OLTREVERSI - Silvia Rosa - Impronte, frammenti e altri segni: Nadia Chiaverini

 

Silvia Rosa


II PUNTATA

Impronte, frammenti e altri segni | Nadia Chiaverini




Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a scrivere questo libro e gli spunti che ne hanno ispirato i testi?


Io sono laureata in giurisprudenza e ho lavorato come direttore di cancelleria negli Uffici giudiziari. Ho incontrato la poesia alla fine del secolo scorso, nell’età di mezzo, poi il mio percorso poetico è proseguito attraverso lo studio e la partecipazione a convegni, incontri, antologie, non solo nella mia città ma a Duino, Bologna, Firenze, Roma e in vari altri luoghi, spinta dalla passione, dalla curiosità, dall’incontro e dal confronto di una materia che mi ha consentito “un altro sguardo” sulla vita e sul mondo, in una duplice direzione, sia verticale che orizzontale: una intima e psicologica, l’altra relazionale e sociale, il tutto nell’ottica della ricerca di autenticità. Una poesia “onesta”, per come Saba la intendeva, che nel tempo ha permesso incontri e amicizie, e diverse pubblicazioni con varie case editrici. Il poeta è un minatore, diceva Caproni, e la poesia per me è un atto di coraggio, perché con la poesia non possiamo nasconderci. Non credo però che questo atteggiamento valga per tutte e tutti, anzi conosco molte persone che scrivono poesia proprio con l’intenzione di ottenere un preciso risultato formale o di contenuto. Quando scrivo non so a priori di che cosa scriverò, i miei temi riguardano tutti gli aspetti della vita vissuta ma anche il sogno, l’inconscio e la parte notturna, la ricerca di senso, la soglia. Alla fase primaria della scrittura segue l’elaborazione formale, la ricerca della parola giusta, del ritmo, anche della riscrittura e rielaborazione stilistica, ma l’origine per me è sempre l’intuizione, la scintilla primaria. Nella rielaborazione tutto ciò può anche diventare altro, perché l’analogia è il principio che mi porta a seguire meandri anche molto complessi del labirinto della mente. Ogni libro fa parte di un percorso e in questo mio nono libro di poesia esprimo l’esigenza di sviscerare il rapporto fra tre generazioni di donne, denso di amore ma anche di ferite, affrontando le inquietudini, le incomprensioni e i conflitti, che rappresentano il riflesso non solo personale, ma della società in cui viviamo.

 

Come hai scelto il titolo Impronte, frammenti e altri segni?

 

Il titolo è formato da alcune parole chiave, è un titolo polisemico che rimanda alla memoria di ciò che abbiamo vissuto nel passato, ma anche a tracce, visibili o invisibili, che possono perpetuarsi. Partiamo dalle impronte: questo libro è infatti suddiviso in sezioni, introdotte da un esergo di alcune delle poete che ho approfondito nel mio percorso con “Poesia diffusa”, una serie di incontri con altri autori e autrici in cui abbiamo parlato di poetesse del ‘900 poco conosciute, da non dimenticare, tra cui Cristina Campo, Margherita Guidacci, Amelia Rosselli, Rossana Ombres Armanda Guiducci. I frammenti rimandano a qualcosa che viene rotto, ma che può ricomporsi come un puzzle, una ricostruzione che non debba celare le fratture ma le possa rivitalizzare, come l’antica arte del Kintsugi giapponese, che ripara con l’oro le linee di rottura per renderle non solo visibili ma preziose. La poesia non contiene solo parole, nel verso si percepiscono i silenzi, il non detto, immagini e gesti, altri segni che rimandano all’origine della poesia, all’oralità, a un sentire anche ancestrale che fa parte di noi e che non può essere compreso solo con lo strumento della razionalità. L’ultima sezione riporta una citazione di Nietszche in Così parlò Zaratustra, che rinvia al concetto che da un lato la vita di per sé non ha un senso logico e che vita e poesia accedono a un nonsenso dionisiaco, dall’altro che esse rappresentano il desiderio, la meraviglia, in qualsiasi aspetto possano manifestarsi.

 

Quali sono stati i passi che ti hanno portato alla sua pubblicazione, nello specifico come ti sei orientata per la scelta della casa editrice e quali ostacoli hai eventualmente incontrato?

 

Quest’ultimo libro mi è costato molto in termini di coinvolgimento emotivo e anche di tempo, per la necessità di far decantare una materia incandescente, una sorta di “distanziamento” dell’Io dal testo poetico. Con la Puntoacapo Editrice, che già conoscevo e che ritengo tra gli editori più vivaci e presenti nel panorama attuale, mi sono sentita ascoltata e compresa. Abbiamo avuto degli scambi di opinioni e anche la necessità di un certo periodo di stasi e maturazione. Ero infatti indecisa se lasciare i testi all’interno di un flusso ininterrotto oppure se suddividerli in sezioni. Poi ho adottato quest’ultima soluzione che mi ha permesso di rielaborare dando un possibile ordine al caos primigenio della scrittura, creare un fil rouge che attraversa le diverse generazioni, come ha ben rappresentato nell’immagine di copertina l’autrice Floriana Coppola. Tutto ciò, ritengo, senza imporre al lettore alcuna impostazione perché, come sappiamo, un libro di poesia può essere letto anche aprendo a caso le pagine senza continuità, e quando la poesia “arriva”, solo allora lo scopo viene raggiunto.

 

Che cosa auguri a questa tua opera in versi?


Gabriella Musetti nella prefazione scrive che questa raccolta poetica rappresenta una “linea matrilineare di relazione affettiva tra donne esaminata con acutezza, nella complessità dei rapporti di interscambio fondati su connessioni forti e conflittuali…”, mentre   Giacomo Cerrai nella postfazione parla di “una lingua poetica familiare e domestica quanto il vissuto che descrive […] qualcosa di metaforico, anzi di emblematico di uno status esistenziale ...”.  Io spero che le parole di questo libro si trasformino in segni, in semi di ascolto e incontro, in una realtà presente tanto difficile e complessa, in cui la poesia arrivi non solo come studio ed elaborazione formale, ma anche come possibile ricerca di senso e come confronto tra autori e autrici di diversa estrazione e impostazione poetica, come testimonianza attuale della contemporaneità. Sono molto interessata allo studio del cambiamento del linguaggio poetico ed alla sua ibridazione. Essendo in fondo una donna del ‘900, ho vissuto il passaggio dei diversi modi di “fare poesia”, dalla lirica alla performance, la crisi dell’editoria, la nascita di internet e dei vari blog, la diffusione dei festival e delle letture pubbliche, il rapporto con la musica e le altre forme artistiche. Oggi che la poesia è quasi sicuramente l’arte più praticata e probabilmente la meno letta, credo che una buona pratica sia farsi condurre dalla passione e dalla curiosità, senza particolari aspettative di risultati o successi, e lasciando sempre aperto il confronto con le più giovani generazioni. Come afferma Chandra Livia Candiani nel libro Questo immenso non sapere, “esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciar andare…”.

 

Da Impronte, frammenti e altri segni (Puntoacapo Editrice 2025)

Quanto ti sei persa di me, figlia

Lo penso mentre mi strappo le ciglia

rimaste attaccate da polvere e lacrime invischiate

Sì, oggi ho ripulito le piante malate dalle foglie secche

i vasi da vermi e lumache

 

Osservare è il primo passo per curare

Guarire non so se sarà possibile

Controllo la siepe. Temo ogni giorno

di trovare tra gli sterpi

lo scheletro di un carapace

 

*

 

E mia madre mi diceva sempre

come fosse una maledizione

– Spero che ti venga una figlia.

Così vedrai cosa si prova –

 

Ora lo rammento. Ora che fingo

di non sentire quel morso nel cuore

l’abitudine al dolore

e di non vedere il cassetto vuoto delle sue cose

abbandonato offeso interrotto

 

Cerco la strada del perdono

e un po’ sono già morta       per diventare un’altra

 

*

 

mai ho raccolto fiori per mia madre

ne ho sempre vissuto la distanza

l’orgoglio altero per paura / la sua

la carezza avara mossa con fatica

pericolosa la parola

meglio il silenzio, la bugia o la battuta

 

ma il dono concreto non si poteva rifiutare

– mai sono tornata a mani vuote –

brandelli di cuore

un dolce

un piatto caldo o il vestito stirato

qualcosa di suo / dalle sue mani ruvide

come se soltanto stare insieme fosse tempo inutile

 

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Nadia Chiaverini, poetessa pisana, si dedica alla promozione e diffusione della poesia attraverso la presentazione di libri e incontri letterari. Ha curato diverse rassegne: “La poesia non dimentica. Tre poetesse del ‘900” su Nadia Campana, Piera Oppezzo e Patrizia Vicinelli, con Giacomo Cerrai; nel 2022, quattro incontri di poesia all’interno della rassegna “Un fiume di libri in piazza Cavallotti”; è ideatrice di “Poesia diffusa”, una serie di incontri su poetesse del ’900 da non dimenticare, italiane e di lingua straniera. Suoi versi con interventi critici sono presenti in blog letterari, riviste e numerose antologie tra le quali: L’Impoetico mafioso. 105 poeti per la legalità (CFR Edizioni 2011), Unanimemente (Zona 2011); Il ricatto del pane (CFR edizioni 2012); Cuore di Preda (ivi 2012); Keffiaeh. Intelligenze per la pace (ivi 2014); Fil rouge. Poesie sulle mestruazioni (ivi 2015); Invecchiare amando (Terra d’ulivi 2018); Sorella morte (Fondazione Thule Cultura 2023); Sul sangue mestruale (Alpes 2024). È autrice dei seguenti libri di poesie: L’età di mezzo (Ibiskos Ulivieri 2004); Dal profumo al fiore (ivi 2005); L’altra 87 metà del cielo (ivi 2008); Smarrimenti (Helicon 2011); I segreti dell’Universo (CFR Edizioni 2014); Poesia stregatta e altre visioni (Carmignani 2015); Notturni e ombre (ivi 2018), Sull’orlo della gioia (Terra d’ulivi 2022). La sua voce è inserita nella Poetry Sound Library ideata da Giovanna Iorio. Ha partecipato agli Atti del Primo Convegno di Studio dedicato a Beatrice Hastings (1879-1943), Caffè Letterario Le Cicale Operose 2021, e alla presentazione delle sue opere. Fa parte del gruppo teatrale “Le Sibille”. Laureata in giurisprudenza, ha lavorato come direttore amministrativo presso il Tribunale di Pisa.


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