L'INGRATO - David La Mantia - Della caducità della vita. Vanitas vanitatum. Et omnia vanitas.

 

David La Mantia



Il tema della Vanitas è rappresentato tramite la combinazione di temi simbolici e allegorici di diversa origine: spicca il motivo dei fiori in vaso, già strappati alla vita, recisi e quindi destinati alla morte, della frutta, spesso con insetti, in particolare mosche, a segnalare, nella bellezza, la degenerazione dei tessuti, e degli strumenti musicali, che alludono alla brevitas della vita umana ed alla caducità delle carni. In tal senso, frequenti le danze macabre, con trionfo di teschi e scheletri.

La Vanitas è l'estrema rappresentazione dell'esistenza umana attraverso motivi simbolici finalizzati a metterne in rilievo inconsistenza e fragilità. Come genere pittorico e poetico, trova risalto nel barocco, nei primi anni del Seicento ed è strettamente legato al senso di smarrimento e precarietà che del mondo occidentale dopo il Concilio di Trento, dopo le continue guerre e le epidemie di peste. Si tratta, quindi, di un tema fortemente etico morale.

Sono correlati a questo motivi non certo minori, come il corso inesorabile del tempo, che viene spesso raffigurato attraverso la progressiva rovina della superficie degli oggetti, acuita dalla polvere, che si accumula lentamente. Importanti, in tal senso, sono alcune celebri nature morte musicali di Evaristo Baschenis, nonché la rappresentazione di elementi materialmente "inconsistenti" come il vento, il fumo e la musica. Il motivo di fondo è sempre lo stesso: la progressiva limitazione delle libertà politiche spinse gli artisti a ricercatezze e ghirigori formali, a virtuosismi esasperati.

Ecco alcuni esempi.

Ciro di Pers (castello di Pers, nel Friuli, 1599 - San Daniele del Friuli, Udine, 1663) sul tema del tempo, rappresentato da un orologio che batte le ore


"Mobile ordigno di dentate rote

lacera il giorno e lo divide in ore,

ed ha scritto di fuor con fosche note

a chi legger le sa: Sempre si more.

Mentre il metallo concavo percuote,

voce funesta mi risuona al core;

né del fato spiegar meglio si puote

che con voce di bronzo il rio tenore.

Perch’io non speri mai riposo o pace,

questo, che sembra in un timpano e tromba,

mi sfida ognor contro all’età vorace.

E con que’ colpi onde ’l metal rimbomba,

affretta il corso al secolo fugace,

e perché s’apra, ognor picchia alla tomba"


Claudio Magris (“Corriere della Sera”, 28 giugno 2016) segnala anche come motore del tema della Vanitas, Giovambattista Marino (1569-1625): «Un lampo è la beltà, l’etate è un’ombra, / né sa fermar l’irreparabil fuga [—]. Amor non men di lui veloci ha i vanni, / fugge co’ l fior del volto il fior degli anni». Lo scrittore triestino evidenzia come spesso la donna nel barocco diventi rosa che sfiorisce, mentre il sole è vissuto e ammirato quando cala, come in Fabio Leonida, accanito marinista: «Così riluce il sol più dolcemente/ e meglio si vagheggia, allor che scende, / passato ‘l mezzo dì verso Occidente».


In epoche successive, alcune poesie famose che affrontano il tema della vanitas includono "Vanitas vanitatum" di Goethe (1749-1832) 


"È tutto assolutamente vano

Io vedo ovunque guardo, solo vanità sulla terra 

Ciò che questi oggi costruisce, quegli domani abbatte 

Dove ora si ergono le città, così meravigliose,alte e belle 

Li presto camminerà un pastore con le sue greggi

Ciò che ora fiorisce in modo così splendido,presto sarà calpestato 

Colui il quale ora si vanta e resiste così, lascerà cenere e ossa 

Nulla è, che al mondo possa essere intransitorio 

Ora splende il sole della buona sorte, presto tuoneranno i lamenti"


e A se stesso di Giacomo Leopardi (1798-1837), che riflette sull'effimero, sulla inutilità della bellezza e sul trascorrere del tempo. 


"Or poserai per sempre,

Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,

Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,

In noi di cari inganni,

Non che la speme, il desiderio è spento.

Posa per sempre. Assai

Palpitasti. Non val cosa nessuna

I moti tuoi, né di sospiri è degna

La terra. Amaro e noia

La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.

T’acqueta omai. Dispera

L’ultima volta. Al gener nostro il fato

Non donò che il morire. Omai disprezza

Te, la natura, il brutto

Poter che, ascoso, a comun danno impera,

E l’infinita vanità del tutto."


Nel Novecento vale la pena di segnalare almeno il Giuseppe Ungaretti (1888-1970) di Soldati


"Si sta come 

d'autunno

sugli alberi

le foglie"



e il Giorgio Caproni ( 1912-1990) di Foglie


"Quanti se ne sono andati…

Quanti.

Che cosa resta.

Nemmeno

il soffio.

Nemmeno

il graffio di rancore o il morso

della presenza.

Tutti

se ne sono andati senza

lasciare traccia.

Come

non lascia traccia il vento

sul marmo dove passa.

Come

non lascia orma l’ombra

sul marciapiede.

Tutti

scomparsi in un polverio

confuso d’occhi.

Un brusio

di voci afone, quasi

di foglie controfiato

dietro i vetri.

Foglie

che solo il cuore vede

e cui la mente non crede."


o in Germania Herman Hesse (1877-1962), strepitoso in Scritto sulla sabbia


"Che il bello e l’incantevole

siano solo un soffio e un brivido,

che il magnifico entusiasmante

amabile non duri:

nube, fiore, bolla di sapone,

fuoco d’artificio e riso di bambino,

sguardo di donna nel vetro di uno specchio,

e tante altre fantastiche cose,

che esse appena scoperte svaniscano,

solo il tempo di un momento

solo un aroma, un respiro di vento,

ahimè lo sappiamo con tristezza.

E ciò che dura e resta fisso

non ci è così intimamente caro:

pietra preziosa con gelido fuoco,

barra d’oro di pesante splendore;

le stelle stesse, innumerabili,

se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi

– effimeri –, non raggiungono il fondo dell’anima.

No, il bello più profondo e degno dell’amore

pare incline a corrompersi,

è sempre vicino a morire,

e la cosa più bella, le note musicali,

che nel nascere già fuggono e trascorrono,

sono solo soffi, correnti, fughe

circondate d’aliti sommessi di tristezza

perché nemmeno quanto dura un battito del cuore

si lasciano costringere, tenere;

nota dopo nota, appena battuta

già svanisce e se ne va.

Così il nostro cuore è consacrato

con fraterna fedeltà

a tutto ciò che fugge

e scorre,

alla vita,

non a ciò che è saldo e capace di durare"


Ed oggi? 

Mi piace segnalare almeno:


"Nasce incendio e muore sole

questa gioia che torna a intiepidire il vento.

Torneremo a dire grazie per il buio,

per l’alba dei rasoi.

Per ogni fuoriclasse spento

che accarezza la palla con la suola,

che infila l’incrocio dei pali, e non esulta.

Come una prostituta annoiata da dio

anche tu volevi fare alta la vita.

Cercavi il tuono nelle serrande,

dribblavi fiori, altalene,

elefanti di vetro. Dicevi:

«Sono felice perché non sono qui»."


Giovanni Ibello, da Dialoghi con Amin (Crocetti, 2022)


E anche:


"C’è gente che ci passa la vita

che smania di ferire:

dov’è il tallone gridano dov’è il tallone,

quasi con metodo

sordi applicati caparbi. 


Sapessero

che disarmato è il cuore

dove più la corazza è alta

tutta borchie e lastre, e come sotto

è tenero l’istrice."


Nelo Risi, Sotto i colpi In "Pensieri Elementari" (Mondadori, Milano 1961).






Commenti

  1. Gustato davvero, con tutta l'attenzione che merita la caducità di ogni nome dato alle cose terrene.

    RispondiElimina
  2. Stupendo il tuo dire e a esso aggiungerei / il nipote di Rameau di Diderot, / nel suo monologo sulla vanità!

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari