POETICO ACCESSORIO - Claudia Olivero - Una residenza sabauda e due teorie che non si discostano troppo
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| Villa della Regina-Torino |
“La poesia e le altre” è il titolo della conferenza che Maria
Grazia Calandrone ha tenuto il 5 novembre 2025 a Torino, in un luogo
maestoso e raccolto, un po’ fuori rotta, come spesso lo sono le cose belle:
Villa della Regina.
Ha parlato di poesia. Di arte. In particolare del rapporto tra
poesia, fotografia e musica.
Questo mese mi stavo preparando a scrivere di un altro
argomento, ma l’incontro di ieri con le parole delicate di M. G. Calandrone, mi
ha fatto cambiare rotta. E siccome era anche molto tempo che non mi addentravo
in una mostra fotografica, oggi pomeriggio mi sono ritagliata il tempo per
andare a vedere Lee Miller al Camera, Centro italiano per la fotografia.
Poi è successa una cosa strana, mentre scrivevo queste parole,
seduta in un bar: ho trovato degli appunti di qualche mese fa, in questo stesso
quaderno con le pagine color salmone. Sono citazioni di Christian Bobin. E
vanno, apparentemente, nella direzione opposta rispetto a quello che ieri
sosteneva Calandrone.
Certamente, mi dico di primo impatto, non è detto che artisti
diversi, anche se si occupano della stessa materia – la parola – , debbano
avere le stesse opinioni. In arte, come in amore, non c’è giusto o sbagliato,
ma solo ciò che si prova. Quella è l’unica realtà.
Così mi addentro nelle parole che in momenti diversi ho
appuntato su taccuini diversi e nelle quali ho immediatamente creduto, ogni
volta:
Calandrone dice che la conoscenza è il primo parametro per poter
immaginare e quindi scrivere, che la poesia nasce dall’osservazione ossessiva
della realtà. Sì, utilizza proprio questo termine: osservazione ossessiva. Solo
a quel punto, prosegue, ci sembra di “intuire”.
Incalza invece Bobin, in quello che sul momento mi pare un
dialogo intimo tra illuminati, che “si può scrivere solamente di ciò che si
ignora”.
E allora? E dunque? Da che parte sedersi a osservare?
Ma Calandrone prosegue affermando che la poesia focalizza
l’attenzione su qualcosa che prima non era visibile, che perdere è smettere di
possedere. E perdersi, scavalcare sé stessi, è una delle chiavi della poesia.
Allora tiro un sospiro di sollievo, perché in fondo questa cosa
l’avevo letta anche in Bobin.
“Si può scrivere solo muovendosi verso l’ignoto” e “vuotare le
tasche. Perdere il proprio nome. Scoprire, rapiti, la certezza di non essere
nulla”.
La certezza di non essere nulla, di non sapere abbastanza: è questo che ci mette nella condizione di conoscere veramente e quindi di immaginare, fino a produrre qualcosa che si avvicina all’arte.
Come i “Sacchi di cotone” di Lee Miller: “la fabbrica di nuvole”
che nasce da una devastazione, da una rottura. Dall’abbandono di ogni certezza.
Ancora Calandrone cita Anedda, che dice di guardare sé stessi da
una certa distanza, perché solo questo gesto ci permette di uscire da noi
stessi, per poterci, infine veramente vedere.
Insomma, non è che volessi trovare la verità assoluta nelle parole di questi artisti, ma avere delle certezze aiuta!
VERDE CON CIELO SOPRA[1]
dove manca l’affabile carne umana,
l’oggetto socievole, la cosa
– dove manca la cosa
fissata nella materia,
passa
la luce
di questo mondo
radioso e gentile – e così
bello, privo di senso: perfetto
Fiumicino, 28 ottobre
2017



Sempre piu'brava Claudia Olivero e mai stanca di approfondire!!!!lei è Poesia!!!!!!!
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