POETICO ACCESSORIO - Claudia Olivero -Tutto il mio essere è un canto e io la luce eterna: la voce di Forugh Farrokhzād

 

Forugh Farrokhzād,Tutto il mio essere è un canto, Lindau,2023  


Mi chiamo Forugh, che in farsi significa “luce eterna”.

Inizia così il secondo capitolo di un romanzo[1] coinvolgente, ispirato alla vita della maggiore poetessa iraniana, Forugh Farrokhzād.

Tutto il mio essere è un canto.

Questo il titolo della raccolta di poesie, lettere d’amore e interviste, pubblicata dai tipi di Lindau nel 2023, tradotta e curata da Faezeh Mardani e Francesco Occhetto, da cui prende l’abbrivio la mia piccola riflessione di oggi.

Il cielo fugge da sé stesso

il mondo non lo contiene

diresti, tutto questo azzurro

non basta il cielo a contenerlo[2]

Oggi, mentre scrivo, il cielo non è così azzurro e gli stormi sono rombi, i pigolii, grida. Tutto pare fuori portata, qualunque pensiero inadatto, ogni riflessione inefficace. Ancora una volta mi rifugio nella poesia.

Se anche farsi canto non basta, se pure le parole non sono mai sufficienti, tuttavia è alla luce, che ostinatamente tendiamo per farci portatori di vita.

Fino a quando,

fino a quando dovrò andare

da un luogo all’altro?

Non posso,

non posso cercare ancora

[…]

Oh, se fossimo come due rondini

che migrano per tutta la vita

da una primavera all’altra.

Ormai sembrano crollare in me

macerie di dense nubi

[…]

Quando ti guardo,

guardo da una finestra

un albero solitario, coperto di foglie,

in febbre gialla d’autunno,

guardo una forma riflessa

in confuso moto d’ acque fluenti.

Giorno e notte,

giorno e notte,

giorno e notte.

Lasciami dimenticare.

Cosa sei, cosa sei tu, se non un attimo,

un attimo che dischiude i miei occhi

alle desolate distese della coscienza?

Lasciami dimenticare

 

Per Farrokhzād l’atto di scrivere è il modo più maturo per esorcizzare l’ombra di una deriva globale, usare la creazione artistica per resistere di fronte al declino, “uno sforzo per restare, far restare qualcosa di sé e rinnegare la morte”, come scrive lei stessa nelle sue “Poesie scelte”. E anche se il senso di morte e oppressione che hanno vissuto lei e il popolo iraniano in quegli anni (quelli intorno al 1950) non sono gli stessi ai quali assistiamo oggi, quasi del tutto impossibilitati ad agire, tuttavia l’idea che sia l’arte a dovere e poter parlare e “fare politica”, è per me forte e condivisa. L’oppressione ha, purtroppo, sempre lo stesso feroce volto.

Come questa poetessa dovremmo farci volo, voce e testimonianza. Ma lo so quanto è difficile, quando ogni giorno mi domando: cosa posso fare, io?

Mi sembra di essere immobile e probabilmente è proprio così. Cerco di aderire al suolo, di penetrarvi dentro, non per sparire, però, ma per restare salda. Perché solo con radici forti, i rami possono crescere e allungarsi e, così, raggiungere il cielo. Essere tramite.

È SOLO LA VOCE CHE RESTA

Perché dovrei fermarmi, perché?

Gli uccelli se ne sono andati in cerca d’azzurro,

l’orizzonte è verticale,

l’orizzonte è verticale

e zampillante il movimento.

Luminosi pianeti ruotano là dove si ferma la vista.

Lassù la terra continua a gravitare

e i vuoti d’aria

si trasformano in canali di collegamento.

Il giorno è una vastità incompresa

dalla mente ristretta dei vermi del giornale.

Perché dovrei fermarmi?

Il percorso attraversa i capillari della vita.

[…]

Cosa può essere una palude

se non un luogo dove putridi insetti

depongono le uova?

Cadaveri gonfi riempiono i pensieri dell’obitorio,

l’uomo vile nasconde nel buio

la sua viltà e lo scarafaggio…

oh, quando parla lo scarafaggio…

Perché dovrei fermarmi?

La complicità delle lettere di piombo è sterile,

la complicità delle lettere di piombo

non salverà i miseri pensieri.

Io sono della stirpe degli alberi.

Mi turba respirare l’aria infetta.

Un uccello morto mi consigliò

di non dimenticare il volo.

 

Fine di ogni impeto

è giungere alla luminosa essenza del sole

e immergersi nella sapienza della luce.

[…]

La voce, solo la voce,

la voce del limpido desiderio dell’acqua di scorrere,

la voce del flusso della luce stellare

sulla superficie femminea della terra,

la voce che concepisce il senso

e spande il pensiero condiviso dell’amore.

La voce, la voce, è solo la voce che resta.

[…]

Perché dovrei fermarmi?

Io obbedisco ai quattro elementi

e lo statuto del mio cuore non può esser redatto

dai ciechi del governo locale.

 

Niente ho a che fare

con il lungo e selvaggio gemito di un amplesso animale.

[…]

La stirpe sanguinea dei fiori mi impone di vivere, sì,

la stirpe sanguinea dei fiori, sapete?



[1]Jasmin Darznik, Canto di una donna libera, traduzione di Valentina Daniele, Piemme 2019

[2]Forugh Farrokhzād, Tutto il mio essere è un canto, a cura di Faezeh Mardani

 


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