ACCESA RUPE - Fabio Barissano - Pavel Florenskij: “Il valore magico della Parola”

 

Fabio Barissano


Pavel Florenskij fu matematico, filosofo e teologo russo. Studiò nel Monastero della Trinità di San Sergio a Sergiev Posad la dottrina ortodossa agganciandosi alla disputa sulla "venerazione del nome" dei monaci del monte Athos. Vale a dire la possibilità di credere e pensare Dio attraverso il puro atto della nominazione. Da qui le teorie linguistiche di Florenskij sul linguaggio e su quell'ente unico per densità semantica, referenza oggettiva e potenza simbolica che è il nome. Il nome proprio. Fino al nome di Dio.

Qualcosa del grande pensatore slavo traspare dunque anche in “Il valore magico della parola”, pubblicato in Italia per i tipi della Medusa. Questo aureo libretto può fare da ambulacro al lettore che poi voglia avventurarsi in stanze più vaste e più recondite, da "La colonna e il fondamento della verità" che è l'opera massima di Florenskij a "Non dimenticatemi", sorta di diario scritto dal gulag nelle isole Solovki in cui il regime comunista lo aveva condannato e isolato per la sua strenua fedeltà alla Chiesa ortodossa e per l'obliqua scomodità che il suo sguardo mistico e profondo seppe esercitare.

"Qual è dunque la funzione magica del significato della parola? Il senso di una parola viene definito attraverso il suo semema, e nel tipo di formazione del semema va cercata la risposta alla domanda. Gli strati del semema, i suoi involucri stratificati, le sue armature concentriche, nascono da specifici atti creativi, e ciascuno trova pienezza in una crescita spirituale che talvolta dura a lungo e che, in generale, dev'essere sperimentata dall'intero popolo. Ogni strato del semema va considerato il deposito di un processo spirituale sulla parola, come un precipitato dello spirito che in questa concentrazione di se stesso in un dato rapporto emerge per la prima volta dal mondo subconscio e semiconscio, divenendo creativo, e quindi si raccoglie in se stesso nel processo di formazione del semema." (p. 61)

Florenskij scava nel linguaggio, apre un vasto cratere nel cuore della parola non per uno sterile atto di archeologia lessicale, piuttosto per ampliare gli orizzonti dell’umano il cui spirito nei secoli si è deposto e stratificato nelle strutture della lingua. Un atto conoscitivo, dunque, verso l’umano nei suoi aspetti consci e inconsci, luminosi e oscuri. Così, quasi a renderci più chiara e accattivante la comprensione del concetto, il filosofo/teologo ci illustra con esempi la semiotica del linguaggio, riferendosi ai due generi in cui si divide la vita sessuata. E noi ascoltiamo come discepoli davanti a una Parabola:

"Confrontiamo dunque la parola con il seme, il discorso con il genere, il parlare col principio maschile e l'ascoltare col principio femminile, l'azione sulla personalità con il processo della fecondazione. Il paragone non è nuovo, e non c'è rappresentante del pensiero mistico dell'antichità che sia estraneo a tali paragoni. Pensiamo a Platone, che sulla scia di Socrate ha sviluppato una teoria erotica del sapere: il tendere al sapere è il desiderio d'amore, la non-espressione del sapere non ancora maturo è la gravidanza; l'aiuto che rende possibile l'espressione è la maieutica; la comunicazione del sapere è la fecondazione, la dottrina è come la tensione delle anime al parto, e così via. Ecco cosa ascoltiamo, a ogni passo, da Socrate e da Platone." (p. 72).

Bastano questi pochi passaggi a gettare primi lumi nell’edificio teorico di Pavel Florenskij e, se non ci aiuteranno a capire di getto la mole filosofica del grande pensatore slavo, almeno ci danno quel poco di orientamento per trovare qua colonne gigantesche di dottrina, là il cammino verso un altro santuario.

 

(Riferimento bibliografico: P. Florenskij, “Il valore magico della parola”, Milano, ed. Medusa, 2003-2024, trad. e cura di Graziano Lingua, pp. 103).


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