POETI INCONTRATI FUORI DALLA STRADA BIANCA - Filippo Golia incontra Davide Cortese
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Filippo Golia |
Scoccano insieme
la mezzanotte e il mezzogiorno.
È l’ora di un eterno crepuscolo.
Due miei volti si specchiano
nelle ginocchia sbucciate
del demone bambino.
Zebù bambino è un poema pubblicato qualche
anno fa. Si immagina l’infanzia di Belzebù, il demonio. Con spirito manicheo,
l’assonanza è con Gesù, di cui Zebù è l’antitesi ma in qualche modo anche
l’oscura sostanza. Per una legge eterna della letteratura, il male è subito più
interessante, e questo è un minuscolo Paradise lost, rinchiuso in una
bottiglia:
Ali nere d’angelo
randagio
ha sul dorso Zebù bambino.
A dadi inganna il tempo malvagio
il signor Mefistofele piccino.
Zebù è soprattutto un bambino, inciso con precisione con la
punta di un ago. Dei bambini ha l’innocenza e la crudeltà:
incendia la torta del
suo compleanno
chiude gli amici nel vecchio capanno.
Scarta da solo i regali avuti.
Brucia il capanno e tanti saluti.
E ancora:
Piace la cioccolata
al piccolo demonio
non dividere in sillabe
la parola abominio.
Vuole il gesso nero
per scrivere alla lavagna.
Manda al cimitero
la maestra che si lagna.
Non vuole saperne d’a, e, i, u, o, u.
Ama la ricreazione
il piccolo Zebù.
Come in Dostoevskij, la dannazione è quanto di più vicino
alla dimensione del sacro possiamo conoscere in epoca moderna:
Talvolta se ne sta
solo
ginocchia sotto il mento
in cima ad un pensiero
battuto dal vento.
Nessuno lo vede e piange
nel silenzio che fa spavento.
Lacrima zolfo, il piccolo Zebù
gocce che sfrigolano
cadendo giù.
Ma Davide Cortese riesce
a non prendersi troppo sul serio:
Quando in petto lo strugge
un arcano bisogno d’amore
va a rubare all’emporio del gobbo
un lecca lecca a forma di cuore.
Ed ecco il finale:
Diventerà un bel
giovane
il piccolo Zebù.
Presto farà breccia
nel cuore di Gesù.
Un finale in cui, in quattro versi, si realizza una
stratificazione pazzesca di significati e allusioni. Tra le tante, quella alla
missione del cristianesimo, che è di redimere con l’amore.
E allora, di fronte a quest’opera che condensa in poche
pagine i più sulfurei umori del simbolismo e maledettismo francese, transitati
nella nostra scapigliatura e poi recuperati dall’anima crepuscolare – solo il
demone di Palazzeschi ha conosciuto e messo in scena simili teatrini di carta -
verrebbe voglia di fermarsi, con Davide Cortese, lì dove siamo, lungo la
faticosa salita del centro, lavata dall’acqua e imbrattata dal rumore e dirgli:
“ma se tu realizzi simili oreficerie meccaniche o simili origami in carta
carbone, e poi, per giunta, li infili in una bottiglia di vetro colorato, sarà
molto difficile ottenere la necessaria attenzione; la bottiglia è destinata a
giacere chissà quanto sul fondo del mare, prima di venire trovata e ammirata,
da occhi bambini.”
Lui è proprio incorreggibile. Vorrebbe, lo so, essere
riconosciuto ma poi gioca al gioco di scomparire. Forse è la cosa che gli piace
di più, se non fosse che, per un poeta, scomparire è dolorosissimo.
Per questo, forse, (non) ha scritto L’unicorno, o il
libro delle poesie inesistenti, per le Edizioni volatili. Un libro
meraviglioso, apparentemente per bambini. Ogni tanto qualche disegno firmato,
con la più pudica indicazione di “partiture visive”, da Giuditta Chiaraluce.
I testi sono semplici e implacabili. Ricordano, rovesciati, la tecnica dei
“delitti esemplari” di Max Aub.
Si comincia con:
Questa poesia non c’è
E poi:
Questa poesia si è nascosta
Oppure:
Questa poesia non è mai stata scritta
Ogni tanto un unicorno, ogni tanto un altro disegno. Ma si
tende alla pagina bianca:
Questa poesia era qui fino a un attimo fa
In un altro libro, Tenebrezza,
Davide Cortese è più esplicito (forse troppo):
Lasciatemi andare.
Non dite nulla, vi prego.
Alla volta del silenzio
muovo il passo.
mi grava sul dorso il peso
di tutto ciò che ho detto.
se avessi taciuto
ora potrei volare.
Ho ferito e non so perdonarmi.
Al silenzio mite faccio dono
di tutta la mia crudele imperfezione.
E allora dai, proviamoci:
C’era uno strano poeta di Lipari
che giocava a pari e dispari
se esce pari dalle dita vinco io
dispari nella vita esce Dio
se chiudo il pugno viene buio
apro una mano dopo il diluvio
quel notevolissimo poeta di Lipari
Davide Cortese, classe 1974, è un poeta, scrittore e artista dell'isola di Lipari. Si è laureato in Lettere moderne all'Università degli Studi di Messina con una tesi sulle "Figure meravigliose nelle credenze popolari eoliane". Nel 1998 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, titolata "ES" (Edas, Messina), alla quale sono seguite le sillogi: "Babylon Guest House" (Libroitaliano, Ragusa, 2004), "Storie del bimbo ciliegia" (un’autoproduzione del 2008), “ANUDA” (Aletti Editore, Roma, 2011) e “OSSARIO” (Arduino Sacco Editore, Roma, 2012).
Tra le sue raccolte più recenti ricordiamo: "Darkana" (LietoColle) e "Zebù bambino", un poemetto sull'infanzia del diavolo (Terra d'ulivi). Tra i romanzi: "Malizia Christi" (Edizioni Croce).
Grazie. https://youtube.com/shorts/-kek6rnLHZs
RispondiEliminagrazie a te!!
EliminaDavide Cortese incarna la poesia che ognuno ha dentro di sé. Un chiaro scuro di versi che nel mettere a nudo, scarnifica la poesia stessa. Un dono per tutti.
RispondiEliminaApprezzate, grazie!
RispondiEliminaGrazie per avermi fatto scoprire questa delicatezza di perle.
RispondiEliminaQuesta vocina ha parlato alla me bambina che ha sorriso maliziosa e serafica. Grazie, grazie, grazie! Maria Luigia Odorizzi
Grazie, graxie
Grazie