CERCANDO LE CHIAVI - Anna Segre - Una Qualsiasi

Anna Segre


Al compimento dei 30 anni, andai a pranzo dai miei, come sempre, a baciargli l’anello, perlomeno io lo percepivo così.

Ed eravamo tutti intorno al tavolo rotondo, coi bicchieri di cristallo, le posate d’argento e i piatti col bordo dorato, su quella conversazione minata, io pregando che finisse al più presto, gli altri, mia madre mia sorella mio cognato e mia moglie dell’epoca, non lo so, forse annoiati, forse pensando ai fatti loro.

Mio padre disse: allora tanti auguri, se pensi che Alessandro Magno alla tua età aveva già conquistato tante terre che il sole sul suo impero non tramontava mai… si spera che farai qualcosa!

Non ebbi la prontezza di dire: se mio padre fosse stato Filippo II il macedone, sicuramente sarei una persona migliore…

Insomma, dovevo dimostrare cose notevoli. Non bastava che esistessi, che volessi bene, che fossi pulita puntuale precisa lavoratrice, che non chiedessi niente a nessuno. No. Dovevo distinguermi, eccellere, scoprire boh, il meccanismo del teletrasporto, la cura del cancro, guadagnare miliardi, uscire sulla copertina di LIFE, annettere la Groenlandia, che cazzo dovevo fare.

Sono stata diseducata, perché da una parte la legge era: studia, leggi, àpplicati, sii corretta, non rubare blabla, non desiderare blabla, attieniti alle regole, ubbidisci.

 

E soprattutto: non fare la furba.

 

Dall’altra invece no. E su questo invece, visto che lui non si azzardava a verbalizzarlo, ma lo incoraggiava implicitamente, possiamo fare delle ipotesi. Eh sì. Insomma. Sii notevole, sii eccezionale, unica.

E per quasi sessant’anni ho covato la frustrazione di non esserlo. Andare bene a scuola o guadagnarmi da vivere onestamente non bastava, chissà poi perché. Dovevo essere feroce, rampante, vincente.

Mia madre, per contro, che non contava nulla nelle decisioni ufficiali e nelle linee guida dell’etica familiare, aveva una struttura comunitaria e tendeva alla collaborazione, alla congregazione. E io, oltre ad amare di nascosto mia madre, ero molto portata alla conventualità. Che suora sarei stata, non fosse stato per quel desiderio tormentoso, quel mio bramare le consorelle!

Così hanno vissuto in me due Anne.

Una, tranquilla abitudinaria, medico di tutti, ascoltatrice di tanti perché coinvolta dai fatti loro, presa dalle vite degli altri come fossero la sua.

L’altra, imbranata e umiliata dalla propria inettitudine, sempre lontana dalla vera realizzazione, strutturalmente impossibilitata a saltare l’assicella. Come se realizzarsi fosse eccellere. Medaglia d’oro de chissaché.

 

Ma non ci sono statue a ricordo di uomini che non hanno ucciso. (Auden)


Mio padre era il portavoce della società. Si faceva latore di un messaggio sprone d’argento: fatti notare. Sii unica. L’ego, un’aristocrazia dei riconoscimenti, premi, inchini. Avrebbe irriso anche il Nobel, lo avessi preso io. Ma comunque, ironizzare sul fatto che mai lo avrebbero dato a una come me. Farsi strada a colpi di ‘IO!’. Teneva dentro i semi di facebook.

 

Uscendo da quel pranzo-clistere, eravamo in macchina, mia sorella e mio cognato davanti e io dietro, mentre tornavamo a casa, mio cognato, rivolgendosi a Lia come se io non ci fossi e non sentissi:

‘Io, fossi stato tua sorella, avrei dato fuoco al Maggiolini (mobile prezioso del 700 intarsiato a 4 cassetti di valore dd) e al tappeto persiano della sala… Ricòrdati, te lo dico adesso: lei non perdonerà tuo padre’.

Non pensavano ai fatti loro, quindi, tenevano dentro la rabbia, l’impotenza, l’aggressività. Speravano nella restituzione.

E la restituzione è questa: alla fine, la maggior parte del mio tempo l’ho dato al lavoro. E a salvarmi, come spesso dico, sono state le donne, piccole comunità di donne.

Sono una qualsiasi ed è un punto di arrivo capire quanto questo sia naturale e corale. Anelo alla collettività, anche se sto sempre chiusa a casa mia. Nemmeno la coerenza.

Non sta a me perdonare, comunque, difatti.


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