RUGIADE - Melania Valenti su Il sogno di Esaù di Iolanda Cuscunà, Nous Editrice, 2025
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Iolanda Cuscunà, Il sogno di esaù, Nous |
Il
22 maggio appena trascorso ho avuto il piacere di assistere a Catania alla
prima presentazione della silloge Il sogno di Esaù di Iolanda
Cuscunà per la Nous Editrice.
Il
volumetto ha la qualità e la preziosità di uno scrigno per molteplici
motivazioni, dalla fattezza attenta alla bellezza e alla natura, motivo per il
quale vengono impiegati dalle due editrici coraggiose e catanesi, Giuditta Busà
e Chiara Sicurella, solo materiali di riciclo e naturali, alla importante
prefazione di Marietta Salvo, dalla nota a margine di Cettina Caliò all’esergo
di Danilo Dolci ai versi di Erri De Luca e Christian Mulder presenti nell’ultima
sezione, sezione da cui prende il titolo l’intera raccolta.
Rosa
Maria Di Natale, ottima compagna di Iolanda durante il pomeriggio di poesia, è
entrata dentro ogni emozione dell’autrice, mostrando risvolti d’anima ed
emozionando i presenti. Ma più di ogni altra cosa, hanno emozionato i versi de Il
Sogno di Esaù, interamente in lingua sicula (eccetto alcune parti dell’ultima
sezione) con traduzione in italiano, ma in piccoli caratteri posti in nota,
quasi a non voler sporcare la limpida forza evocativa del vernacolo. Una scelta
assai coraggiosa, da parte della poeta catanese, che è alla sua seconda
pubblicazione poetica, dopo Tace l’umano, Nous, 2023. Coraggiosa e potente,
mostrandosi, con il dialetto, orgogliosa e fiera di appartenere alla sua Isola,
pur impiegando la poesia per denunciarne le storture secolari da parte delle
istituzioni che ne hanno decretato il declino.
Diviso
in quattro sezioni – Terra, Bestie, Acqua, Il sogno di Esaù -, il libro denuncia
e, allo stesso tempo, porta a conoscenza del lettore lo stato di abbandono e i
danni di amministrazioni che, incapaci di guardare al bene comune, hanno
caratterizzato la storia politica della Sicilia. E nell’ultima sezione l’autrice
offre un vero omaggio a Danilo Dolci, dedicandogli una lirica accorata e disarmante:
No, non ci nn’è cchiù anatri.
Manca l’acqua
comu
e to’ tempi
e
c’è a mafia
comu
‘e to’ tempi
e
c’è sempri l’omu.
Sulu
di omini po’ moriri un ciumi.
A
virità.[1]
(p. 48)
Lungo
la lettura ci si immerge in un universo ancestrale, materico, che si volge all’onirico nell'ultima sezione, dove Esaù e il suo sogno danno un tocco quasi biblico alla
raccolta:
[…]
sogna Esaù
Vaga
Nel
campo
Spoglio
Guardando
Il
cielo
Cupo
Sa
che la minaccia non è promessa
E
comunque chi è nudo non teme la pioggia […] (p. 61)
È
un’opera importante e necessaria, sia per chi è nato in terra sicula, sia,
soprattutto, per chi vive lontano, poiché, attraverso liriche asciutte, scarne
e di denuncia, può forse comprendere l’animo di chi deve subire ogni giorno la
croce e la delizia di essere nato in Sicilia. La terza sezione, Acqua,
è come fosse una mappatura dell’acqua che non c’è, una mappa degli invasi asciutti,
di quelli pieni, ma di acqua che viene sversata altrove perché non potabile o dannosa anche per le coltivazioni, a
causa della mancata manutenzione da parte di chi doveva fare e non ha fatto:
Corpu
ri petra
Stu
fangu niuru
L’ossa
mi sicca.
Staju
cripannu a picca a picca.[2] (p.42)
In una poesia che adopera la musicalità delle assonanze, la ripetizione lessicale come veicolo emotivo volto al pathos (sangu/sangu/sangu/…camina/camina/camina…niuru/niuru/niuru), l’intento politico, l’intenzione civile accompagnano una lettura tanto potente quanto sofferta ed elegante. E in epoca in cui si dice perduto l'intento civile da parte degli intellettuali italiani, mi pare un ottimo esempio del contrario.
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