L’ORDINE ED IL DISORDINE - Cecilia Gentili - Tadao Ando, “poeta della luce”

 

Cecilia Gentili


Ci sono architetti che costruiscono città, e altri che costruiscono emozioni. Tadao Ando appartiene a questa seconda categoria. Le sue opere non sono semplici edifici, ma esperienze sensoriali: spazi che parlano attraverso la luce, il cemento, l’acqua e il vuoto. 


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Non credo che l’architettura debba parlare troppo. Dovrebbe rimanere in silenzio e lasciare che la natura si travesta di luce del sole e di vento.”  Tadao Ando


Tadao Ando è un architetto giapponese autodidatta, nato a Osaka nel 1941. Da autodidatta, studia le opere dei maestri occidentali come Le Corbusier, Wright e Kahn, viaggiando in Europa e in America. Questa formazione “non convenzionale” lo rende unico: libero da schemi culturali tradizionali, ma ricco di influenze che reinterpreta con una sua personale sensibilità giapponese.

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Chiesa della Luce a Ibaraki (1989)


Ando è conosciuto per l’uso sapiente del calcestruzzo a vista: liscio, preciso, quasi vellutato. Non è mai un materiale freddo, ma un mezzo per esaltare la luce e i contrasti. Nelle sue mani il cemento diventa un foglio neutro, che lascia spazio agli elementi fondamentali della natura: il sole, l’ombra, l’acqua, il vento

Noto come il “poeta della luce” per la sua capacità unica di trasformare materiali pesanti come il cemento in strumenti poetici e spirituali, dando vita a architetture in cui la luce naturale diventa protagonista assoluta. La sua opera più celebre, la Chiesa della Luce a Ibaraki (1989), rappresenta un’interpretazione innovativa e profonda della spiritualità architettonica, in cui la luce entra attraverso un taglio a forma di croce nel muro, 


simbolo di speranza e connessione tra l’uomo, la natura e il divino. In questa opera, i muri in cemento a vista, il legno grezzo e la luce naturale formano un gioco compositivo che crea un’atmosfera contemplativa e mistica, senza l’uso di simboli religiosi convenzionali, ma affidandosi alla luce come elemento sacro e vitale.

Ando tratta la luce come una materia viva capace di plasmare lo spazio e di trasmettere un’emozione profonda, conferendo alle sue architetture un senso di assoluta semplicità e spiritualità, in cui l’uomo si confronta con la natura e lo spazio in modo diretto e puro. La luce per Ando non è solo un elemento estetico, ma un vero e proprio protagonista che dà vita e significato agli spazi che costruisce; per lui infatti, la manipolazione architettonica di natura, luce, aria, e acqua crea un campo energetico speciale, dove l’architettura si fa esperienza sensoriale e meditazione.

In sintesi, Tadao Ando può essere definito un poeta della luce perché le sue opere testimoniano come l’architettura possa tradurre in materiale e spazio visibile ciò che è intangibile: la spiritualità, la preghiera, il silenzio, e l’incontro con l’essenza umana e naturale, offrendo così una nuova lettura della relazione tra spazio, luce e uomo.


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Questo invito alla contemplazione e al silenzio che Ando vuole nelle sue architetture lo ritroviamo in moltissimi esempi, come nella Chiesa sull’Acqua a Tomamu (1988). La chiesa, con una forma di due cubi sovrapposti, si affaccia su uno specchio d’acqua riflettente che scende verso un piccolo fiume naturale. Per accedere alla chiesa il visitatore entra sotto un cubo di vetro e acciaio, successivamente con una scala a chiocciola raggiunge il cubo più basso e più ampio dove si trova la cappella, famosissima in Giappone per i matrimoni per l’altissima qualità estetica dello spazio. Qui, infatti, anche l’altare si affaccia sullo specchio d’acqua oltre l’enorme vetrata, creando un dialogo costante tra interno ed esterno. Le altre tre pareti sono in cemento, che incorniciano anche una croce d'acciaio posta al centro dello stagno.


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Chiesa sull’Acqua a Tomamu (1988)


Il Museo d’Arte di Naoshima (1992) è un altro esempio straordinario: qui l’architettura non impone la sua presenza, ma si fonde con il paesaggio. Costruito quasi interamente sottosuolo proprio per non rovinare il paesaggio naturale dell’isola di Naoshima, questo edificio mette in mostra opere illuminate esclusivamente dalla luce naturale, che quindi varia nei vari momenti della giornata. All’interno, i visitatori possono osservare opere d’arte immerse in un’atmosfera che cambia insieme alla luce, in contrasto con gli spazi sotterranei, e ritrovarsi poi in corti aperte al cielo e al mare circostante, trasformando la visita in un percorso meditativo


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Il Museo d’Arte di Naoshima (1992)


La sua filosofia architettonica la ritroviamo anche nei progetti residenziali che segue e che sono spesso simili nelle scelte organizzative della planimetria, come Casa Azuma, detta anche Row House in Sumiyoshi (1976). Si tratta di un’abitazione minimalista in una zona precedentemente occupata dalle vecchie case in legno di Osaka, strutturata in un lungo corpo longitudinale che si sviluppa su due piani, con al centro uno spazio aperto che diventa una corte interclusa che obbliga gli abitanti a vivere in simbiosi con la natura e con i suoi cambiamenti visto che le varie stanze sono collegate da una scala all’aperto e una passerella in cemento. Gli interni hanno forme lineari, vengono inseriti pochi materiali e la semplicità è il concetto fondamentale di tutto il progetto.


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