LA STANZA DEI DESIDERI - Ivana Rinaldi - Un viaggio chiamato amore
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Ivana Rinaldi |
La
pubblicazione dell’epistolario tra Sibilla Aleramo e Dino Campana ha una
storia lunga e controversa. Per molti anni, Sibilla aveva conservato
gelosamente la corrispondenza che testimoniava la sua storia d’amore con il
poeta dei Canti Orfici. Fino a che la sua vita si intreccia con quella
di un giovane poeta di Fermo, Franco Matacotta, rimasto uno splendido
sconosciuto. Eppure nel marzo 1941, in Prospettive, egli firmò un
appassionato commento degli inediti: “Pagine e pagine di lettere che io
rileggo, foglietti laceri scritti sulle tavole di osterie e di caffè durante il
suo vagabondaggio tra le colline del Mugello, o le montagne del Piemonte, o
nelle soste a Firenze, mentre la pazzia, nell’anno del suo ultimo disperato
amore, lo stava già attanagliando” (p.35). Quando il loro rapporto si altera,
Sibilla pensa di essere stata ingannata. Nel ’59 scrive: “Franco chi ti ha dato
il permesso di pubblicare i miei ritratti e le lettere inedite di Dino? Codeste lettere dovevano essere tra le tante
carte che tu mi hai sottratto dal cassetto prima di lasciare la soffitta”
(Diario 1945-1960). La scrittrice muore nel 1960, dopo aver lasciato tutte le
sue carte al Partito comunista italiano, comprese le lettere di Campana, ora
consultabili presso la Fondazione Gramsci. La curatrice di questo volume, Bruna
Conti, dopo un’accurata ricerca nella Fondazione e al Gabinetto Vieusseux
di Firenze, ci offre una dettagliata ricostruzione di quella che è stata la
turbolenta storia d’amore tra la scrittrice che ha contribuito
all’emancipazione delle donne italiane con il suo Una donna, e il poeta
di Marradi che ha pubblicato una sola raccolta nel 1914, I canti orfici,
capolavoro della poesia del secolo scorso. Pur se difficile inserire Campana in
una tradizione o in un canone, egli molto richiama il simbolismo di Rimbaud. Un
poeta visionario, inquietante, figura orfica, misteriosa, oscura, la cui poesia
comunque scaturisce da una vena pura. Sibilla è rimasta affascinata dalla sua
scrittura e vuole conoscerlo. Vuole conoscere il poeta, il vagabondo, che segue
“l’ansia del segreto delle stelle”, “E l’immobilità dei firmamenti /E i teneri
cieli”. E il mondo che chiama Chimera. Ambedue erranti, ambedue amanti di
Witham – Dino aveva sigillato i suoi canti con i versi del poeta americano They
were all torn/and cover’d with the boy’s blood (Eravamo tutti stracciati e
coperti col sangue del fanciullo), lei bella e elegante, lui biondo rossiccio,
robusto d’aspetto montanaro, decisero di incontrarsi a Barco, non troppo
distante da Firenze dove lei era ospite in una villa chiamata La Topaia
di Maria e Julien Luchaire, direttore dell’Istituto francese di Firenze
dove collaborava come traduttrice. Di
fatto il 16 agosto 1916, una donna assai bella si dirige verso Barco, prima in
treno poi in macchina, dove lui la aspetta. Tra di loro una tempesta d’amore.
Una “deflagrazione”, la definì Mario Luzi quaranta anni dopo. Barco con la sua
natura solitaria e aspra, fece da cornice in quei giorni di magia, al sogno
d’amore anticipato da Campana nel suo libro visionario: “Passavano quelle ore
di sogno, ore di profondità mistiche e sensuali che scioglievano in tenerezze i
grumi più aerei del dolore, ore di felicità completa che aboliva il tempo e il
mondo intero”.
Pochi
giorni che diedero vita a una storia sofferta e travagliata durata neanche due
anni. Qualcosa spezza l’incanto, così come la meteorologia spezza la stagione.
La nevrastenia - così Dino chiama la malattia che lo perseguita
dall’adolescenza – torna a impadronirsi di lui. Forse lei sapeva del suo
disagio, ma non ne conosceva la portata. Dino aveva vissuto l’esclusione
dall’esercito – si era in guerra – e la querelle con Papini e Soffici
per la perdita del manoscritto Il più lungo giorno, versione antecedente
ai Canti orfici, che aveva peggiorato i rapporti con gli intellettuali
del tempo e il suo stato d’animo. In preda ai deliri, dicono i suoi amici, e
alla gelosia dopo che Sibilla gli aveva fatto leggere il suo secondo romanzo in
cui racconta della sua vita e soprattutto dei suoi amori: Damiani, Cardarelli,
Papini, Boccioni, Cascella, Aqualetti, Franchi. Gli tornano in mente le
maldicenze su di lei. Troppi per sperare di essere l’ultimo. Preso da un’ira
incontenibile, urlò, si disperò, la picchiò, e lei scappa. I deliri di Dino non
hanno più sosta e Sibilla sfinita annuncia al suo amico Cecchi, fine critico
dei Canti, che vuole fuggire a Sorrento. La loro storia dal 29 gennaio
1917 è affidata alla parola scritta e al racconto di terzi. In un’eterna
altalena di sentimenti, si rincorrono, senza speranza fino a che Campana viene
internato nel cronicario di Castel Pulci. E qui il viaggio chiamato amore
finisce. Alla madre che va a trovarlo e gli chiede come sta, lui risponde “in
manicomio”. Qualcuno dei suoi vecchi amici chiede di lui; in realtà morì
solo, nel 1932, dopo la seconda edizione dei Canti (1928). Sibilla non
si è mai fatta viva in tutti quegli anni, la sua proverbiale fiducia in se
stessa e nella vita, la allontanano sempre dal dolore. E continuò a
innamorarsi. Mentre lui ebbe solo un amore e a lei dedicò versi memorabili:
I
piloni fanno il cielo più bello/ E gli archi fanno il cielo più bello/Negli
archi la tua figura/ Più pura nell’azzurro è la luce d’argento/ Più bella tua
figura /Più bella la luce d’argento nell’ambra degli archi/ Più bella della
bionda Cerere la tua figura.
Ormai
stanco e malato Dino non volle più scrivere versi: “Perdonami se non voglio
essere più poeta nemmeno per te. Sai che neppure le acque e - neppure il
silenzio sanno più dirmi nulla – e senti la mia infinita desolazione. Ti porto
come il mio ricordo di gloria e di gioia (27 ottobre 1916). Nonostante anche lei si disperi per la
disfatta e per un miracolo ormai perso “In un momento sono sfiorite le rose (/
I petali caduti/ Perché io non potevo dimenticare le rose/ Le cercavamo
insieme/ Erano le sue rose erano le mie rose/ Questo viaggio chiamato amore/
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose/ Che brillavano un
momento al sole del mattino/ Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi/ Le
rose che non erano le nostre rose./ Le mie rose le sue rose/ E cosi
dimenticammo le rose. (3 gennaio 1917).
Sibilla
Aleramo, Dino Campana, Un viaggio chiamato amore Lettere 1916-1918, a
cura di Bruna Conti, Feltrinelli, 2000.
Dino
Campana, Canti Orfici, ed. Einaudi, 2014.
https://youtu.be/1DIbMem6cbI
RispondiEliminaGrazie! https://youtu.be/0lKDGQyVoxs
RispondiEliminahttps://youtu.be/Gv4lGGsh9Jo
RispondiEliminahttps://youtu.be/9_Pr8TNfwwE
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