LA LINGUA MISTERIOSA DELLA POESIA - Anna Spissu - Settembre: dove cade la luce. Cronaca della malinconia.

Anna Spissu


L’estate è da sempre la stagione della forza, in agosto c’è il solleone, i segni zodiacali individuano il segno del Leone proprio nel mese di luglio e agosto. Anche chi non crede nell’astrologia avrà sicuramente notato che i nati in questo segno sono spesso dotati di naturale forza e lucente coraggio, talvolta persino di una spiacevole arroganza che li fa credere padroni del mondo. D’altronde, sebbene non dimostrabile scientificamente, non è affatto strano che noi umani si abbia qualche caratteristica della stagione in cui nasciamo. È così per quella parte di vita che ci accomuna all’universo e alla terra. 


Di questa forza speciale dell’estate fanno menzione le parole di Albert Camusnel bel mezzo dell’inverno, ho scoperto in me un’invincibile estate”.

Le parole di Camus dicono anche che niente vive da solo. Ogni cosa, ogni sentire sono strettamente abbracciati con il loro contrario. Anche il linguaggio comune testimonia questo intreccio, basti pensare a espressioni come “bello da morire”, “felicità da paura” o “amare da morire” (sebbene quest’ultima frase abbia al momento assunto un che di sinistro con tutti gli omicidi fatti in nome di un presunto amore).

  

Anche l’estate, così lucente, forte e impavida, contiene in sé i semi di ciò che verrà: inquietudine, abbandono, disincanto, malinconia. Si pensi a “Meriggiare pallido e assorto” di Eugenio Montale, alla “triste meraviglia” nel sole che abbaglia.  


E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

com’è tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.


E che dire di questa poesia di Cesare Pavese sull’estate? Che dire di quel “silenzio che preme il cuore con un tonf”o?


C'è un giardino chiaro, fra mura basse,

di erba secca e di luce, che cuoce adagio

la sua terra. È una luce che sa di mare.

Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli

e ne scuoti il ricordo.


Ho veduto cadere

molti frutti, dolci, su un'erba che so,

con un tonfo. Così trasalisci tu pure

al sussulto del sangue. Tu muovi il capo

come intorno accadesse un prodigio d'aria

e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale

nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.


Ascolti.

Le parole che ascolti ti toccano appena.

Hai nel viso calmo un pensiero chiaro

che ti finge alle spalle la luce del mare.

Hai nel viso un silenzio che preme il cuore

con un tonfo, e ne stilla una pena antica

come il succo dei frutti caduti allora.


Benché a prima vista possa sembrare strano è proprio nelle poesie sull’estate che è più facile incontrare uno struggimento doloroso, come quando cade la luce sul giorno e sentiamo di avere perso per sempre qualcosa, magari un desiderio mancato, qualcosa che non si è avverato su cui avevamo riposto le nostre speranze. Il tramonto d’altronde segna la fine della forza del giorno. Anche l’estate, forte e impavida, è così. 


Poi arriva settembre. E le cose cambiano, si stende dolce sulla natura e sugli umani il sentimento della malinconia. 

La malinconia, nata come “bile scura” nella medicina di Ippocrate e causa fisica della tristezza umana, nel tempo ha assunto un significato diverso e si è ammantata di una forma di dolcezza, una sorta di compiacimento. 

Come ha scritto acutamente Victor Hugo, ne Les Travailleurs de la mer,: «La mélancolie, c'est le bonheur d'être triste» (La malinconia, è la felicità d’esser tristi).


Così Giuseppe Ungaretti nella poesia “Stasera


Balaustrata di brezza
per appoggiare stasera
la mia malinconia.


Così Paola Loreto


Te la ricordi la sera

della malinconia?

Era settembre 

nel bosco vivo

e calava il sole

ma c’era ancora 

così tanta luce

che sembrava il giorno

non dovesse mai finire. 

Erano le cose ferme

che cambiano

cadono

scaldano.

Come un ingresso in un altro

mondo un andare incontro

a tutto quello

che doveva capitare, 

Un venire (qui), un accadere,

L’inizio collocato

al vero centro

della fine.

L’odore d’esser sazi

(e poi non esserlo più)

quell’amore per le cose compiute. 


La malinconia di settembre, che ha dentro in modo viscerale l’addio e la speranza di un ritorno, è in fondo uno svelamento, come se le cose, le persone, la natura e le speranze fossero sempre state in un certo modo e l’estate un miraggio, un abbaglio destinato a durare lo spazio del sole infuocato. 

Alcuni anni fa, in un giorno di fine settembre, Vincenzo Gueglio, mio amico e mentore, scrittore e critico letterario di Sestri Levante, mi ha mandato queste parole sulla malinconia: 


“Oggi l’Autunno fa i compiti diligentemente: piove con molto giudizio, il mare prende il colore delle perle e delle conchiglie e l’inconsistenza dell’aria; così si vedono piccole barche galleggiare a metà cielo; se pescano qualcosa sono acciughe e le appendono agli ulivi. La Liguria, terminata la lunga finzione dell’estate, è finalmente libera di vestirsi di grigio, senza vergognarsi della sua vera anima, malinconica senza drammi, luminosa senza parere.” 


Trascrivo queste righe e penso che sì, bisognerebbe essere grati alla malinconia, al fatto che in fondo è un sentimento di libertà, quella particolare libertà dell’animo di poter essere tristi, di potere anche piangere, poterselo concedere dolcemente e non doverne dare spiegazione a nessuno.

Questo che segue, è il mio settembre. 


Settembre


Vedi,

oggi ho parlato piano.

Volevo essere lieve

con un animo solo

fatto da qualche nuvola

e una forma definita e semplice.

Sollevare lentamente il petto

e respirare come fanno le querce. 

Essere una foglia,

una qualsiasi foglia di ramo

e godere della pace rassicurante

dell’albero intero.

Volevo essere una foglia anche prima

mentre tu eri difronte,

estraneo come una pianta di fragole

cresciuta sul dorso di un cavallo.

Per fortuna esistono la lentezza, 

il respiro e l’ombra.

Fuori di qui il resto del mondo

e questa luce di settembre

mi proteggono. 

Non so quando partiranno le rondini

e neppure se noi torneremo mai

in quello che abbiamo amato

ma esiste una dolcezza 

anche per i vinti. 

Per quel che vale, sappilo


Benvenuto Settembre che porti questa libertà.   





Riferimenti:

Albert Camus, da “Ritorno a Tipasa” (Gallimard, 1954)

Cesare Pavese, da “Tutte le poesie” (Oscar Mondadori)

Paola Loreto, da “Miei Lari” (Marcos y Marcos)

Vincenzo Gueglio, Conversazioni 

Anna Spissu, da “Parole per un addio” (e-book Amazon)



 


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