POETI INCONTRATI FUORI DALLA STRADA BIANCA - Filippo Golia incontra Davide Cortese

 

Filippo Golia

Mi piacerebbe se questo ritratto potesse essere il più breve possibile.
Vorrei chiuderlo in un Limerick di sette versi: appena due più del dovuto!

Davide Cortese non so quante volte l’ho incontrato e lo incontro. Me lo ricordo a una bancarella di libri, in Piazza Vittorio, durante la presentazione di un volume (certo, si possono fare le presentazioni alle bancarelle!), vuoi vedere che ci sarà anche Davide? E infatti!
Me lo ricordo a una lettura, a una conferenza, in una libreria e in una biblioteca.
Mi parla di sé: viene da un luogo meraviglioso e lontano, dalle isole Eolie, da Lipari; ci ha scritto la tesi di laurea: Figure meravigliose nelle credenze popolari eoliane.
Ohibò, e cosa ci fa qui, in quest’inferno di letture e incontri letterari, in mezzo al traffico? Sarà perché ama fondere gli opposti, esplorare i contrari, accostarli.

E poi è lì, piccolo nel fisico, gentile nei modi, umile nel portamento, che mi segue (poiché non è mai accaduto davvero, posso immaginare che sia in un giorno di pioggia, lungo una di quelle salite brulle del centro, annerite dai gas di scarico); ho letto le sue poesie? Cosa ne penso?
E cosa posso pensarne? E cosa conta ciò che ne penso io?
Credo che siano perfette, magistrali. Devono arrivare da un luogo remotissimo. Ma cupo. Una specie di risplendente purgatorio.
Qui dove siamo, in questa dissipazione continua, e fretta, non hanno molta cittadinanza.

 

Scoccano insieme
la mezzanotte e il mezzogiorno.
È l’ora di un eterno crepuscolo.
Due miei volti si specchiano
nelle ginocchia sbucciate
del demone bambino.

 

Zebù bambino è un poema pubblicato qualche anno fa. Si immagina l’infanzia di Belzebù, il demonio. Con spirito manicheo, l’assonanza è con Gesù, di cui Zebù è l’antitesi ma in qualche modo anche l’oscura sostanza. Per una legge eterna della letteratura, il male è subito più interessante, e questo è un minuscolo Paradise lost, rinchiuso in una bottiglia:

 

Ali nere d’angelo randagio
ha sul dorso Zebù bambino.
A dadi inganna il tempo malvagio
il signor Mefistofele piccino.

 

Zebù è soprattutto un bambino, inciso con precisione con la punta di un ago. Dei bambini ha l’innocenza e la crudeltà:

 

incendia la torta del suo compleanno
chiude gli amici nel vecchio capanno.
Scarta da solo i regali avuti.
Brucia il capanno e tanti saluti.

 

E ancora:

Piace la cioccolata
al piccolo demonio
non dividere in sillabe
la parola abominio.
Vuole il gesso nero
per scrivere alla lavagna.
Manda al cimitero
la maestra che si lagna.
Non vuole saperne d’a, e, i, u, o, u.
Ama la ricreazione
il piccolo Zebù.

 

Come in Dostoevskij, la dannazione è quanto di più vicino alla dimensione del sacro possiamo conoscere in epoca moderna:

 

Talvolta se ne sta solo
ginocchia sotto il mento
in cima ad un pensiero
battuto dal vento.
Nessuno lo vede e piange
nel silenzio che fa spavento.
Lacrima zolfo, il piccolo Zebù
gocce che sfrigolano
cadendo giù
.

Ma Davide Cortese riesce a non prendersi troppo sul serio:

Quando in petto lo strugge
un arcano bisogno d’amore
va a rubare all’emporio del gobbo
un lecca lecca a forma di cuore.

Ed ecco il finale:

Diventerà un bel giovane
il piccolo Zebù.
Presto farà breccia
nel cuore di Gesù.

 

Un finale in cui, in quattro versi, si realizza una stratificazione pazzesca di significati e allusioni. Tra le tante, quella alla missione del cristianesimo, che è di redimere con l’amore.

E allora, di fronte a quest’opera che condensa in poche pagine i più sulfurei umori del simbolismo e maledettismo francese, transitati nella nostra scapigliatura e poi recuperati dall’anima crepuscolare – solo il demone di Palazzeschi ha conosciuto e messo in scena simili teatrini di carta - verrebbe voglia di fermarsi, con Davide Cortese, lì dove siamo, lungo la faticosa salita del centro, lavata dall’acqua e imbrattata dal rumore e dirgli: “ma se tu realizzi simili oreficerie meccaniche o simili origami in carta carbone, e poi, per giunta, li infili in una bottiglia di vetro colorato, sarà molto difficile ottenere la necessaria attenzione; la bottiglia è destinata a giacere chissà quanto sul fondo del mare, prima di venire trovata e ammirata, da occhi bambini.”

Lui è proprio incorreggibile. Vorrebbe, lo so, essere riconosciuto ma poi gioca al gioco di scomparire. Forse è la cosa che gli piace di più, se non fosse che, per un poeta, scomparire è dolorosissimo.

Per questo, forse, (non) ha scritto L’unicorno, o il libro delle poesie inesistenti, per le Edizioni volatili. Un libro meraviglioso, apparentemente per bambini. Ogni tanto qualche disegno firmato, con la più pudica indicazione di “partiture visive”, da Giuditta Chiaraluce. I testi sono semplici e implacabili. Ricordano, rovesciati, la tecnica dei “delitti esemplari” di Max Aub.

Si comincia con:

 

Questa poesia non c’è

 

E poi:

 

Questa poesia si è nascosta

 

Oppure:

 

Questa poesia non è mai stata scritta

Ogni tanto un unicorno, ogni tanto un altro disegno. Ma si tende alla pagina bianca:

Questa poesia era qui fino a un attimo fa

 

In un altro libro, Tenebrezza, Davide Cortese è più esplicito (forse troppo):

Lasciatemi andare.
Non dite nulla, vi prego.
Alla volta del silenzio
muovo il passo.
mi grava sul dorso il peso
di tutto ciò che ho detto.
se avessi taciuto
ora potrei volare.
Ho ferito e non so perdonarmi.
Al silenzio mite faccio dono
di tutta la mia crudele imperfezione.


Proprio in questi giorni esce ancora un suo piccolo libro, Inventare un Dio, una filastrocca sul potere - tutto umano – di creare divinità, Edizioni progetto cultura, con le Illustrazioni di Marco Petrella.

E allora dai, proviamoci:

C’era uno strano poeta di Lipari
che giocava a pari e dispari
se esce pari dalle dita vinco io
dispari nella vita esce Dio
se chiudo il pugno viene buio
apro una mano dopo il diluvio
quel notevolissimo poeta di Lipari


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Davide Cortese, classe 1974, è un poeta, scrittore e artista dell'isola di Lipari. Si è laureato in Lettere moderne all'Università degli Studi di Messina con una tesi sulle "Figure meravigliose nelle credenze popolari eoliane". Nel 1998 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, titolata "ES" (Edas, Messina), alla quale sono seguite le sillogi: "Babylon Guest House" (Libroitaliano, Ragusa, 2004), "Storie del bimbo ciliegia" (un’autoproduzione del 2008), “ANUDA” (Aletti Editore, Roma, 2011) e “OSSARIO” (Arduino Sacco Editore, Roma, 2012). 

Tra le sue raccolte più recenti ricordiamo: "Darkana" (LietoColle) e "Zebù bambino", un poemetto sull'infanzia del diavolo (Terra d'ulivi). Tra i romanzi: "Malizia Christi" (Edizioni Croce).


Commenti

  1. Grazie. https://youtube.com/shorts/-kek6rnLHZs

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  2. Davide Cortese incarna la poesia che ognuno ha dentro di sé. Un chiaro scuro di versi che nel mettere a nudo, scarnifica la poesia stessa. Un dono per tutti.

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  3. Grazie per avermi fatto scoprire questa delicatezza di perle.
    Questa vocina ha parlato alla me bambina che ha sorriso maliziosa e serafica. Grazie, grazie, grazie! Maria Luigia Odorizzi
    Grazie, graxie
    Grazie

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