POESIA? NO, GRAZIE - Vincenzo Lauria - "Poesia virale"

 

Vincenzo Lauria

In un momento in cui anche le colonne democratiche del "globo terracqueo" sembrano  vacillare insieme alle più eccelse menti a capeggiarci, scegliamo, nel nostro infinitesimo piccolo, di aggiungere interrogativi piuttosto che dare certezze. 

Esordiamo perciò con una bella domanda per chi si occupa di divulgazione poetica: 


Come può la poesia divenire virale?


Per i neofiti del web il termine "virale", riferito a un contenuto mediale, è usato nel caso in cui la sua diffusione, condivisione, visualizzazione in rete, avvenga a una velocità paragonabile a quello della proliferazione di un virus a elevata trasmissione.


Googlando tra i casi di poesie diventate "virali", accanto a due più recenti, e noti ai più:


  • Se domani non torno” (2011), la poesia di Cristina Torres Cáceres contro la violenza sulle donne diventata, di recente, virale dopo il femminicidio di Giulia Cecchetin;

  • e, per opposti motivi, dei versi di Flavia Vento "guidati dalla mano di Giacomo Leopardi", come lei stessa ha affermato durante la trasmissione televisiva "Belve":


Giovinetta Immortal 

Il sol dietro auree 

risiede al tuo passar

Brilli di auree lucenti

dietro secoli passati

in silenziosi oblii.

Ahimè ti ho trovata 

lungi da me il tuo 

vagar. Sono con te

musica nel cuor 

Potessi volare da te 

ti porterei dietro 

l'infinito a sentire il  

corso immortale che 

risiede nelle dolci 

facelle.


ci colpisce l'eclatante caso di un "insospettabile" poeta virale, Pietro Pacciani che, ormai decenni fa, ha avuto l'ardire di declamare una sua poesia (tra le tante composte in carcere) mentre rendeva testimonianza al processo che lo vedeva imputato per i 16 omicidi del Mostro di Firenze, forse per asseverare la sua innocenza (ignaro delle ben più marziali "pene" comminategli dall'incalzante "Tribunale poetico"):


Se ni’ mondo esistesse un po’ di bene

e ognun si honsiderasse suo fratello

ci sarebbe meno pensieri e meno pene

e il mondo ne sarebbe assai più bello


Vedere per credere al link sottostante:

La Poesia di Pacciani


Ed è qui che la potenziale virulenza poetica si è scatenata sul "globo terracqueo" dando, a nostro avviso, la migliore dimostrazione della sua "virilità" con oltre 1 milione di visualizzazioni d'antan (per il video di ventitrè minuti dal quale lo stralcio è tratto).


Che altro dire se non che, alla luce di questi tre semplici casi di viralità poetica, ci sembra di poter evincere che almeno che non giunga in nostro soccorso la "mano santa" (comunque "mano morta") di un famoso poeta trapassato a scrivere per noi i giusti versi o che un nostro componimento trovi occasione di essere associato, in qualche forma, a fatti di cronaca nera, le speranze di provare l'ebbrezza di divenire virali siano infinitesimali.


Rimanendo in tema di viralità, in senso più lato, colpisce, nel divenire di quest'ultimo quinquennio, un fenomeno che forse merita qualche riflessione in più. 

Stiamo parlando di quella che potremmo definire: "La variante poetica"

Il passaggio dalla carcerazione di Pacciani al lockdown dei picchi pandemici di Coronavirus (benché  alcuni "no vax" lo abbiano accostato, talvolta, agli arresti domiciliari), non è né immediato né immune da voli pindarici.

Ma è pur vero che, come lo stesso Pacciani ha "beneficiato" del periodo di detenzione per poter scoprire in sé una "vena poetica", così, durante il lockdown, non pochi hanno sentito fiorire in sé un bisogno scrittorio senza eguali nel corso della propria esistenza. 


Capita non di rado (credo non solo al sottoscritto) che partecipando a incontri o ascoltando interviste, gli autori dichiarino che un testo, una raccolta, un saggio, un romanzo, una biografia,  abbiano avuto origine durante il periodo pandemico o che, addirittura, il loro rapporto con la scrittura, quale che sia la forma scelta, sia iniziato attivamente proprio in quel periodo.

Come se, al succedersi delle mutazioni del Coronavirus, si fosse aggiunta una vera e propria "variante poetica" o più genericamente scrittoria. 

Sulle conseguenze faste o nefaste di questa mutazione sulla collettività, non ci sentiamo di esprimere giudizi, ci limitiamo a osservare lasciando che sia il tempo a dare risposte in merito e formandoci, caso per caso, opinioni personali.


Per chi temesse che i cicli vaccinali ai quali ci siamo (o non ci siamo) sottoposti  potrebbero non proteggerci sufficientemente contro questa "subdola variante", non abbiamo soluzioni, bisognerà confidare nella ricerca....

Due righe di "bugiardino" però ci sentiamo di poterle dare: consigliamo a tutti noi di rifornire adeguatamente, e fin da ora, le proprie librerie in modo che scrittura e lettura, sé e altro da sé, si possano bilanciare, a costo di diventare bibliomani o, ancora meglio, di praticare l'arte giapponese dello tsundoku*


* Il termine deriva da una antico dialetto giapponese e unisce tre differenti parole: tsunde (ammucchiare le cose, accumulare) doku (leggere) eoku (lasciare perdere per un po’). Nel complesso, quindi: accumulare libri e lasciarli perdere per un po’. Il termine è in uso in Oriente dal 1879 per raccontare una tendenza che accompagna l’umanità sin dal Medioevo. 

Questa prassi riguarda infatti tutte quelle persone che acquistano libri con il preciso intento di leggerli. Li ripongono sugli scaffali (o sopra il comodino, o in giro per la casa) in attesa di iniziare con la lettura e poi li abbandonano per un tempo indefinito. Come mai? Perché nel frattempo acquistano nuovi volumi che rubano il loro interesse. Ad un certo punto però anche parte dei “nuovi” volumi diventeranno datati, perché saranno sostituiti e soppiantati da acquisti ancora più recenti.

(Estratto dall'articolo di Maria Francesca Amodeo pubblicato il  17.01.2023 su www.wired.it)


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