FRAGMENTA – Deborah Prestileo - Amor sacro e amor profano. Gesù, Tiziano e De André

Deborah Prestileo

 

Roma, Galleria Borghese. Lunghi corridoi, quelli di un ospedale, se non ci fosse l’arte. Mi fermo davanti a un Tiziano e vengo istantaneamente rapita da due donne, una vestita di broccato e l’altra nuda. A dividerle è un bambino alato, probabilmente Cupido, intento a mescolare le acque di una fontana con fare assorto, quasi cercasse una verità universale. Sullo sfondo, la realtà onirica di un paesaggio bucolico. Amor sacro e amor profano, si intitola l’opera. Riguardo il quadro e la ragione inizia a oppormi resistenza: chi è l’amor sacro e chi l’amor profano?

Forse è una distorsione professionale, o addirittura biologica, visto che, alla radice stessa del pensiero occidentale, il nostro il dna è quello dei Greci. E anche attivando tutte le aree cerebrali non trovo il dettaglio che deve evidentemente essermi sfuggito. Non so cosa cerchi di preciso, immagino qualcosa che faccia emergere il secolare conflitto tra purezza e peccato.

Del resto, l’amore dei nostri antenati non è mai un concetto monolitico ma multiforme, umano e divino, tanto che nella lingua greca esistono più parole per riferirsi a forme di amore differenti: éros, philía, agápe, storgé. L’attrazione fisica, l’affinità elettiva, l’amore incondizionato e l’affetto spontaneo.

Ma nulla, in questa scena, appare conflittuale né divisivo. Nulla mi fa pensare a una definizione sola. Al contrario, non posso fare a meno di notare che le due figure hanno lo stesso volto, come a suggerire che siano manifestazioni di un’unica identità femminile, persino i loro corpi richiamano gli stessi colori e in proporzioni speculari.

La donna vestita è ricca e composta, forse simbolo dell’amore legittimo, e quindi sacro almeno in senso istituzionale. L’altra, invece, è senza vestiti, profondamente ieratica nel trarre piacere dalla sua stessa nudità. Tra l’una e l’altra c’è l’acqua, la transizione e la purificazione.

È quando mi soffermo su questo elemento che ho l’intuizione: tra sacro e profano c’è tutt’altro che conflitto. Anzi, c’è osmosi, vale a dire quel fenomeno fisico per cui un solvente passa, attraverso una membrana semipermeabile, da una soluzione meno concentrata a una più concentrata, fino a raggiungere l’equilibrio.

Forse l’amore è uno solo, allora, ma nel suo essere uno comprende le ragioni dell’universo.

Tutte, credo. La carne, dunque, ma anche lo spirito. In fondo, cos’è il sacro? Non è assenza di corpo, ma presenza che lo trasfigura. Si ricorderà che in Luca 7, 36-50, Gesù è a cena da un fariseo. A un certo punto entra una donna, la peccatrice della comunità, che poi la tradizione identificherà con Maria Maddalena. Non dice nulla e si avvicina a Gesù, inginocchiandosi. Con le lacrime gli bagna i piedi e con i capelli poi li asciuga. Li bacia e infine li unge con un profumo prezioso. Un gesto sconvolgente, questo, troppo intimo, troppo audace e troppo femminile per essere accettabile.

È amore? Sì. È erotismo? Sì, ma trasformato, sublimato, redento. È profano nella forma e sacro nel contenuto, ecco perché Maria Maddalena si trasforma da peccatrice a discepola, seguace tra i seguaci di Cristo.

Ci vedo tutto questo, nella tela di Tiziano. Mi ci ritrovo molto, penso, e non perché abbia stabilito quale sia delle due, se la vestita o la nuda, ma perché si fa sempre più forte, in me, quello che mi piace definire l’assioma della mia esistenza, e cioè che siamo fatti di moltitudini. Di desiderio e devozione, di natura e intelletto, di bisogno e libertà.

Amor sacro e amor profano, allora, è un invito ad accogliere la complessità, a non dividere ciò che in fondo è indivisibile.

Continuo a fissare l’opera, squadrandola in ogni dettaglio infinitesimale, come se con lo sguardo potessi ripercorrere tutte le pennellate che hanno generato questo artefatto che fatico ancora a credere umano.

Una melodia, intanto, inizia a risuonare nella mia mente, e non appena la focalizzo mi rendo conto che è De André in Bocca di rosa.

A Sant’Ilario, nella periferia del genovese, una donna – la chiamavano bocca di rosa / metteva l'amore sopra ogni cosa sconvolge la comunità con il suo comportamento passionale e libertino, forse non fedele agli uomini ma di certo fedele a sé stesso. Le donne del paesino, gelose, si coalizzano per farla allontanare, ma al volgere della canzone succede qualcosa di assolutamente inaspettato: il parroco la include in una processione religiosa, niente meno che accanto alla Vergine.

Bocca di Rosa è la storia di un amore che non può essere più terreno, progressivamente nobilitato fino a essere benedetto. Si infrange ancora una volta il confine tra il santo e il sensuale, perché la carne partecipa continuamente al sacro.

Non c’è scandalo, solo epifania. O non è così che siamo ammessi al meraviglioso rito della vita?

Commenti

  1. Brava davvero. Una scrittura che coinvolge nella delicatezza evocativa di immagini e contenuti. Tra sacro e profano che il limite sia sottile?

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  2. Complimenti all'autrice, pezzo davvero bellissimo!

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  3. La scrittura di questa donna è carne che si fa verbo… sensuale, pulsante, viva. Smuove dentro… ma con un tocco lieve. Leggere i suoi contributi è un piacere che non si ferma alla mente. Le sono grato

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