GINESTRE - Laura Serluca - Mood Indigo: Boris Vian, Gondry, l’amore e Duke Ellington

 


Michel Gondry è uno dei miei registi preferiti. Nei suoi film racconta di vite mai esistite ma cominciate nell’arte del cinema grazie al suo ingegno.  Non ci sono scappatoie per i suoi personaggi, che affrontano sfide estremamente legate all’essere umano con le visioni e gli strumenti che il regista mette loro a disposizione. Il termine che meglio contraddistingue il suo lavoro è “sogno”.

Nello specifico, il soggetto del film Mood Indigo è basato sul romanzo “L’Écume des jours” di Boris Vian, scrittore surrealista, poeta, drammaturgo, jazzista e trombettista, animatore culturale, poliedrico e provocatore nella Parigi degli anni Quaranta e Cinquanta.

Quando lo scrittore concepì “L’Écume des jours” il conflitto mondiale appena concluso aveva portato con sé la dissoluzione dei principi e delle leggi che regolavano la società e, soprattutto, aveva annientato e sminuito il valore della vita stessa. Perciò Vian scelse di raccontare una storia d’amore reale sublimata nel paradosso onirico della realtà: gli oggetti legati ai personaggi divennero proiezione del desiderio di evadere con la fantasia dalla brutalità e dall’efferatezza. Gli oggetti però incastrati nella cornice sociale di una comunità disfatta e delirante finivano per affermare l’impossibilità dell’evasione stessa: la morte che incombe, la malattia e la frustrante incapacità dei personaggi di prevedere, quindi di resistere agli eventi, li presentava come interpreti di una tragedia già scritta e pronta per essere rievocata proprio nell’istante in cui si compiva.”

Nella trasposizione cinematografica, Michel Gondry racconta la storia d’amore tra Colin, un facoltoso parigino e Chloé, una giovane donna che finge di essere l'incarnazione di un blues di Duke Ellington. 


I due convolano presto a nozze, ma, durante la luna di miele, una ninfea inizia a crescere nei polmoni della ragazza, mettendola in serio pericolo. L'unico modo per mantenerla in vita sarà circondarla di fiori freschi. L’uomo sarà disposto a tutto pur di salvare l'amata. Il ricco bon vivant Colin darà fondo al patrimonio per curarla e sarà poi costretto, per la prima volta, a lavorare. 



I colori brillanti e impulsivi ma anche la loro follia emotiva e infiammata da scosse di leggerezza mi riportano all’universo - bimbo, all’imbastitura di un dolce turbamento, all’improvvisazione del cuore quando è innamorato. La ricerca spasmodica e schizofrenica di immagini oniriche e barocche diventano romantiche strutture del loro amore.

All’improvviso, si percepisce la ferita che importuna, il tormento che scolorisce, l’asfissia di un tempo che s’infuria. L’imprevisto, l’inimmaginabile, l’inciampo in cui sapersi districare per salvarsi dalla solitudine mette fine con amarezza a una fiaba o a un’illusione.

Con il progredire della malattia di Chloé, l’avveniristica casa di Colin si trasforma: l’uomo vede restringersi progressivamente gli spazi intorno, ogni cosa viene avviluppata da vegetali, il colore sbiadisce e sparisce del tutto, il film diventa in bianco e nero. Il piano del sogno e quello della realtà sembrano coincidere quando ad un problema non c’è soluzione. 

Verso la fine del film, l’ambiente diventa grottesco e claustrofobico. È la “fragilità” a rinnovare la narrazione cinematografica di una fiaba, una costante e rivoluzionaria oscillazione nella dinamica dei sentimenti dell’essere umano, la dimenticanza e poi l’oblio.


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