QUADROPHENIA - Khan Klynski - “le ceneri di Arthur Fleck”
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Khan Klynski |
Risulterà
impossibile disperdere nel sonno le angherie ove manchi un Sole isolato,
scarseggi vitamina D per infusione o diffusione di affanni ma molto più
probabile agli affranti carenza d’affetti di prestigio o fotosintesi liberi da
una camera antipanico vittima dei cristalli liquidi.
Così, onde
evitare lo sperpero degli ultimi risparmi e rimaner senza un solito consolidato
soldo sordido contorno, si avanzi di balcone in baraccone intonando canti di
resa maestà sicché il vicino, considerato il q.i. presente morto, ponga rimedio
all’altrui prestazione orale denunciando il fabbisogno d’amore alla pulizia
municipale.
Impossibili.
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Joker di Todd Phillips (2019) |
Dicesti che son
tutti così acuti osservatori dell’altrui omissione da organizzar le ronde, come
untori. E al noi che parliam poco e poco troppo manchi anche la voglia di
rasare, tesi tersi ad isolare sentendo sì un tantino persi, presi per il naso.
C’è parso persino che codesti indigeni nel tempo libero si scambino battute sul
più bello, brutto, grassa o venduto al rondò della conta di taluni peli del
cuculo glabro. C’è parso si ricamino di brutto tempo libero o uccidano di spork
all’aperto che a dirla esatta è peggio del quando un dì si stava al peggio.
Allora visti gli
attriti ritriti, intorpiditi, trattati sull’onda lunga della tiritera, si
accinga a far la scelta servile da padrone dell’orgoglio, ritirati i torti e
dileguati in singolar tensione a bocce ferme (quindi statisticamente immobili a
paravento) palesando un’onesta più intenzione a digiunare in sottrazione.
E dir che si
sperava disperati nel buon gesto di pietà di qualcun altro al – fate la carità
fardelli – da qualche duna nel tendere la mano, suonare il campanello e
scindere il rancore, quell’astio da tinello al lavabo della cosciente
sedentarietà.
Mai dirmi m’hai.
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Joker di Todd Phillips (2019) |
– – Ahimè Dio latitante – nessun si prese l’onere di dimostrarsi empatico, cortese con il simile e palese infondo aspettarne il corpo e che si interrino le ultime pretese.
Ma chiedi cara
mia l’indifferenza se non ci sia memoria del sofferto [chi prima o poi tocchi
un fondale], cadere sul più bello, flettersi ai sicari per le scale che per
giustizia etica siam sempre noi i noduli nell’attimo in cui ci rivediamo,
salutando con la mano sporca di sangue, inchiodati al mondo, per gabbie
ricevute, malati se non disgrazie deambulanti che vivono oltre un cuore in
singole sparate, diapositive senza alcun contrasto, una alla volta per
manifesta inferiorità tra vuoti d’aria e paura, ansie e Cassandre, figli dei
più sordidi.
Il palco, non
sanno gli ultimi, è specchio di uno scherno dai piedistalli liquidi e al centro
un piccolo criceto contro corrente, a bestemmiar l’avvento della ruota che
inesorabile travia le stagioni a ripiegare la rinfusa del sudario tutti il
giorno, codesto strano aggeggio mono-tono.
Si scordano di
respirare, l’apnea è infinita.
Vestono la
rabbia e si protendono. Lanciano parole e imboscano la mano. Scappano di bocca in botola ma è tardi e per
sentore, sensibili nell’animo in pretesti, protesi e bramosia esalano coraggio
al cardio-palmo, immutabili, per chi l’ha già mostrato, rispetto per i morti al
doppio peto, grasse risate senza nulla togliere al vissuto, senza pietà più
alcuna per Nessuno, nemmeno per le piaghe dallo specchio.
Neanche l’eterno
ti sia concesso.
- Ah questa
giostra come corre e prende e possiede e sfrutta e frusta e dista e disfa senza
goder l’affanno o gioia alcuna, affoghi del prestigio, a petto in fuori, in
fila indiana senza esitare code di lucertola come se il sole fosse caldo per
scontato, il ciel che non ha nuvole sereno, sudare il grano e non sentir più
fame, acqua salata ma in vasi di lacrime.
Oh realtà non
fossi storta
saresti ancora Vita…
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Joker e me |
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