L'INGRATO - David La Mantia - Della caducità della vita. Vanitas vanitatum. Et omnia vanitas.
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David La Mantia |
Ciro di Pers (castello di Pers, nel Friuli, 1599 - San Daniele del Friuli, Udine, 1663) sul tema del tempo, rappresentato da un orologio che batte le ore
"Mobile ordigno di dentate rote
lacera il giorno e lo divide in ore,
ed ha scritto di fuor con fosche note
a chi legger le sa: Sempre si more.
Mentre il metallo concavo percuote,
voce funesta mi risuona al core;
né del fato spiegar meglio si puote
che con voce di bronzo il rio tenore.
Perch’io non speri mai riposo o pace,
questo, che sembra in un timpano e tromba,
mi sfida ognor contro all’età vorace.
E con que’ colpi onde ’l metal rimbomba,
affretta il corso al secolo fugace,
e perché s’apra, ognor picchia alla tomba"
Claudio Magris (“Corriere della Sera”, 28 giugno 2016) segnala anche come motore del tema della Vanitas, Giovambattista Marino (1569-1625): «Un lampo è la beltà, l’etate è un’ombra, / né sa fermar l’irreparabil fuga [—]. Amor non men di lui veloci ha i vanni, / fugge co’ l fior del volto il fior degli anni». Lo scrittore triestino evidenzia come spesso la donna nel barocco diventi rosa che sfiorisce, mentre il sole è vissuto e ammirato quando cala, come in Fabio Leonida, accanito marinista: «Così riluce il sol più dolcemente/ e meglio si vagheggia, allor che scende, / passato ‘l mezzo dì verso Occidente».
In epoche successive, alcune poesie famose che affrontano il tema della vanitas includono "Vanitas vanitatum" di Goethe (1749-1832)
"È tutto assolutamente vano
Io vedo ovunque guardo, solo vanità sulla terra
Ciò che questi oggi costruisce, quegli domani abbatte
Dove ora si ergono le città, così meravigliose,alte e belle
Li presto camminerà un pastore con le sue greggi
Ciò che ora fiorisce in modo così splendido,presto sarà calpestato
Colui il quale ora si vanta e resiste così, lascerà cenere e ossa
Nulla è, che al mondo possa essere intransitorio
Ora splende il sole della buona sorte, presto tuoneranno i lamenti"
e A se stesso di Giacomo Leopardi (1798-1837), che riflette sull'effimero, sulla inutilità della bellezza e sul trascorrere del tempo.
"Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, né di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
L’ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l’infinita vanità del tutto."
Nel Novecento vale la pena di segnalare almeno il Giuseppe Ungaretti (1888-1970) di Soldati
"Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie"
e il Giorgio Caproni ( 1912-1990) di Foglie
"Quanti se ne sono andati…
Quanti.
Che cosa resta.
Nemmeno
il soffio.
Nemmeno
il graffio di rancore o il morso
della presenza.
Tutti
se ne sono andati senza
lasciare traccia.
Come
non lascia traccia il vento
sul marmo dove passa.
Come
non lascia orma l’ombra
sul marciapiede.
Tutti
scomparsi in un polverio
confuso d’occhi.
Un brusio
di voci afone, quasi
di foglie controfiato
dietro i vetri.
Foglie
che solo il cuore vede
e cui la mente non crede."
o in Germania Herman Hesse (1877-1962), strepitoso in Scritto sulla sabbia
"Che il bello e l’incantevole
siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d’artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d’oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi
– effimeri –, non raggiungono il fondo dell’anima.
No, il bello più profondo e degno dell’amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella, le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d’aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.
Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare"
Ed oggi?
Mi piace segnalare almeno:
"Nasce incendio e muore sole
questa gioia che torna a intiepidire il vento.
Torneremo a dire grazie per il buio,
per l’alba dei rasoi.
Per ogni fuoriclasse spento
che accarezza la palla con la suola,
che infila l’incrocio dei pali, e non esulta.
Come una prostituta annoiata da dio
anche tu volevi fare alta la vita.
Cercavi il tuono nelle serrande,
dribblavi fiori, altalene,
elefanti di vetro. Dicevi:
«Sono felice perché non sono qui»."
Giovanni Ibello, da Dialoghi con Amin (Crocetti, 2022)
E anche:
"C’è gente che ci passa la vita
che smania di ferire:
dov’è il tallone gridano dov’è il tallone,
quasi con metodo
sordi applicati caparbi.
Sapessero
che disarmato è il cuore
dove più la corazza è alta
tutta borchie e lastre, e come sotto
è tenero l’istrice."
Nelo Risi, Sotto i colpi In "Pensieri Elementari" (Mondadori, Milano 1961).
Gustato davvero, con tutta l'attenzione che merita la caducità di ogni nome dato alle cose terrene.
RispondiEliminaStupendo il tuo dire e a esso aggiungerei / il nipote di Rameau di Diderot, / nel suo monologo sulla vanità!
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