CERCANDO LE CHIAVI - Anna Segre - Il falso sé
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Anna Segre |
Vorrei
addentrarmi nel concetto di falso sé.
In
psicologia, potremmo considerarlo una risposta difensiva del vero sé
precocemente rifiutato dalle figure di attaccamento.
La disapprovazione di comportamenti, atteggiamenti, sentimenti, modi, predilezioni, che può passare per invalidazioni, punizioni, dileggio, aggressioni, esclusioni e negazioni, è terribile, è l’esilio dall’affetto e può provocare questa specie di meccanismo di difesa: la creazione di un falso sé che faccia contente le persone care.
Il falso
sé è la parte in ombra dell’educazione che ci viene impartita per allinearci al
gruppo di appartenenza. Necessaria, l’educazione, il codice sociale condiviso.
Tra ipocrisia e educazione ci sarà un millimetro.
Noi tutti
non defecheremmo in sala da pranzo.
Non ci
denuderemmo in metropolitana.
Avremmo
una certa difficoltà ad avere un rapporto sessuale, un vero rapporto sessuale,
davanti a una platea.
Non che
queste azioni, che svolgiamo altrimenti in bagno, nello spogliatoio della
palestra, in uno spazio privato e senza testimoni, non possano invece essere
agite come sopra, però è molto raro. O è un film di Buñuel.
In un
certo senso, l’educazione regola la collettività in atti di cui si condivide il
‘come’ vengono agiti ed è disapprovato ed esiliato chi non si attiene alla
regola, che appunto, come Buñuel insegna, è solo una regola, non è detto che
sia santa e inviolabile. Pur ravvisando l’assurdo della rigidità di certe
regole sociali, mi rendo conto che l’attenervisi di tutti le rende
gravitazionali, indiscutibili.
Ma come
arriva il falso sé?
Come un
fiume, la maggioranza scorre nell’ovvia direzione di un qualche mare, che ne
so, la famiglia, un lavoro regolare, l’eterosessualità, il dio e la patria. Non
sia mai che noi non si desideri una famiglia, o non ci si qualifichi rispetto a
quello che si fa per vivere, o non si abbia un partner di riferimento, meglio
dell’altro sesso, meglio correligionario, e blabla l’appartenenza, che a volte
è una brutta parola. E poi tutti gli affluenti molto influenti, senza i quali
il fiume sarebbe lento e in secca. Al mare più agognato, quello del ‘successo’,
non ci arriverebbe: il linguaggio, il vestiario, la credibilità, la posizione,
il potere acquisito e il consenso.
È qui,
sugli affluenti che alimentano la corrente, che arriva il falso sé.
Deve
sembrare che siamo una famiglia serena, anche se (ognuno completi la frase con
i propri ‘anche se’).
Deve
sembrare che sono una persona di un certo tipo. Forte, debole, fragile, ‘troppo
buona’, ‘troppo disponibile’, formale, di sinistra di destra, impegnata, umile,
l’umiltà in persona.
Soprattutto
se ci vergogniamo, o abbiamo segreti inconfessabili, se crediamo di essere
inadeguati, immeritevoli, traditori, noi sviluppiamo un bel falso sé
presentabile ai nostri stessi occhi in ragione di ciò che non vogliamo si veda
di noi.
Il social
che ci unisce, cioè fb, è la piastra di Petri del falso sé.
Noi
diciamo ‘bellissima’ sotto le foto dei contatti cui vogliamo piacere o che
hanno contatti che ci interessano o in considerazione del fatto che vorremmo
somigliare al contatto stesso. E a volte perché pensiamo davvero ‘bellissima’.
Noi usiamo
parole lusinghiere, che poesia meravigliosa, stu pen da, sei oltre, mitica, tu
mi allarghi l’anima, ti manda il cielo, sei bravissima, genio. Molte volte è
vero. Ma spesso questo nostro commentare si chiama ‘falso sé, ed è ciò che noi
pur non
pensando propriamente le cose che scriviamo,
vorremmo
che gli altri pensassero che noi pensiamo;
o che
dicessero di noi in futuro sotto un nostro post analogo;
o forse lo
scriviamo perché altri che vorremmo fossero nostri ‘amici’ lo hanno scritto e
vorremmo essere in quel giro anche noi.
Lo
facciamo per essere accettati
amati.
Per far
parte.
Il falso
sé è la parte in ombra dell’educazione,
ma è anche
un anelito
verso l’altro
un
tentativo estremo di essere come l’altro preferisce
o come
pensiamo preferisca.
Siamo
falsi. Rinunciamo al nostro pensiero critico perché gli altri ci tengano in una
certa considerazione e ogni volta che questo avviene ci indeboliamo. Sì,
perfino il corpo sa quando non pensiamo ciò che scriviamo, soffriamo anche
fisicamente, sarei pronta a scommettere che ci si abbassano le difese o che ci
si innesca un’autoimmunità.
Ma siamo
abituati a questo, a sostenere una falsità che non ci corrisponde, perché ci
pretendiamo, prima che artisti veri, professionisti ineccepibili, madri
affettuose, lesbiche impegnate, brave persone in assoluto. Affanculo la
complessità e la mediocrità di cui facciamo parte. E allora confermiamo gli
altri perché gli altri confermino noi.
Posso qui
dirvi che la falsità delle figure d’attaccamento è fonte di malattia mentale,
che il bambino in fondo sa, percepisce quando l’adulto mente, anche se vuole
credergli con tutto se stesso perché non c’è che l’adulto tra lui e i predatori. E un adulto che si finge
allegro o vincente o vittima o tranquillo mentre non lo è, insomma un adulto
già portatore di falso sé, instilla nel bambino un dubbio che lo confonde o
l’idea che non ci sia chiarezza possibile e che tutto possa essere manipolato.
La malattia mentale che ne deriva avvelena le sue relazioni affettive e la
possibilità di creare alleanze, collaborazioni e men che mai legami.
Il falso
sé c’incapretta a un obbligo, siamo legati e ci strozziamo ad ogni movimento
che si opponga al nodo. Stiamo nel bilico tra la sopravvivenza nella
collettività e il pensiero critico.
Se
fingeremo bene, però, saremo graziati e manterremo capra e cavoli.
Oppure
diremo quello che pensiamo, e saremo graziati dalla malattia.
Il mio vero sé pensa che tutto questo è motivo di infelicità per la maggior parte di noi, è il gioco che non vale la candela, la maschera che ci perseguita, l'equilibrio che sfarfalla... come un timone che si obbliga a seguire un cuore che già più non gli appartiene. Grazie.
RispondiEliminagrazie tante
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