezioni una lirica di un autore della nostra tradizione letteraria, evidenziano un dato importante dello stile di Ricci, che, professore di materie umanistiche al liceo, riporta nella scrittura la sua formazione classica. Ma accanto all’influsso dei classici, ci si inoltra poi in versi che diventano affatto contemporanei, soprattutto per i contenuti, che appartengono alla storia amara che fa parte della vita dei nostri giorni. È proprio questa, a mio parere, la chiave interpretativa della raccolta, che dal mondo personale del poeta (la Macchina da cucire) si apre all’indagine del dolore collettivo, ai drammi dei naufragi, degli sbarchi, della guerra, come si evince dalla lirica che apre la sesta sezione:

 

La macchina da cucire/ per scoprire il dolore del mondo (p.79),

sezione che si intitola appunto La macchina da cucire.

 

Continuo è il gioco dell’io narrante, che sposta anche sintatticamente l’attenzione del lettore anche all’interno di una stessa lirica, in cui troviamo l’esperienza umana collettiva che si fa paradigma del sentire personale e viceversa:

 

Disteso sul letto

scavo nel dolore.

Sto cercando di fare i compiti

non riesco a restare

ritto sulla barca. […]

(p.79)

 

E nella stessa poesia, muta il soggetto/mondo, dal tu all’io:

nella camera dei nonni

dove ho buttato via

la mia adolescenza. (p.79),

 

modus che ricorre assai spesso anche in altre liriche:

 

Cade la sera /del terzo giorno dell’anno/ il mio nome è qui /in un mastello/ di foglie secche/ una circonferenza/ di luce dai lampioni/ disegnata sulla strada./

 

Ti hanno trovato morto/ due giorni dopo/ riverso sulle scale/ di casa tua/. Eppure nella prima foto/ di classe a colori/ – era l’ultimo giorno/ delle elementari/ – eri lì accanto a me/ sulle scale della scuola/ e sorridevi./

 

Tornerai nel cortile/ della partita eterna/ a lasciarti attraversare dal vento/ mi passerai la palla/ e riderai ancora di me/ che non sapevo gridare/ il tuo nome. (pag. 83)

 

Altro elemento caratteristico della poetica di Daniele Ricci è la presenza degli elementi della terra, una forte relazione con gli ambienti naturali, una grande presenza di lemmi che richiamano la natura, come nell’ultima, evocativa strofa della lirica a pag. 76, che appare quasi come una invocazione:

 

Vorrei restare qui/ a scrivere all’aperto,/ qui tra gli alberi,/ la prima parola/ dopo la fine/.

 

Stilisticamente da rilevare che quasi tutte le liriche appaiono come drammi rivissuti e trascritti in una sorta di diario; come scrive lo stesso autore nelle Note e ringraziamenti alla fine dell’opera, «tutte le poesie raccolte in questa silloge sono state composte tra l’estate del 2022 e quella del 2023 e sono disposte, ma solo parzialmente, in ordine cronologico di composizione». Alla fine, infatti, di quasi ogni composizione, l’autore riporta una data, quasi un estremo desiderio di restituire ordine tra le pieghe della propria rimembranza.




Commenti

  1. Grazie di cuore per quesata lettura, che coglie i punti nodali della poesia di daniele, e il valore del libro. Mauro Ferrari

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    1. Grazie a te della lettura. Melania Valenti

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