PLANCTON - Silvia Longo - La poesia è il bacio più lungo, sotto una pioggia gentile

 

Silvia Longo

Da qualche tempo ho ripreso il mio gioco del mattino. Trattasi di divinazione fai da te: salgo in macchina, prendo l’iPod e giro ben bene la rotellina, stoppando infine a caso e mettendo in play. A volte pongo una domanda precisa al magic iPod: cosa consigli in merito a questa situazione? Cosa pensi di questo altro fatto? La canzone che esce funge da oracolo o da previsione per il giorno iniziato da poco, e la regola è che devo ascoltarla tutta, e non posso sostituirla con un’altra. Nemmeno quando la profezia risulti di ardua interpretazione, e finisce che la canzone semplicemente vada a impattare sul mio umore. Perché, per fortuna o per disgrazia, la mia indole è molto permeabile alla musica. E la mente procede per associazione libera di immagini e pensieri.

https://www.youtube.com/watch?v=nY_WJkP_zXA

 

E poi via

Come Cary Grant e la sua amante perduta

A cui han dato il veleno e lui la segue in Brasile

Niente di più, niente di meno

Fin laggiù

Te lo giuro

Ascoltavo, questa mattina, “Cary Grant” dei Non voglio che Clara, raffinato gruppo del rock indipendente italiano. Una canzone d’amore di quelle che piacciono a me: mai urlate, sussurrate semmai, che suonino come pioggia sui vetri. La pioggia gentile, appena percettibile, che cade a benedire un attimo di grazia: perché la grazia si manifesta ogni giorno, ma per riconoscerla dobbiamo prestarle i sensi e l’attenzione. E in un istante, ecco che penso a “Sotto la pioggia gentile”, romanzo dell’islandese Ólafur Ólafsson (Einaudi Stile Libero, 2023), regalatomi fresco di stampa da un amico che non sentivo da anni. Il quale non poteva immaginare che, nell’autunno del 2023, io avessi bisogno proprio di un libro del genere.



“Sotto la pioggia gentile” narra il viaggio di Kristófer, uomo di 74 anni di indole gentile, dall’Islanda al Giappone, passando per Londra – in una sorta di pellegrinaggio e di ricerca del tempo perduto - sino a ritrovare Miko, la donna amata e persa in circostanze mai chiarite quando entrambi erano ragazzi. La scrittura, che mantiene un tono elegante e sommesso nonostante alcuni passaggi narrativi siano tutt’altro che lievi e parlino di fragilità (per esempio quando scopriamo che Miko è una hibakusha, cioè una sopravvissuta all’esplosione nucleare di Hiroshima e che, come tale, presso la sua gente è stata oggetto di discriminazione, o quando intuiamo che Kristòpher potrebbe essere agli esordi di una malattia neurodegenerativa), è intrisa di lirismo: quello riservato, tipico dei Paesi del Nord, e quello del Giappone, caratterizzato dall’introspezione, dal senso di impermanenza e dal rapporto Uomo-Natura. Sono riportati diversi haiku, in questo romanzo, e canzoni europee e giapponesi fanno da colonna sonora. Come a suggerire che Occidente e Oriente possano baciarsi, anche in epoca di Covid (il romanzo è ambientato a inizio pandemia, quando i locali sono costretti a chiudere e viaggiare diventa complicato). La pioggia gentile, più che evento atmosferico, rappresenta uno stato d’animo di lieve struggimento e tuttavia fiducioso di un’azione: la condizione di chi accoglie la possibilità di riaprire un libro rimasto chiuso per cinquant’anni e di leggerne le pagine incollate.

Ma, tornando a “Cary Grant”, la canzone prosegue così:

Perché solo la pioggia ha così piccole mani

I Non voglio che Clara citano un verso della poesia “somewhere i have never travelled, gladly beyond” (“in un luogo che non ho mai raggiunto coi miei viaggi, piacevolmente oltre”) di E.E. Cummings: e tornano l’idea di viaggio e la percezione dell’umana fragilità, torna la pioggia gentile – qui si tratta di neve - come presenza viva.



In un luogo che non ho mai raggiunto coi miei viaggi, piacevolmente oltre

ogni esperienza, i tuoi occhi hanno il loro silenzio:

nel più debole dei tuoi gesti ci sono cose che mi rinchiudono,

o che non posso sfiorare perché troppo vicine

 

un tuo minimo sguardo mi aprirebbe senza alcuna difficoltà

anche se mi sono chiuso come si chiudono le dita di una mano,

tu mi apri sempre petalo per petalo come la Primavera apre

(sfiorando come solo lei sa fare, misteriosamente) la sua prima rosa

 

o se il tuo desiderio fosse quello di chiudermi, io e

la mia vita ci chiuderemmo con tanta bellezza, all’improvviso,

come quando il cuore di questo fiore immagina

la neve che scende piano su ogni cosa;

 

niente di ciò che avremo a vedere in questo mondo eguaglia

la forza della tua intensa fragilità: la sua trama

che mi costringe con il colore delle sue terre,

che porta morte e per sempre ad ogni fiato

 

(non so cos’è di te che chiude

e apre; solo qualcosa dentro di me mi dice

che la voce dei tuoi occhi è più profonda di tutte le rose)

nessuno, nemmeno la pioggia, ha mani tanto piccole

(traduzione di G. Catalano, su poetarumsilva.com)

 

E.E. Cummings canta come uno sguardo minimo possa aprire gli animi chiusi in difesa della loro fragilità, uno sguardo altrettanto fragile – un fiore di ciliegio, la sakura celebrata in molti haiku a suggerire quanto la bellezza raggiunga il culmine sfolgorando in un attimo di pienezza, e poi si riadagi nel declino, sino a completa sfioritura. E come il più debole dei gesti di chi ami possa farti chiudere, a suo piacimento, in un bocciolo denso di altrettanta grazia. Cummings, nello stupore della non conoscenza di come tutto ciò possa avvenire, accoglie l’intensa fragilità della persona amata e le conseguenze di essa sulla propria sensibilità.

“Ho passato tutto il resto della giornata a pensare a lei, perfino la sera, dopo essermi coricato, e anche il mattino seguente, quando mi ha svegliato una pioggia quieta. Richiamavo alla mente il sorriso, il movimento con cui si era scostata i capelli dalla fronte mentre aspettava mi levassi dal passaggio, la corrente elettrica mi aveva attraversato quando lei si era insinuata tra me e il montante della porta. Non ci eravamo scambiati neppure una parola. Mi aveva guardato negli occhi,

scrive Ólafur Ólafsson, raccontando l’esordio dell’amore tra Kristòpher e Miko. Gesti minimi, e nemmeno una parola. Bensì il guardarsi a vicenda negli occhi come si fa con il proprio riflesso nello specchio, le rare volte che osiamo spingerci oltre la valutazione dell’aspetto interiore – l’immagine di noi che trasmettiamo fisicamente al mondo, insieme alla suggestione di un’indole, di una serie di attitudini e qualità; nella speranza di fare buona impressione; nel timore di non essere capiti o accettati - e si cerca dentro, raggiungendo il nucleo del sé, l’essenza sincera che non necessita di alcun infingimento o enfasi nel manifestarsi. E, con la reciproca specularità, ci consegniamo tutti interi all’altro, e tutto intero lo abbracciamo, fragilità e potenza incluse.

 

Perché per niente di più e per niente di meno ti cambierei

Come Michael Caine con Barbara Hershey

Come Cary Grant

 

La canzone dei Non voglio che Clara sfuma con questi versi che rimandano alla cinematografia, citando implicitamente “Hannah e le sue sorelle” di Woody Allen (in una scena Michael Caine dichiara il suo amore a Barbara Hershey utilizzando proprio la già citata poesia di E.E.Cummings), e “Notorious” – in italiano: “L'amante perduta (Notorious)” - di Alfred Hitchcock.

Quest’ultimo, definito da François Truffaut nel suo libro-intervista “Il cinema secondo Hitchcock la quintessenza di Hitchcock, fu analizzato nel dettaglio dai giovani cineasti francesi della Nouvelle Vague, che ne colsero tutto il potenziale innovativo: il regista agì una rottura dei tradizionali canoni cinematografici hollywoodiani (pur confezionando un prodotto in grado di soddisfare il gusto hollywoodiano stesso), attraverso lo sviluppo di un linguaggio e di una rappresentazione capaci, per esempio, di coinvolgere lo spettatore in senso emotivo (la suspence aumenta nella misura in cui lo spettatore conosce più dettagli dei personaggi, e vorrebbe potersi inserire nel dramma spiegando loro cosa realmente stia accedendo).

Di certo Hitch seppe aggirare le regole del codice Hays (“Baci eccessivi e lussuriosi vanno evitati”) nella scena di quello che è ricordato come il bacio più lungo della storia del cinema. Cary Grant e Ingrid Bergman inframezzano il bacio con stralci di conversazione, tenere effusioni e piccoli spostamenti dall’esterno all’interno dell’abitazione. Un bacio che dura tre minuti anche se i due non si baciano effettivamente per la durata di tre minuti. Ma da ogni loro minimo gesto e sguardo si sprigiona uno struggente potenziale romantico, la bellezza di un fiore tanto fragile quanto inevitabile a schiudersi. Come nella poesia di E.E.Cummings e nel libro di Ólafsson, come nella canzone che ha aperto questa riflessione.

La poesia delle piccole cose fragili che siamo e che percepiamo con i sensi tutti e con l’animo. La pioggia gentile che tale è soltanto per chi l’accoglie come una benedizione. Il bacio più lungo che potremo offrire e ricevere. Niente di più, niente di meno, te lo giuro.







 (Immagini e link sono stati reperiti sul web)




Commenti

  1. Daniela De Micheli18/10/25, 16:36

    Un racconto gentile che sfiora e stranisce come le dita sottili della pioggia. Come sempre, grande Silvia

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