LA POESIA ELEMENTARE - Anna Martinenghi - LA POESIA (elementare) DEL SORRISO
![]() |
| Anna Martinenghi |
Dentro un raggio di sole
che entra dalla finestra
talvolta vediamo la vita nell'aria.
E la chiamiamo polvere.
Da Margherita Dolcevita
Le mie parole arrivano
con colpevole ritardo. Potevo pensarci prima. Potevo. Ho amato profondamente
Stefano Benni1, la sua scrittura è sempre stata presente nella mia vita fin
dall’adolescenza: da Bar Sport a Elianto, da La Compagnia dei Celestini a
Margherita Dolcevita, da quel capolavoro illustrato che è Stranalandia, a
Comici spaventati guerrieri (anche nella versione cinematografica: Musica per
vecchi animali), a tutta la sua produzione teatrale. Stefano Benni è stato e
rimane anche un grande poeta. Lo era sempre: sia quando scriveva per la
narrativa, costellata da passaggi lirici altissimi, così come quando le parole
venivano pronunciate a voce alta in teatro.
La felicità è come l'acqua.
Non arriva in un momento, bisogna
trovarla,
preparare la pompa, fare un
pozzetto,
mettere le tubature e i rubinetti.
Dopo che te la sei conquistata con
fatica,
allora la puoi bere.
Da Pane e tempesta
La poesia non era un
corredo, era una situazione permanente della sua anima, un elemento essenziale
infilato nel suo zaino, insieme a comicità e arguzia. Spesso gli scrittori che
sconfinano nelle terre perigliose dell’umorismo, vengono considerati poco seri,
distanti dal compunto mondo intellettuale. Io sono convinta che Benni abbia
applicato concretamente il pensiero di Calvino2: “Prendete la vita
con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose
dall’alto, non avere macigni sul cuore”, rimanendo rapita da chi come lui,
riesce a scrivere con leggerezza anche contenuti difficili e complessi. Mi
chiedo poi se non possa davvero esistere una poesia del sorriso:
Ho scelto di salutarlo e
onorarlo con “Blues in sedici3”, delle sue raccolte quella
in cui di più il sorriso vien meno, lasciando spazio a una profonda ricerca di
senso. Silloge che come scrive l’autore stesso nella premessa:
“[...] prende spunto da un fatto di cronaca accaduto negli anni Ottanta. Nel
cuore della notte, un padre, operaio disoccupato, esce di casa e attraversa la
città come guidato da un presentimento, per raggiungere una sala videogiochi
della periferia. Lì c’è suo figlio. Nella sala avviene un regolamento di conti
tra un killer e alcuni piccoli spacciatori di droga. Il killer spara
all’impazzata, il padre fa scudo col suo corpo al figlio e muore. Lessi questa
notizia e per molto tempo pensai a raccontarla in versi, non ci riuscii subito,
ma ci riuscii. Pensai a Blues in sedici come a un testo da leggere in pubblico
e come tale ha avuto molte versioni. [...] Lo dedico a tutti gli eroi
quotidiani del nostro orribile e meraviglioso paese e ai musicisti con cui ho
avuto la fortuna di lavorare in questi anni”.
La ballata della città
dolente, come precisa il sottotitolo, si struttura in sedici parti, un blues suonato
e interpretato a otto voci: l’Indovino cieco, il Padre, la Madre, il Figlio,
Lisa, la Città, il Killer, il Teschio, a cui rubo qualche passaggio sperando di
invogliarvi a leggere a rileggere.
L’INDOVINO CIECO
Per quali prodigi e qual disegno
un albero cresca ramo dopo ramo
prendendosi il cielo, non so
né so perché i miei occhi di bambino
guardino ora dal volto di un vecchio.
Forse so la data della fine del mondo
e il primo palpito dell’inizio
Ma non so cosa unisce il Padre al Figlio
e il Figlio alla ragazza dei profumi
e quella all’Assassino, al Teschio
e a Raiden il luminoso
e cosa li tiene sospesi sul filo
tra il primo e l’ultimo giorno
della loro vita preziosa.
IL PADRE
Così io sto crocifisso a un normale
pomeriggio
sull’abisso di un tavolo di cucina
tra i piatti da lavare, anche questa è
rugiada
pensando che così non potrà continuare
al vento del dolore, ritto in piedi.
[...]
Toccò mai a Dio entrare in un supermarket
con cinquemila lire in tasca a occhi bassi
cercando il latte che costava meno
per il Figlio. L’unico Figlio affamato?
Sa Dio cosa costa una scatoletta di
pomodori?
È mai rimasto disoccupato per anni
sa Dio cosa vuol dire contare
le monete in tasca, quasi tornando
bambini?
Blues in sedici narra di un’umanità
dolente, attraversata da una rabbia mal compressa; mondi che esistono solo di
notte e di notte si manifestano.
TESCHIO
Sotto il tatuaggio c’è la spiaggia
non giudicate un libro dalla copertina
di giorno non sono un granché
ma di notte sono un inferno di bastardo.
Qualcuno non ha pagato, e allora?
Sei della polizia, signora?
E ancora:
LA CITTA’ (SALA VIDEOGAME)
Ho visto la luce. Là dove la
città
si china a pregare, precipita in cascata
nell’abisso degli occhi di mosca
schermi di sogno, colori mai visti
[...]
Ci incantano
donne nude vibranti, pelle di pixel.
Là noi siamo, illuminati e morti
museo di cere futuro.
Guerrieri a gettone,
dieci, ottomila lire.
I versi di Benni
risuonano nella città addormentata, facendosi canto di anime solitarie:
LISA
Io cammino a occhi chiusi
sognando le rive del mare
ciò che dicono le persone non sento
se del mio corpo parlano
o del destino futuro.
Io ho piccoli piedi per fuggire
e un culo che ammiro
come una volpe la coda
vanitosamente.
IL KILLER
L’odore di cuoio che fanno
i sedili delle auto
e le fondine delle armi
lo spavento negli occhi
di chi ha paura di me.
Mi piace passare in fretta
come i titoli e le sigle
senza niente prima e niente dopo.
Certo, nei film è meglio
quando tutto salta in aria
il sangue brilla e scorre
la gente ride e applaude
e i cattivi rinascono
per uccidere di nuovo
Davanti a tanta
decadenza, il poeta si interroga attraverso i suoi personaggi. Può esistere
ancora speranza davanti a violenza e disincanto? Possiamo forse noi diventarlo?
LA
MADRE
Cosa ci fa un vecchio
in un mondo di cristalli
tra fiamme e stelle a gettone
esisterà un giorno un eroe
che ride sdentato?
Non posso gridare, uomo mio
mentre corri incontro al fuoco.
Non è per te, vecchio,
questo dolore nel petto
e gli occhi chiusi non sanno
se è l’ultimo del mondo
o il consueto affanno.
IL FIGLIO
Ti ho visto attraverso la porta
della cucina
una bianca nuca di vecchio.
La giacca appesa all’ingresso
modellata dal tuo vuoto
le foto e i calendari di anni
che non esistono più.
Così a volte, ci tocca
vivere anni scaduti.
Chino sul tavolo, a braccia strette
come se da esse il mondo
potesse sfuggire. Contando
gli strappi della tovaglia.
Testardo.
Padre.
IL PADRE
Cantami il getto di acido
e il piombo nei polmoni
l’ombra della bicicletta
dall’altra parte del fiume
cantami un pallone che vola
tra me e il sorriso del figlio
cantami le stelle malate
che vedevo dalla finestra
Perché io non sapevo.
Io non sapevo quante cose accadevano
e le prendevo come promesse
di qualcosa di più vero e più grande
ora so che erano la mia Storia.
Quel pomeriggio fu unico nella mia vita
ma solo ora posso dirlo.
Quella ferita resterà
e gli amici che ho salutato
quella volta partirono davvero.
Ero felice, ma ne dubitavo
quelle pagine erano il mio libro.
Perché io sono stato
più di quanto sono e sarò.
Grazie a Stefano Benni
per avermi fatto ridere, pensare, commuovere. Grazie per aver dato parole alla
città di notte, a un’umanità dimenticata, raccontata solo dalla cronaca. Grazie
per averci ricordato che: “Bisogna somigliare alle parole che si dicono”
– da Saltatempo -, che di questi tempi non è poca cosa.
Concludo condividendo l’invito di Daniel Pennac4, alla notizia della
scomparsa dell’amico fraterno: “Una cosa che Stefano mi aveva detto più
volte è che gli sarebbe piaciuto che la gente lo ricordasse leggendo ad alta
voce i suoi racconti. Come alcuni di voi sapranno, Stefano era molto
affezionato al reading come forma artistica, lettura ad alta voce – spesso
accompagnato da musicisti. Quindi, se volete ricordarlo, vi invito a leggere le
opere di Stefano che vi stanno più a cuore a chi vi sta vicino, ad amici,
figli, amanti e parenti. Sono sicuro che, da lassù, vedere un esercito di
lettori condividere il loro amore per ciò che ha creato gli strapperebbe
sicuramente una gran risata”.
Non smetteremo mai di rileggerti, caro Lupo!
IO TI AMO
1°
gennaio, 1970
Io ti amo
e se non ti basta
ruberò le stelle al cielo
per farne ghirlanda
e il cielo vuoto
non si lamenterà di ciò che ha perso
che la tua bellezza sola
riempirà l’universo
Io ti amo
e se non ti basta
vuoterò il mare
e tutte le perle verrò a portare
davanti a te
e il mare non piangerà
di questo sgarbo
che onde a mille, e sirene
non hanno l’incanto
di un tuo solo sguardo
Io ti amo
e se non ti basta
solleverò i vulcani
e il loro fuoco metterò
nelle tue mani, e sarà ghiaccio
per il bruciare delle mie passioni
Io ti amo
e se non ti basta
anche le nuvole catturerò
e te le porterò domate
e su te piover dovranno
quando d’estate
per il caldo non dormi
E se non ti basta
perché il tempo si fermi
fermerò i pianeti in volo
e se non ti basta
vaffanculo
1 Stefano Benni
https://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Benni
2 Italo Calvino
https://it.wikipedia.org/wiki/Italo_Calvino
3 Blues in sedici
https://www.feltrinellieditore.it/opera/blues-in-sedici-1/
4 Daniel Pennac
https://it.wikipedia.org/wiki/Daniel_Pennac


Commenti
Posta un commento