INCROCI - Iolanda Cuscunà - Nel giardino di Emily Dickinson e Louise Gluck
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Iolanda Cuscunà |
La poesia è un incrocio di vite e di sguardi, un incontro
che avviene sulla pagina ed è fatto di carta e di vita. Così ho deciso di
chiamare proprio Incroci la rubrica che da oggi, per gentile
invito di Finestre Lit-blog, terrò una volta al mese, per scoprire, o
ricordare insieme a voi, gli incroci più o meno noti (o dichiarati) di voci
poetiche.
Da lettrice mi ha sempre affascinato trovare nei versi di un
poeta la eco di una voce altra, il richiamo a forme o immagini amate e abitate.
D'altra parte mi preoccupa l'aggettivo "originale" che a volte si
accosta alla descrizione di un'opera poetica.
Cos'è originale in poesia? Ciò che mai è stato detto? E può
davvero una poesia non ripercorrere strade già battute? Se la poesia è un
linguaggio, così come diceva Raboni, non è forse nel già detto che essa genera
o meglio si rigenera?
Arriviamo, allora, al primo dei nostri incroci, quello tra
due poete americane: Emily Dickinson e Louise Gluck. Nel discorso
tenuto nel 2020 in occasione dell'assegnazione del Premio Nobel per la
letteratura, Louise Gluck ricordò Emily Dickinson e i versi della prima stesura
di una poesia che recitava: "Io sono Nessuno/Sei Nessuno anche tu? /
Allora siamo in due! / Non dirlo/ Potrebbero esiliarci, lo
sai". Con questi versi Gluck desiderava testimoniare l'evento poetico come
esperienza da condividere in un rapporto a due con il lettore, il quale,
leggendo, sente come una voce bisbigliare all'orecchio un messaggio a lui solo
destinato. Un "dire sottovoce", che non intendeva escludere il
desiderio naturale di essere letta da molti, ma in una dimensione estesa nel
tempo più che nello spazio. Insomma, trovarsi in mezzo a trecento persone e
leggere i suoi versi le avrebbe procurato un evidente disagio, così come un
riconoscimento talmente importante che la esponeva agli occhi della ribalta.
Da qui il suo chiamare in aiuto la più solitaria delle poete
americane: Emily Dickinson.
Ma non c'è nulla di elitario nella poesia di queste due
grandi poete, al contrario: i loro versi sono attraversati da un profondo
sentimento di comunione col tutto. Un sentimento panico che proprio nel
rapporto con la natura si consolida. Guardare la natura significa conoscere.
Per questo occorre osservarla con cura, magari all’interno di un giardino,
luogo da entrambe prediletto.
Leggiamo Emily Dickinson: Qualcosa simile a una
Farfalla che si vede/Nelle Pampas Brasiliane /Solo a mezzogiorno - non più
tardi - Caro -/Poi - il Permesso scade -/Qualcosa simile a una Rosa - che si
rivela - e passa-/Pronta ad essere da Te Colta -/Come le Stelle - che riconoscevi
la Notte scorsa -/Straniere - Stamane.
Leggiamo ora Gluck: "Guardiamo il mondo una
volta, da piccoli/ Il resto è memoria".
La rivelazione del mondo è una folgorazione improvvisa,
sembra dirci Dickinson, e forse è solo nell'infanzia che noi riusciamo a vedere
davvero, in quel tempo in cui nulla ancora offusca la visione, sembra farle eco
Gluck; è il mondo della natura, il luogo privilegiato di tale rivelazione.
Nella raccolta L'iris selvatico, certamente tra le più importanti,
Louise Gluck si appella continuamente a Dio e anche in questo sembra scorgersi
un legame con Emily Dickinson, che nei suoi versi dialoga spesso intimamente
con un Dio certamente diverso da quello di Gluck, ma sempre avvertito come
presente.
Nell'incrocio poetico ancora le ascoltiamo parlare di vita e
di morte, di amore e di rinascita. Ed è forse con un azzardo che, concludendo,
lascio che voci si compongano fino a diventare una:
Zitto, amore. Non mi importa
quante estati vivo per ritornare:
in quest’unica estate siamo entrati nell’eternità.
Ho sentito le tue due mani
seppellirmi per sprigionarne lo splendore.
Mi nascondo nel mio fiore
Perché portandolo sul petto -
Tu - senza saperlo, porterai anche me -
E gli angeli sanno il resto!
*I primi versi sono tratti da
I GIGLI BIANCHI, ultima poesia de "L'iris
selvatico" di Louise Gluck, poema di 54 poesie di cui 18 parlate dai
Fiori e due lunghe serie intitolate "Mattutino" e "Vespro,
pubblicato da il Saggiatore nel 2021. Sotto, il testo per intero.
I gigli bianchi
Mentre un uomo e una donna fanno
un giardino tra loro come
un letto di stelle, qui
fanno passare la sera d’estate
e la sera diventa
fredda del loro terrore: potrebbe
finire, sarebbe capace
di devastazione. Tutto, tutto
può perdersi, nell’aria odorosa
le strette colonne
che salgono inutilmente e, di là,
un ribollente mare di papaveri –
Taci, mio amato. Non mi importa
quante estati vivo per tornare:
questa sola ci ha dato l’eternità.
Ho sentito le tue mani
seppellirmi per liberare il suo splendore.
La quartina è un frammento del 1859 ritrovato nei fascicoli
di Emily Dickinson. Sotto, il testo in lingua originale.
I hide myself within my flower
That wearing on
your breast -
You -
unsuspecting, wear me too -
And angels know the rest!
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