MUDDICHI – Stefania Giammillaro – "A’ lingua nunn’avi l’ossa, ma rumpi l’ossa"
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Stefania Giammillaro |
Eccoci, Signore e Signori, all’ultimo
appuntamento di stagione di MUDDICHI prima della tanto agognata, quanto
meritata, pausa estiva! Oggi con noi e per voi un altro tassello intriso di
saggezza popolare, quello che, forse, più degli altri ha maggiori reminiscenze
bibliche. Stiamo parlando - scusando sin d’ora il gioco semantico - di “A’ lingua nunn’avi ossa, ma rumpi l’ossa
– che tradotto sta per: “La lingua non
ha ossa, ma è capace di spezzarle”.
Ed è il proverbio che, come
si accennava, forse più degli altri presenta maggiori rievocazioni evangeliche, in quanto, come è emerso nel corso di una recente diretta del nostro
personalissimo pozzo di scienza David La
Mantia, San Paolo nella sua
Lettera agli Ebrei scriveva: “La parola
di Dio è viva, energica, più tagliente di ogni spada a doppio taglio,
penetrante fin nella divisione tra anima e spirito, giunture e midolla,
giudicatrice dei sentimenti e dei pensieri del cuore” (Ebrei 4,12).
La Parola di Dio, quindi,
per San Paolo - che, non a caso, in
alcune rappresentazioni iconografiche è spesso raffigurato con una spada - è
paragonata ad una “spada a doppio taglio” in quanto in essa si sussumono sia la
potenza del discernimento, che approda sino alla divisione tra anima e spirito,
tra giunture e midollo, rivelando il sostrato più profondo di sentimenti e
pensieri, sia la rivelazione della verità, smascherando le apparenze e portando
alla luce ciò che è nascosto nelle ombre dell’uomo.
Quindi la lingua non ha
ossa, ma le spezza utilizzando come arma la parola, che è una spada a doppio
taglio.
Tuttavia, nel caso che qui
interessa, la parola non viene usata dalla lingua come strumento attraverso cui
raggiungere la purificazione spirituale, utile per avvicinarsi alla Gloria del
Signore, ma come monito che pone l’accento sulla potenza, non di discernimento,
ma di distruzione della parola.
La parola distrugge perché è
fatta di carne e di azione. E anche in tal caso, ritroviamo
un aggancio nel Vangelo, stavolta, secondo Giovanni: “In principio era il Verbo,/e il Verbo era presso Dio/e il Verbo era Dio
[..] E il Verbo si fece carne/ e
venne ad abitare in mezzo a noi” (Giovanni, 1,1-5.9-14; forma breve).
Le parole, dunque, sono “uomini”.
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Nazim Hikmet |
In
questa notte d'autunno
sono
pieno delle tue parole
parole
eterne come il tempo
come
la materia
parole
pesanti come la mano
scintillanti
come le stelle.
Dalla
tua testa dalla tua carne
dal
tuo cuore
mi
sono giunte le tue parole
le
tue parole cariche di te
le
tue parole, madre
le
tue parole, amore
le
tue parole, amica.
Erano
tristi, amare
erano
allegre, piene di speranza
erano
coraggiose, eroiche
le
tue parole
erano
uomini.
(Nazim Hikmet, In questa notte d'autunno, 1948)
Ma la parola è anche azione, perché - ed è lo stesso Vangelo
sopra citato a ricordarcelo – il Verbo è quello stesso elemento grammaticale
che esprime l’essere, l’avere e l’agire
retto dal “soggetto” agente – pensante.
Le parole, dunque, sono "azioni".
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Eugenio Montale |
Le
parole
se
si ridestano
rifiutano
la sede
più
propizia, la carta
di
Fabriano, l’inchiostro
di
china, la cartella
di
cuoio o di velluto
che
le tenga in segreto;
le
parole
quando
si svegliano
si
adagiano sul retro
delle
fatture, sui margini
dei
bollettini del lotto,
sulle
partecipazioni
matrimoniali
o di lutto;
le
parole
non
chiedono di meglio
che
l’imbroglio dei tasti
nell’Olivetti
portatile,
che
il buio dei taschini
del
panciotto, che il fondo
del
cestino, ridottevi
in
pallottole;
le
parole
non
sono affatto felici
di
essere buttate fuori
come
zambrocche e accolte
con
furore di plausi e
disonore;
le
parole
preferiscono
il sonno
nella
bottiglia al ludibrio
di
essere lette, vendute,
imbalsamate,
ibernate;
le
parole
sono
di tutti e invano
si
celano nei dizionari
perché
c’è sempre il marrano
che
dissotterra i tartufi
più
puzzolenti e più rari;
le
parole
dopo
un’eterna attesa
rinunziano
alla speranza
di
essere pronunziate
una
volta per tutte
e
poi morire
con
chi le ha possedute.
(Eugenio Montale, Parole, da Satura, 1971)
Dopo la carne, dopo l’azione cosa rimane, se non il non-detto,
incastrato fra i denti, quale ennesima arma ad effetto devastante a nostra
disposizione?
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Giorgio Caproni |
Le
parole vive,
Le
parole ardenti,
Le
parole mute rimaste fra i denti.
(Giorgio Caproni, Gastronomica, da Versicoli del
controcaproni, in "Caproni – Tutte le Poesie, Garzanti, 2021")
Ora che abbiamo analizzato
le possibili cause, pur a titolo esemplificativo e senza pretesa di
esaustività, della forza annientatrice della parola: parola – uomo, parola –
carne, parola – azione, parola – non detta, occorre capire, sondare l’effetto
della "lama", il dolore cagionato da quello spezzarsi di ossa a sua volta prodotto
da un organo così apparentemente innocuo e chiuso dentro la nostra bocca: la
lingua. Quel dolore che è sì liberatorio, ma anche e soprattutto “rivelatorio”
- azzardando una chiusura a cerchio del presente contributo -, non della verità
assoluta, divina, irraggiungibile, ma di quella stessa verità in cui abita l’essere
uomo, carne, azione, non-detto, in grado di esprimere la sua fragilità, capace
di cogliere il suo mistero.
Le parole non sono né fuoco
né cenere.
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Pierluigi Cappello |
Piangere
non è un sussulto di scapole
e
adesso che ho pianto
non
ho parole migliori di queste
per
dire che ho pianto
le
parole più belle
le
parole più pure
non
sono lo zampettio delle sillabe
sull’inverno
frusciante dei fogli
stanno
così come stanno
né
fuoco né cenere
fra
l’ultima parola detta
e
la prima nuova da dire
è
lì che abitiamo.
(Pierluigi Cappello, da
Azzurro Elementare, in Un prato in pendio – Tutte le poesie 1992 – 2017, Bur
Rizzoli, 2020).
Prestiamo attenzione, pertanto, alle parole che pronunciamo, a quelle che scegliamo di dire e di non dire, affinché non siano spade che distruggono, armi che un giorno potranno essere usate anche contro di noi, ma fiori che ascoltano ed accolgono, "fiori, fiori, fiori lungo la strada di quel che dir(emo)" (1).
1. L'ultima citazione è un verso tratto dalla poesia "Le sue dita giocavano distrattamente con i suoi anelli" di F. Pessoa, da Il Violinista Pazzo, Passigli, 2004
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