STELLE CONTROVENTO - Maria Pia Latorre - Fiore di terra, con un omaggio a Pio Fumo
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| Maria Pia Latorre | 
Nella
difficile estate appena trascorsa in cui anche il solo pensiero delle vacanze
ci ha procurato sensi di colpa, tutto si è svolto nella schizofrenia dei tempi;
così abbiamo imparato a giustapporre alla bell’e meglio luoghi di martirio a
luoghi di ristoro. 
“La ragione è un’isola piccolissima nell’oceano
dell’irrazionale”, ha scritto Kant, e questo in qualche
modo spiega il mio atteggiamento di oblio circa i drammi planetari così apparentemente
lontani da me. Sì, siamo figli dell’irrazionale, mi dico consolandomi. Dunque anche
la mia vacanza organizzata molti mesi addietro è cominciata. 
Ed
è stata, a dispetto di me stessa, un tempo pieno che mi ha permesso di
assaporare la magnificenza di siti suggestivi ricchi di natura e storia, con il
sottofondo della mia coscienza ad alitare silenziosa. 
Tra
canali, promontori e arcipelaghi ho vissuto momenti di beatitudine acquatica,
in un temerario abbraccio al divino azzurro. Sono nata d’acqua e d’acqua il mio
destino, una situazione in cui ho imparato molto presto a fluttuare.
Mare 
Come una bestiola 
al suo primo viaggio 
sorrido all’amico 
dalle braccia d’ alghe 
instabile 
m’immergo 
in un guizzo 
rispunto più gaia 
bevo orizzonti d’azzurro 
brulichio di cristalli 
ubriaca d’immensità 
(da Gli occhi di Giotto,
Opera indomita, 2022)
La costa dalmata è uno splendore verdazzurro, tra calette,
insenature e isole. Ed è proprio intorno alla geopoesia di un’isola che vorrei
qui soffermarmi e prendere l’onda.
Nell’immaginario collettivo l’isola è un luogo d’evasione, un
angolo ameno dove svuotarsi dalle preoccupazioni quotidiane. L’isola per sua natura è un’entità lontana,
scollegata al resto del mondo, una sorta di rifugio nascosto dove prendere le
distanze da tutto. 
Isola di Salvatore Quasimodo
Di te
amore m’attrista,
mia terra, se oscuri profumi
perde la sera d’aranci,
o d’oleandri, sereno,
cammina con rose il torrente
che quasi n’è tocca la foce.
Ma se torno a tue rive
e dolce voce al canto
chiama da strada timorosa
non so se infanzia o amore,
ansia d’altri cieli mi volge,
e mi nascondo nelle perdute cose.
(da Oboe sommerso,1932)
Vale per tutte la forte esperienza di Saramago a Lanzarote. Egli
vi si trasferì nel 1993, dopo le polemiche seguite alla pubblicazione de "Il Vangelo secondo Gesù Cristo", alla ricerca di tranquillità
e ispirazione e lì visse fino alla morte. 
L'isola divenne protagonista dei "Quaderni di
Lanzarote", una sorta di diario che tenne dal 1993 al 1997 in cui rifletté
sulla scrittura, sulla sua vita, sui suoi affetti e sull'isola stessa. Ed è
sempre nel ‘97 che diede alle stampe “Il racconto dell'isola sconosciuta”, in
cui annotava “che bisogna allontanarsi dall'isola per vedere l'isola, e che non
ci vediamo se non ci allontaniamo da noi”. 
Saramago, fortemente suggestionato da Lanzarote e dalla sua
selvatichezza la descrisse come un luogo dove "l'inizio e la fine del
mondo si incontrano”. È ben documentato che l’esperienza canaria influenzò la
sua vita e la produzione artistica.
Dev’esserci… di Josè Saramago
Dev’esserci un colore da
scoprire,
un recondito accordo di parole,
dev’esserci una chiave per aprire
nel muro smisurato questa porta.
Dev’esserci un’isola più
a sud,
una corda più tesa e più vibrante,
un altro mare che nuota in altro blu,
un’altra intonazione più cantante.
Poesia tardiva che non
riesci
a dire la metà di quel che sai:
non taci, quando puoi, e non sconfessi
questo corpo casuale e inadeguato.
Dato il confine acqueo,
almeno due le diverse prospettive che qui vorrei considerare: quella in cui ci
troviamo a stazionare sopra un’isola, l’altra, acquatica, in cui l’isola è in
lontananza e ne possiamo apprezzare il mistero e la maestosità. In entrambe le
situazioni l’entità geografica galleggiante esercita straordinaria attrattiva.
Trascorrere del tempo su piccole isole dà un senso di straniamento, apre a
dimensioni altre e richiama prepotentemente il nostos.
La notte nell’isola di Pablo Neruda
Tutta la notte ho dormito con te
vicino al mare, nell’isola.
Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,
tra il fuoco e l’acqua.
Forse assai tardi
i nostri sogni si unirono,
nell’alto o nel profondo,
in alto come rami che muove uno stesso vento,
in basso come rosse radici che si toccano.
Forse il tuo sogno
si separò dal mio
e per il mare oscuro
mi cercava,
come prima,
quando ancora non esistevi,
quando senza scorgerti
navigai al tuo fianco
e i tuoi occhi cercavano
ciò che ora
– pane, vino, amore e collera –
ti do a mani piene,
perché tu sei la coppa
che attendeva i doni della mia vita.
Ho dormito con te
tutta la notte, mentre
l’oscura terra gira
con vivi e con morti,
e svegliandomi d’improvviso
in mezzo all’ombra
il mio braccio circondava la tua cintura.
Né la notte né il sonno
poterono separarci.
Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d’acqua marina, di alghe,
del fondo della tua vita,
e ricevetti il tuo bacio
bagnato dall’aurora,
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda.
Chi
nasce su un isola solitamente forgia un carattere introverso, capace di forte
adattamento, teso alla contemplazione e all’essenzialità, profondamente legato
al mare e al suo fiore di terra che sboccia dalle acque. 
Mi
è capitato di vivere per un periodo su un’isola e ho verificato che
un’esperienza così forte può modificare profondamente il nostro atteggiamento
verso la realtà esterna. Un cambio di prospettiva che deve per forza fare i
conti con la precarietà, con la privazione e l’essenzialità. 
Ma
nessun uomo è un’isola e allora tuffiamoci insieme, facendoci compagnia, in questo
mare di poesia.
L'isola di Giuseppe Ungaretti
A una proda ove sera era perenne
Di anziane selve assorte, scese,
E s’inoltrò
E lo richiamò rumore di penne
Ch’erasi sciolto dallo stridulo
Batticuore dell’acqua torrida,
E una larva (languiva
E rifioriva) vide;
Ritornato a salire vide
Ch’era una ninfa e dormiva
Ritta abbracciata ad un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
Errando, giunse a un prato ove
L’ombra negli occhi s’addensava
Delle vergini come
Sera appiè degli ulivi;
Distillavano i rami
Una pioggia pigra di dardi,
Qua pecore s’erano appisolate
Sotto il liscio tepore,
Altre brucavano
La coltre luminosa;
Le mani del pastore erano un vetro
Levigato da fioca febbre. 
(da Sentimento del tempo, 1933)
La
vita è un'isola di Kahlil Gibran
La vita è un’isola in un oceano di solitudine:
le sue scogliere sono le speranze,
i suoi alberi sono i sogni,
i suoi fiori sono la vita solitaria,
i suoi ruscelli sono la sete.
La vostra vita, uomini,
miei simili,
è un’isola,
distaccata da ogni altra isola e regione.
Non importa quante siano le navi
che lasciano le vostre spiagge per altri climi,
non importa quante siano le flotte
che toccano le vostre coste: rimanete isole,
ognuna per proprio conto,
a soffrire le trafitture della solitudine
e sospirare la felicità.
Siete sconosciuti agli altri uomini
e lontani dalla loro comprensione
e partecipazione.
(da
Tutte le poesie e racconti)
Le isole fortunate di Fernando Pessoa
Quale
voce giunge sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
E’ la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
perché si è ascoltato.
E solo
se, mezzo addormentati,
senza sapere di udire, udiamo,
essa ci dice la speranza
cui, come un bambino
dormiente, dormendo sorridiamo.
Sono
isole fortunate,
sono terre che non hanno sito,
ove il Re dimora aspettando.
Ma, se ci andiamo svegliando,
tace la voce, e c’è solo il mare.
L’isola di Umberto Piersanti
Ricordi
il mirto, fitto tra le boscaglie,
bianchissimo
e odoroso, scendere per i dirupi
sopra
quel mare? e le capre
tenaci
brucare il timo, l’enigma
dello
sguardo che si posa
dovunque
e sempre assente?
più
non so il luogo dell’imbarco
come
salimmo nel battello
quali
erano le carte per il viaggio.
Scendevi
alta per lo stradino polveroso
antica
come le ragazze
che
portarono i panni alle fontane
la
tua carne era bruna come la loro.
Férmati
nella radura dove il vento
ha
disseccato e sparso i rosmarini
qui
potremmo vederle se aspettiamo
immobili
alle euforbie quando imbruna
vanno
alla bella fonte degli aneti
giocano
lì nell’acqua e tra le erbe
e
mai s’è udito un pianto
sono
felici.
Tu
eri come loro, solo una volta
quando
uscivi dal mare, ti sei seduta
nei
gradini del tempio, un’ombra appena
trascorse
di dolore nella faccia.
Seppi
così che il tempo era finito
che
tra gli dei si vive
un
giorno solo.
E riprendemmo
il mare
normali
rotte.
Qualcun
altro s’imbarca, attende il turno
né
l’isola sprofonda
come
vorrei.
(da “I luoghi persi”)
Un’ultima poesia a suggello del prezioso ricordo di un poeta che di un’isola ha fatto il suo coerente e ininterrotto canto, Pio Fumo.
Io,
solo di Pio Fumo 
Ecco Tremiti mi ha offerto…
dolcezza e baci essenziali
nel mondo, come rotondo frutto,
proprio qui sulle labbra.
Ora c’è il tormento, l’angoscia
di cieli stellati d’incertezza,
di forse, se non ci fosse che Lei…
“unica Amante” ormai per sempre
ed io al suo fianco… io, solo
(da
Poesie scelte 1974-1984, Edizioni Enne)


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