Marco Brogi - “Faber, poeta suo malgrado”

 

Marco Brogi


Le quattro poesie semisconosciute di Fabrizio De André


Il testo di una canzone può essere poesia? I cantautori, o almeno quelli più quotati, hanno scritto testi che stanno in piedi anche senza la musica e quindi possono essere letti come si legge una poesia? A questa domanda piuttosto scivolosa hanno risposto o provato a rispondere in tanti.
Sulla materia, dagli anni ‘80 ad oggi, sono usciti chilogrammi e chilogrammi di libri.
Il fil rouge che unisce un po’ tutti gli interventi è che no, i testi delle canzoni, anche i migliori, anche i più riusciti, senza il vestito sonoro sono nudi, orfani. Anche se, a mio modesto parere, nei canzonieri dei vari De André, De Gregori, Vecchioni, Guccini, Battiato, ci sono delle splendide eccezioni.

Ma di questo e della presenza del poetico nelle canzoni parleremo in un prossimo futuro.

A questo giro vorrei invece proporvi le quattro poesie (sconosciute ai più) del più noto e celebrato dei cantautori italiani, Fabrizio De André. Perché mi avventuro nell’impervio sentiero? Semplice: un po’ per gioco e praticare leggerezza e un po’ perché convinto della qualità di versi che per ricchezza e originalità di immagini, uso delle figure retoriche e ritmo hanno diritto di cittadinanza nei luoghi della poesia.
Si tratta di poesie scritte in epoche diverse. La prima che vi propongo, a mio modesto parere bellissima, fu pubblicata sull’Espresso del 24 agosto 1980.




Caleidoscopio


Pettirosso d’ogni novembre, lo stiamo ascoltando all’unisono


il fottuto maestrale di Francia che ci piega le smorfie ad oriente


salute agli antichi padroni pettirosso, salute allo stemma


di questa brigata di sughere pettinate ancora all’Umberta


usignolo d’aprile, anche stanotte hai cantato che esiste un destino più triste,


di chi avverte morire all’intorno le memorie più care,


è il destino di chi morente allo specchio di tenere gemme


riconosce per sé il divieto di rigermogliare,


raganelle di luglio, cicale notturne del prato


l’avete veduta la nostra gente stretta nel cerchio


dei grandi fuochi


ancora oggi appiccati, per poca sapienza,


come intorno alle salamandre nei giorni crudeli


della nostra infanzia.


settembre degli stormi anche quest’anno a mettere fine


alle tre sofferenze ritorni, anche quest’anno contesi


coi tuoi affamati festosi emigranti, mungeremo i tuoi grappoli


e al riparo dalle tue piogge segrete,


conserveremo nell’ombra del legno il tuo latte d’autunno



prima che i venti del nord ritornino a frullare gli oceani.




La seconda poesia, invece, è un inedito degli ultimi mesi di vita dell’artista riemerso da


un’agenda custodita presso la Facoltà di lettere di Siena, sede dell’Archivio De André.




Poesia a San Francesco


A che vale avere amato


se nessuno se ne è accorto


anche se lo hai fatto per il bene di tutti


tu con la tua povertà,


con la tua umiltà


hai saputo umiliarci.





La terza poesia compare all’interno della copertina del disco live del 1979 di Faber con la PFM.


Blues di altra data


A Patrick, 28.01.1979

Noi siamo qui che aspettiamo che cominci, ragazza


Noi siamo qui che aspettiamo che cominci


Le vedi tutte queste teste ragazza


Le vedi tutte quelle palle da bigliardo


Loro sono qui ad aspettare qualcosa ragazza


Loro sono qui ad aspettare che qualsiasi cosa cominci


Ma tu chiudi il tuo balcone ragazza


Questa sera voleranno bombe molotov


Mi hai capito ragazza


Questa sera voleranno bombe molotov e lacrimogeni


Chiuditi, ragazza, dentro agli occhi e al balcone


Se non vuoi piangere senza disperazione


Noi siamo qui stasera, ragazza


Noi siamo qui che aspettiamo che qualcosa cominci.




Il quarto e ultimo è un testo che De André aveva regalato, con dedica, a Pepi Morgia, suo storico collaboratore, e scritto su di un tovagliolo di carta nel corso di una cena dopo un concerto a Vienna. Il manoscritto è conservato a Genova nel Museo Viadelcampo29rosso, dedicato ai cantautori della "scuola genovese".




Vienna, 20 febbraio 1982


Vengono le onde del sonno


al ritmo del sospiro,


al ritmo della birra respiro


e io mi lascio sommergere


e affogo, quasi dolcemente


e mi lascio sommergere


nel brivido che dà la coscienza


di una sconosciuta esperienza acustica.




Se i testi delle canzoni non sono poesia, non è detto che i cantautori più dotati dal punto di vista letterario non siano in grado di scrivere buona poesia. De André, a mio avviso, ne è la conferma.
Va da sé che, per il profondo rispetto che nutriva nei confronti della poesia, l’artista genovese avrebbe sicuramente rifiutato la patente di poeta:
Ho letto Benedetto Croce, L’Estetica, dove dice che tutti gli Italiani fino a diciotto anni possono diventare poeti: dopo i diciotto chi continua a scrivere poesie o è un poeta vero o è un cretino. Io, poeta vero non lo ero. Cretino nemmeno. Ho scelto, precauzionalmente, la via di mezzo: cantautore”.


(Fabrizio De André - Come un’anomalia. Tutte le canzoni. Saggio introduttivo di Roberto Cotroneo, Einaudi, 2003).


Commenti

  1. Valerio Gallerati12/02/24, 18:00

    Faber 💕 sono stato letteralmente svezzato al suono delle sue ballate❣️ Quando venne a mancare piangemmo come si piange un amico, un parente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie tante del commento appassionato

      Elimina
    2. Grazie a te, Valerio. Faber ha segnato la mia vita.

      Elimina

Posta un commento

Post più popolari