DA ORFEO ALL'INFINITO. SGUARDI E INCURSIONI POETICHE - Daniele Ricci su Canti di pietra di Eleonora Del Sorbo

 

Eleonora Del Sorbo, Canti di pietra, Bertoni Editore, Perugia 2024


Dei molti temi che ricorrono in Canti di pietra, la silloge poetica d’esordio di Eleonora Del Sorbo, uscita nel 2024 per la casa editrice Bertoni, (collana Aurora/Verblù a cura di Bruno Mohorovich, con Introduzione di Bruno Mohorovich e Prefazione di Antonella Lucchi), uno sembra prevalere sugli altri: quello della natura. La voce della natura è una poesia antichissima. Le sue parole sono il silenzio delle montagne, delle campagne e dei boschi. Sono il colore dei tramonti e delle brume, del cielo e dei fiori; sono il rumore dei fiumi e l’ombra di una solitudine che attraversa il paesaggio fino agli echi del dramma dell’uomo.

 

Le viscere si aprono al passo

ci siamo abituati a fiorire

nel primo atto del mandorlo

e del melo

che urlava

al cielo verde di marzo.

 

Un tempo siamo stati noi

canti di pietra

 (pp. 51-52)

 

Un sentimento panico della natura caratterizza i “canti di pietra” di Eleonora, versi musicali, nati per essere recitati e letti ad alta voce, per fondersi con l’aria, col mondo, con le cose. La “pietra” della natura, dell’infanzia che riaffiora dalla memoria, del grande dolore passato. Geologia perfetta di un cammino, parola come pietra che resta nella luce del tramonto.

Forse qualche verso è ancora acerbo o incerto, ma l’insieme è molto buono e numerosi sono i maestri a cui fa riferimento la poetessa pesarese: da Sandro Penna (p. 27 “In certi treni il mare / entra dai finestrini / guardo il cielo e / non mi accorgo / dall’altro lato file di case / scorrono veloci / poi / solo fragore bianco arriva /tra schiuma silenziosa / intorno tutto muta /sono arrivata”) a  Marina Ivanovna Cvetaeva (p. 34 “Scrivi ancora / oggi non sono altro che pagina / imbevuta di sudore /tra le tue mani / tienimi stretta in abbracci / …”), dalla poesia elegiaca di Umberto Piersanti all’assolutezza lirica di Franca Mancinelli.

Canti di pietra è un’opera eterogenea e varia, come varia è la vita della poetessa e molteplici i suoi interessi: Eleonora è un’archeologa e un’insegnante, è un’attrice/performer e una cantante; ama l’archeologia ovvero scavare nella terra, tra le pietre antiche, e ama l’arte, la poesia e il canto; ama la montagna con le sue rocce; la montagna è per lei un “luogo dell’anima” e fa spesso escursioni sui monti, soprattutto tra gli Appennini, nel suo Montefeltro.

 

Reggi piccolo cuore

come un arco

la sostanza di questa vita

esistenza piegata ai bordi

di una corda.

 

Lancio con il pugno chiuso

un sasso

la forza chiama forma quello che sfugge

lontano rovi di more rinsecchiscono,

ruote e raggi infrangono un patto

corda tesa e salda nella falesia

scendo con te

ero dietro di te

sassi e mare aspettavano i nostri piedi.

Risalita e poi nulla

Solo canne

erba e

pelle.

(p. 30)

 

Nonostante la sua brevità, Canti di pietra è un’opera molto varia sia a livello formale sia a livello tematico: la raccolta è formata da 35 testi divisi in tre sezioni: la prima parte è formata da 28 liriche; la seconda parte, intitolata Brevi prose per Monte Giove e qualche poesia, è formata da una prosa lirica e quattro poesie; la terza, infine, è formata da due brevi liriche che fungono da epilogo.

Ma la raccolta non comprende solo poesie e prose: a completare il libello vi sono 11 illustrazioni di paesaggi del Montefeltro e di Monte Giove, disegni a matita della stessa autrice pesarese.

Dunque, nella stessa opera, troviamo parole in versi, parole in prosa e immagini: quasi un’“opera d’arte totale”!

Le poesie sono tutte brevi e senza titolo e raro è l’uso della punteggiatura.

Alla molteplicità delle forme corrisponde una molteplicità tematica. I temi principali sono la memoria, la natura, l’amore e il dolore ovvero i grandi temi della poesia di ogni tempo. Tema unificante è l’“io lirico”, Eleonora stessa, la sua vita, il suo amore per la vita, per la natura e per gli esseri umani.

Come dicevo sopra, tema principale dei Canti di pietra è la natura, sempre intrecciata però con la vita degli uomini: troviamo Eleonora quasi sempre immersa nella natura, tra piante, fiori, animali, tra cielo e terra, sulle amate montagne, al mare e nel vento. Tra le piante citate, proprio a sottolineare il suo legame profondo e innato con la natura, ricorre anche la pianta del “sòrbo”, che è una citazione del suo cognome, quasi una firma, un sigillo, alla maniera dei poeti e pittori antichi: “si salva il volto / rugoso del sorbo” (p. 28, vv. 7-8).

Un sentimento panico della natura caratterizza i versi della poetessa pesarese: uomo e natura si fondono armonicamente, come nella più illustre tradizione poetica simbolista. Una poesia cosmica che entra in dialogo con la luna, il cielo, le montagne… Vi si può cogliere una saggezza quasi orientale, che entra o cerca di entrare in armonia con la natura. Spicca la ricchezza di metafore: testimonianza e concreta, “poietica” realizzazione del panismo di Eleonora.

 

Siamo fatti di dune

come il fondale del mare

avvallamenti di pensieri

ombre marine tra guizzi di pesci con ali

nei silenzi maciniamo chele

 

in passi cosmici tu avanzi

come il cacciatore

disegnato sulla luna

(p. 23)

 

***

 

Sei di me l’altra parte di zolla,

erba amara attaccata alla terra

fibra di carne raggrumata

ampolla di mare

e occhi sei

in terrapieni scivolosi

verde e umido muschio

taglio vivo di cava

dove siamo nati la prima volta

usciti dalla bruma della sera

con il treno in tasca e carta tra le dita.

In pugno stringevo il verde dei tuoi occhi

era calcare in fondo

e grido selce

(p. 24)

 

La poesia di Eleonora è una poesia dialogante: nei suoi versi l’autrice è in continuo colloquio con un “tu”, che a volte è una figura parentale, altre volte una persona amata o un interlocutore generico; ma il dialogo è anche con sé stessa o una parte di sé (secondo una modalità cara ai poeti classici, greco-romani e italiani).

Le numerose anafore conferiscono ai testi un ritmo marcato e una forte musicalità: “Capita che piove… // Capita che piove… // capita che sento…” a p. 33; “Mancherà… /mancherà… a p. 35; e poi a pp.  38, 39 e 40.

All’impressionismo di alcuni versi e di intere liriche (per cui si veda la già citata poesia a p. 27) si contrappone l’Espressionismo di altri (per cui si vedano le poesie a pp. 27 e 52, anch’esse già citate).

Molto presente è anche il tema del ricordo, strettamente connesso a quello del dolore: Canti di pietra è una raccolta poetica attraversata da un dolore profondo e remoto. In particolare l’Eremo di Monte Giove, situato sulle prime colline di Fano (per cui si veda la sezione omonima), è un luogo fortemente legato a questo sentimento: un dolore personale vissuto dall’autrice, un lutto o un trauma del passato che qui viene rielaborato e (forse) superato.

Ma filo conduttore del libro e una possibile chiave di lettura dell’intera raccolta è il tema che dà anche il titolo alla silloge ovvero il tema della “pietra”.

Canti di pietra” è un titolo quasi ossimorico: alla voce e alla musica dei “canti” si contrappone il silenzio della “pietra” (anche se la pietra di Eleonora non è affatto una pietra “silenziosa”).

Alla pietra si lega il nome del paese d’origine di Eleonora, “Macerata Feltria”, un paese di origine medievale nato e ricostruito nell’XI secolo sulle “macerie” (da cui si evince chiaramente l’etimologia del nome “Macerata”) e con i resti e le pietre dell’antico municipium romano Pitinum Pisaurense, distrutto dagli Ostrogoti nel VI secolo (situato nel territorio dei Montefeltro fu un’enclave dei Malatesta nel Medioevo).

Eleonora, poi, in quanto archeologa, ha un rapporto assiduo e diretto con la pietra, che scava e in cui cerca una storia e i reperti delle civiltà del passato.

In terzo luogo, nella poetessa c’è un grande, innato amore per la montagna, per le rocce che Eleonora nelle sue escursioni ama toccare, vedere, “sentire” (la poetessa parla spesso di “sentimento della pietra”).

La parola “pietra” (o suoi sinonimi o espressioni simili, come “roccia, “sasso”, etc.) è presente quasi in ogni poesia della raccolta.

Nella cultura occidentale e in molte culture orientali la pietra indica in modo esemplare ciò che è stabile e imperituro. La pietra simboleggia in molte culture antiche la potenza di Dio. È, in generale, un simbolo di forza e di purezza.

Le pietre, sfregandosi, possono produrre scintille. Da una scintilla è nato il fuoco e con il fuoco la vita, la civiltà e il progresso umano.

La pietra ha un valore sacro e religioso: le pietre cadute dal cielo, come le meteoriti, sono state interpretate da molte culture antiche e medievali come doni ricevuti da Dio. La Pietra Nera dei musulmani, incastonata nella Ka’ba (il più antico edificio sacro dell’Islam) di La Mecca in Arabia Saudita, è la pietra venuta dal Paradiso di Allah, messa in salvo da Noè, Abramo e Ismaele.

All’inizio della civiltà umana la pietra venne usata come materia prima per la fabbricazione di utensili e di armi, per erigere edifici sacri composti di giganteschi blocchi di pietra, gli edifici megalitici denominati dolmen (o menhir) ovvero pietre disposte a cerchio, che comparvero in varie località dell’Europa a partire dal VI millennio a. C. D’altra parte i termini con cui sono indicate le tre tradizionali età della Preistoria, il Paleolitico, il Mesolitico e il Neolitico, contengono in sé proprio la parola greca λίθος (líthos), “pietra”, a sottolineare la centralità del materiale inizialmente usato per il progresso del genere umano.

Nella Bibbia la pietra, e in particolare la pietra grezza, non lavorata e levigata dall’uomo (per cui si veda il libro dell’Esodo) ha un valore sacro e divino.

Nel Nuovo Testamento l’apostolo Simon Pietro (dal greco Πέτρος, Pétros, “pietra”), il capo degli apostoli, viene scelto da Gesù come “fondamento”, “pietra fondatrice”, come suo “erede” tra gli uomini, ed è ritenuto il fondatore della Chiesa e il primo papa.

Nella mitologia greca la pietra ricorre nel mito di Crono. Il figlio di Urano e Gea, una volta divenuto padrone del mondo, sposa la sorella Rea. Poiché i genitori gli hanno predetto che sarà detronizzato da uno dei suoi figli, divora questi man mano che nascono. Così genera e successivamente divora Estìa, Demetra, Era, Ade, e Poseidone. Adirata per vedersi privata in tal modo di tutti i suoi figli, Rea, incinta di Zeus, fugge a Creta e qui sul monte Ida partorisce segretamente l’ultimogenito. Poi, avvolgendo una pietra con un panno, la dà a Crono perché la divori al posto di Zeus. Egli la inghiottisce senza accorgersi dell’inganno. Quando diventa adulto, Zeus, aiutato da Meti (la “Mente”) e dalla stessa Gea, fa assumere a Crono una droga che lo costringe a restituire tutti i figli divorati. Crono vomita anche la pietra avvolta dal panno che, una volta espulsa, viene portata a Delfi ed è venerata come “ombelico del mondo” (ὀμφαλός, omphalòs) e diventa fonte di conoscenza e di sapienza divina e il cuore dell’oracolo di Delfi che, come è noto, è stato il centro della religione e della sapienza greca[1].

Le pietre ricorrono anche nella versione greca del mito del diluvio universale. Qui Noè e Sara si chiamano Deucalione e Pirra ai quali, per dare vita ad una nuova razza umana, che si è estinta col diluvio, Zeus ordina di gettare dietro le loro spalle “le ossa della loro Madre”. Pirra è terrorizzata per questa empietà, ma Deucalione capisce che si tratta delle pietre, “le ossa della Terra”, che è la “Madre universale”. Anche in questo mito dunque le pietre sono un principio di vita, simbolo della vita umana[2].

Questo breve excursus sul tema della pietra[3] per sostenere che la “pietra” in Eleonora, come in tanta parte del mito greco, della Bibbia e della storia umana, è perlopiù “vita”, in ogni caso è una vox media. Non è la pietra di Giuseppe Ungaretti di Sono una creatura (Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916, “Come questa pietra / del S. Michele / così fredda / così dura / così prosciugata / così refrattaria /così totalmente / disanimata // Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede // La morte / si sconta / vivendo”) né il frutto dello sguardo della terribile Gòrgone Medusa, che pietrificava chiunque la vedesse. È la pietra dell’archeologa Eleonora che “scava” nelle parole e, con esse, nel senso profondo e più autentico dell’esistenza.

 

Come pietra che si sgretola

attraversiamo luoghi

d’infinito silenzio

nell’anima riposa

la bellezza delle rovine

(p. 41)



[1] Per il mito di Crono e Zeus varie sono le fonti antiche a partire da Esiodo, Teogonia, vv. 453-500.

[2] Per il mito di Deucalione e Pirra, si vedano Ovidio, Metamorfosi 1, vv. 120-415 e Ps-Apollodoro, Biblioteca, 1, 7, 2ss.

[3] Per questo approfondimento sul tema della pietra ho utilizzato vari testi di studio, in particolare H. Biedermann, Simboli, Milano, Garzanti Libri, 2006, s. v. “Pietra”, pp. 399-404.


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Eleonora Del Sorbo, nata a Macerata Feltria, laureata in lettere classiche, archeologa e docente di lettere nelle scuole superiori, fin da giovane si è divisa fra la ricerca in campo archeologico (sulle città romane di Pitinum Pisaurense e Fanum Fortunae) e la passione per il teatro, partecipando come attrice a rappresentazioni teatrali dirette da registi quali Vito Minoia del teatro “Aenigma” di Urbino, Gabriele Boccaccini del teatro “Stalker” di Torino e Mariano Dammaco. Dal 2009 si dedica al canto lirico e allo studio dell’espressione vocale frequentando l’Accademia di canto lirico “Tebaldi – Del Monaco” di Pesaro, dove attualmente vive. Canti di pietra è la sua prima opera poetica

(Notizie bio dalla quarta di copertina della silloge)

 

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