Doris Bellomusto - Dalle viscere del tempo
Doris Bellomusto |
Sono fatta di storie
sussurrate
aru vientu,
storie di fimmini
forti
come temporali.
Sono una somma di storie storte e date in pasto all'oblio.
Sono fatta di semine e raccolti, canti e cunti.
Sono fatta di generosi perdoni e mancate scuse.
Sono fatta di storie coraggiose e non le tradirò.
Mi porto addosso la pelle di tante donne che non ho conosciuto.
Vengo da un mondo contadino e vergine, ribelle e aspro, da un dialetto caldo nella cadenza e forte nell'accento. Sono quella che sono perché altre donne hanno guidato i miei passi e lo hanno fatto senza neppure conoscermi.
Da un utero sconosciuto e lontano ho ereditato questo sangue caldo e questa fibra tenace, ma quieta.
Vengo dal ventre di donne comuni, abituate a riconoscere nel quotidiano le ragioni del loro vivere. Mi hanno insegnato ad allungare lo sguardo solo se è necessario, altrimenti so guardare alle cose solo da vicino. Non so se è un bene, so che si risparmiano energie. Non porto il nome di nessuna, non assomiglio a nessuna, ma sono insieme la somma e la differenza delle generazioni che mi hanno preceduta e oggi vorrei saper pensare pensieri forti e utili, concreti, misurabili.
Le donne da cui vengo avevano pensieri buoni e necessari come il pane e oggi voglio indossare una pelle nuova e remota, ancestrale, sincera, concreta. Dalle viscere del tempo, donne simili a lupe, hanno costruito per me dimore sicure, focolari e letti. Hanno acceso candele e impastato il pane, hanno setacciato la farina e raccolto castagne, olive, pomodori, fichi da seccare al sole. Hanno rinunciato al piacere, alla vanità, al gioco, ma non all'allegria.
Poi un giorno di primavera è nata Dora, era il 14 Maggio 1927, lei è andata oltre il suo tempo, ha voluto imparare l'arte della gioia e tramandarla ai suoi figli e nipoti. Da lei ho imparato ad annusare la menta, i pomodori appena raccolti, il basilico, il sugo sul pane nelle mattine d'inverno, l'odore della legna quando brucia, le bucce degli agrumi. Con lei ho imparato a dare e ricevere baci, abbracci, slanci improvvisi d'amore impavido. A lei penso quando faccio qualcosa di bello, quando brillo per vanità o per amore.
Penso a lei quando la mia pelle è sincera, quando mi dedico alle cose che mi fanno stare bene e mi concedo di essere nient'altro che una creatura fragile e avida di dolcezze. E quando è così divento anch'io una rosa di Maggio.
Ci sono donne che abitano il tempo con la forza dei fiori di campo, del grano che diventa pane, del mare che diventa nuvole, della pioggia che nutre gli alberi, della terra che non conta i nostri passi.
Dora era una donna così e così sono le sue figlie e così voglio essere io.
Il tempo sulla pelle graffia. Su di me ha disegnato tante smagliature e a me piace riconoscere nel mio corpo la storia che lo nutre. Somigliano alle strade che ho percorso, le mie smagliature, le strade che mi hanno allontanata da qui, che mi riportano qui, che ancora una volta mi porteranno altrove. Graffia, la nostalgia, io accarezzo i ricordi, abbraccio chi c'è, ritrovo l'odore del mio passato remoto sulla mia stessa pelle.
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