L'INGRATO - David La Mantia - Accudire la vita. Per una lettura di Elisabetta Destasio Vettori

 

David La Mantia


Oggi cosa cerco in chi fa poesia? Non solo la tecnica, non solo l'arte di mettere in coda parole come elefanti del circo. Cerco, per dirla con Popper, autenticità, e poi vita vissuta, impegno civile, partecipazione, umanità. Cerco etica.

Cerco una voce ed un corpo, un agire. Ecco, Elisabetta Destasio Vettori mi offre questo, con la sua poesia. Ed è un piacere donarvi dei suoi testi, per me straordinari, di cui la ringrazio con un abbraccio.

 

Madre

faccio un nido tra gli

spazi bianchi della tua memoria

 

in ogni giorno che passa su ogni tuo ciglio caduto, in ognuno dei tuoi passi mancati

 

e nella tua voce e nel tuo corpo - assenti giustificati, dice un medico -

lui ripete demenza,

io dico tua nuova infanzia

 

perciò ti faccio il nido, madre,

mi ci accovaccio dentro e ti invento figlia, ti faccio spazio nel verbo accudire.

 

Madre e figlia. E tu uniscile, nel comune dolore. Nella parola che si fa abbraccio. Nel perdere coscienza che non è fine, ma nuovo inizio.

Non posso negarlo. È con grande rispetto che mi avvicino alla poesia di Elisabetta Destasio Vettori. Perché è personalità di spicco del mondo culturale italiano. Perché è vera e profonda.

Innumerevoli sono i temi toccati dall'artista.

Roma, ad esempio, che è il centro e la vertigine di Elisabetta, la luce, l'amante e l'amata insieme, la città natale dove vive e del cui amore si nutre. È difficile trovare nella poesia contemporanea una tale simbiosi. Bisogna ritornare a Sbarbaro e Montale ed al loro paesaggio ligure, a Saba ed alla sua Trieste fanciulla. È un rapporto pieno, quasi erotico, catartico, sempre salvifico, una vera cura al dolore fisico e insieme metafisico, all'assenza che avvolge l'artista, come è evidente nel passo sotto proposto

 

a piedi nudi

chilometri senza sosta

poi: la luce di Roma

solo per vedere se ancora esisto, se ancora ho

la forza di sillabare

sei la mia terra,

mi apro a te

di eros e di pace

-senza più dolore

 

La poetessa gioca altrove su alcuni archetipi junghiani con significati multipli (il mare, il bianco, il cielo. In particolare il bianco, che richiama insieme l'innocenza, la purezza e la morte). Bellissimo l'uso retorico, presente ovunque, anche se mirabilmente dosato: il poliptoto bianco-bianca, le assonanze bianco-marmo e nudo-aguzzo-autunno, la paronomasia mondo-moto e lo straordinario gioco fonico giallo-foglia ginko-biloba; e ancora i richiami luce-illuminato e soprattutto quello dagli infiniti contorni mare-parola, uniti dallo stesso colore; gli ossimori appena accennati autunno-illuminato e sospesa-collisione, l'analogia seme di marmo. Il tutto, in un assunto che sembra sciogliersi in un contenuto potente e emozionale, di innocenza primigenia.


Bianco mare,

seme di marmo

d'innocenza

sul mondo

-perpetuo moto


bianca parola

so di non sapere


la luce del corpo nudo

in un angolo aguzzo

l'autunno illuminato su

giallo foglia ginko biloba


 {siamo punti in sospesa

collisione?} 


La Destasio sembra incapace di reagire, annichilita, nella sua nudità non solo fisica (esempio di purezza e insieme di erotismo, di una presente assenza).

Eppure resiste ed immagina una realtà di innocenza. Ed è forse in questo eppure, la grandezza e il respiro così ampio della sua Poesia.


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