POETI INCONTRATI FUORI DALLA STRADA BIANCA - Filippo Golia incontra Davide Nota
![]() |
Filippo Golia |
Mi
metto in auto di buon’ora. Ho davanti a me quasi duecento chilometri e almeno
tre ore di guida. Inserisco il navigatore e dopo le prime svolte faccio partire
la musica che mi accompagnerà.
Ma
ti prego, mio Dio, fa' che non mi sazi mai
Se faccio passi falsi, fa' che passi guai
Fa' che non passi mai la fame che mi inghiotte
Piova giorno e notte, piova giorno e notte
Anastasio è un rapper campano, 27
anni, una vittoria a X Factor alcuni anni fa, un brano di
successo dedicato a Maurizio Sarri,
allora allenatore del Napoli. Poi, questo album.
L’auto
fila decisa lungo la Flaminia.
È
una bella giornata.
Ci sono poeti che senti di possedere subito, fanno parte della tua stessa
storia, ne radiografi radici e precedenti formali al primo sguardo; e ci sono
poeti che continui a inseguire, che ti rigiri tra le mani e cerchi di
afferrare, di fermare ma ti spiazzano, lasciandoti in cerca della definizione
giusta, di una parola ultima, che forse non vogliono. O non vogliono da te.
Bisogna rimettersi in cerca…
E tu
credevi di non venerare niente,
veneri il niente
È abbastanza differente
Come
spesso mi capita ho letto per la prima volta poesie di Davide Nota non su una rivista o in un libro ma in rete. Ho
cercato il volume che pubblicava proprio in quei giorni: Rovi. Nel presentarlo scriveva di aver dato sistemazione a tutto il
periodo giovanile della sua poesia. Ci ero rimasto male: e il periodo maturo?
Quanto dovrò aspettare?
Le poesie di Rovi sono molto belle ma eccedono i miei tentativi di inquadrarle:
Le
croci delle antenne sopra i tetti
che scrostano l’intonaco del cielo;
per
strade cementizie i ragazzetti
drogati si trascinano nel gelo
cittadino,
fumando sigaretti.
Si addormono negli angoli del centro
traendo
nei piumini neri, stretti
quei crani prematuri, già da dentro
rigonfi
in ematomi e crosti infetti
che blu le natalizie luci al neon
ne
fanno dei cadaveri perfetti.
Realtà
è una parola che non significa nulla, soprattutto se riferita alla poesia.
Evocare, quindi Pasolini, che alla “Poesia della realtà” ha dedicato una
contestata antologia, non aiuterà. E nemmeno la corte che lo segue: Dario Bellezza, Giorgio Manacorda o Renzo
Paris e così via.
Perché queste poesie, figlie del degrado urbano, del disagio,
dell’irrequietezza, quindi della presunta realtà, sorpassano subito la
misura loro assegnata.
Sono animate da una coerente rabbia politica. Ma dentro la rabbia ci sono
un’attitudine narrativa e un’attitudine lirica. Assaggiamo quest’alba, per
esempio:
Mi
salvarono due poliziotti
che vagavo sanguinante per la strada.
mi offrirono un panino, una coca-cola
e la poltrona del questore dove dormire.
Al risveglio, mi ricordo, c’era l’alba
ed era enorme, sopra ogni cosa…
È
una poesia generazionale, parla chiaramente a una generazione, giovane negli
anni duemila, Come per Gabriele Galloni.
Ma da Galloni è distantissima: non che manchino, anche qui, a tratti, quel
senso di incantato stupore, quella misura apollinea. Ma sono scalzate e divelte
da una sorta di continua emorragia, anche di parole, che sgorgano, si
incastrano; eccedono, dicevamo…
E ancora, tra i suoi versi si rintraccia una spiccata vocazione alla
contaminazione dei generi e linguaggi. Ci senti il casino di un’epoca, la
potenzialità della musica, del ritmo che batte:
Questo
è l’amore ai tempi della techno
se non ci credi… vabbè lo stesso
tanto qui la luce è muro vuoto, è nudo
parcheggio, sotto casa, che impedisce.
Davide
Nota sente e denuncia l’incapacità della lingua, per quanto virata e mutata
dalla contaminazione, a tener dietro a ciò che vorrebbe rappresentare:
ma
se una lingua inesistente sente in sé
la lontananza siderale degli astri
che di ogni corpo fanno un corpo vivo e mortale,
quanto distante è questa vita dalla vita stessa
che la anima ed ignora, immaginandola
come una cosa sola?
Quella
che all’inizio del libro è un’estraneità politica, sfogliando le pagine tende a
diventare uno straniamento esistenziale, un’estraneità quasi montaliana
rispetto a tutte le cose, che si avvicendano sullo sfondo:
La
mia giornata è senza senso e non sarà
possibile costruire una fortezza necessaria
per dire è questo, è quello.
io sfoglio libri alla rinfusa
come le pagine di Topolino e Focus. Non leggo Bataille,
inizio Proust ma mi distraggo. E presto è l’ora
di farmi un giro su Youporn.
E quando arrivo a sera sono stanco.
A volte penso che si perda crescendo
la facoltà di intendere le cose…
La strada si volge davanti a me in dolci curve. Attraverso l’Umbria, tra
colline, boschi e cittadelle arroccate. Un vociare di folla si mescola alla
musica…
È il 1848 e Baudelaire scende in
strada per una lunga passeggiata nell’orrore della reazione borghese ai moti di
giugno.
“Le macchine non possono pregare” è
un album a sfondo rap di Anastasio, che mi ha passato mio figlio sedicenne. Per
la precisione è un’opera rap. Tutti i brani sono collegati e raccontano
un’unica storia, che spazia dal 48 a oggi e si conclude in un serrato confronto
tra l’uomo e la macchina come la conosciamo adesso: intelligenza artificiale,
singolarità, o “il ciclope”.
Davide Nota ha collaborato con Anastasio alla stesura dei testi.
A un certo punto lo avevo perso di vista. Le poesie dell’età matura non arrivavano, al di là di qualche testo sparso in rete. Ha pubblicato un breve romanzo, Lilith, con le edizioni Sossella; ma mi interessava meno.
Poi l’ho rintracciato: ha una bancarella di libri a Macerata!
È lì che sono diretto. Nell’auto Anastasio scandisce:
Tutto ebbe inizio nel giugno del 1848
Parigi è in tumulto
I rivoltosi alzano le prime barricate
E una ragazza di vent'anni si arrampica fino in cima
Solleva la gonna e grida ai soldati: "Sparate vigliacchi
Contro il ventre di vostra madre"
E i soldati sparano
Una ragazza cade a terra trucidata
E la guerra inizia
Da una parte le armate schierate dal parlamento
In difesa dell'ordine e del dogma del progresso
E dall'altra
Ribelli, avanzi, operai, mendicanti, puttane, studenti senza capi né bandiere…
"Aboliamo il tempo"
Siamo ancora in tempo, ma il giro ricomincia sempre
Le lancette girano in eterno
Sullo stesso perno, ma non cambia niente…
Un poeta cammina tra loro
Passo elegante, gira da solo
Tra sassi che volano e fucilate
Strade bloccate da barricate
Si chiama Baudelaire
Vede la vita baciare la folla come una madre
Vede un profeta che prende la mira
Poi sente gridare puttane sacre
Una febbre mistica lo prende
La vita che insorge come delirio
Il santo disordine finalmente…
Spara il fucile, muore una guardia
Ma la follia si ripete in eterno
La tirannia da combattere è il tempo
L'imperatore ne è un misero servo
Spara il fucile, muore un ragazzo
Gira la ruota sullo stesso perno…
Sono
stato sempre affascinato dal rap e quando mio figlio ne ascolta, se posso, mi accodo.
Mentre la lingua poetica fa sempre più fatica a nominare la
contemporaneità, nei monologhi del rap e dell’hip-hop (soprattutto in altre lingue: francese e inglese, per
quanto posso intuire) c’è una possibilità di metamorfosi delle parole che rende
tutto più fluido e prensile: significante.
“Le macchine non possono pregare” è
diverso, prevale il significato, che si va chiarendo di brano in brano, come si
trattasse di un romanzo o, appunto, di un’opera ottocentesca. In breve: il
meccanismo che oggi chiamiamo intelligenza artificiale, il mercato degli
algoritmi, è la punta di un processo innescato fin dall’alba della modernità,
convenzionalmente fissata qui con la repressione delle rivolte del 1848 e la
stralunata e disperata passeggiata di Baudelaire; i ribelli vorrebbero abolire
il tempo - in un’orgia mistica – ma la razionalizzazione, del tempo, dei ruoli
e delle funzioni, legata al mito del progresso, prevale, con furia omicida.
Il 1848 è oggi: e il peggio deve ancora arrivare, sta arrivando: inarrestabile.
Ho
guidato fino a Macerata per cercare la bancarella di libri di Davide Nota. La
allestisce ogni seconda domenica del mese, nel mercato del Barattolo; ma non
posso avere la certezza di trovarcelo.
Le bancarelle di libri sono una passione antica. Ognuna ha un suo carattere:
quella sterminata del Professore, a Piazzale Flaminio a Roma, che una volta
prese fuoco; quella che un signore basso, grosso e calvo, con spiccate simpatie
di estrema destra (lo si capisce dai volumi che sfoglia scontroso, appollaiato
su un trespolo) distende sul cofano della sua vecchia Yaris color pozzanghera,
proprio dietro casa mia; la bancarella che riusciva a mettermi di buon umore al
mare, nella pineta di Santa Marinella, vicino Roma, durante le interminabili
estati che odiavo.
Non esiste una dissipazione di tempo più grande di quella che riconosci sulle
tavole piene di vecchi libri: intere biblioteche, quindi intere esistenze,
squadernate in pochi metri quadri; capolavori e mediocrità che sonnecchiano
inutili fianco a fianco, macerando al sole o alla pioggia; appena sotto le
copertine, si nascondono vitali depositi di ribelli, avanzi, operai,
mendicanti, puttane, studenti senza capi né bandiere…
Mi
avvio tra le strade del mercato del Barattolo, timoroso: andrà bene con Davide
Nota? O sentirò rabbia, distacco, arroganza intellettuale? Sarà stato un
viaggio inutile?
Ci vuole poco: ci casco dentro alla prima svolta e la riconosco. Mi avvicino e
ficco la testa nei libri. Lui sta ricevendo la visita di un amico, una grande
capigliatura riccia, si scambiano qualche abbraccio.
Ma ci teniamo d’occhio, mentre frugo fra le pagine.
Il ghiaccio si rompe naturalmente su un libro di poesie di Queneau, edizioni Gallimard, autografato da Adele Faccio, esponente
storica del nostro femminismo; il libro arriva dalla sua biblioteca - mi
spiega. Chiacchieriamo di come le librerie delle case si rovescino a volte là,
nell’usato. Un testo di Dario Bellezza, poesia e teatro, è lo spunto per altre
parole. Lui è timido quanto me, spontaneo, di una gentilezza
imbarazzante.
Per
quando finiamo di parlare ha intuito qualcosa (o forse tutto). Mi chiede se
sono solo un lettore o se scrivo. Preferisco restare sul vago e congedarmi.
Altrimenti potrei chiedergli: perché Baudelaire e il 1848 e non Rimbaud e la Comune di Parigi, nel
1871? Ma diventerebbe un’intervista. Tutto cambierebbe natura.
Del resto io sono a Macerata soprattutto per la sua bancarella: intesa come
opera. Non è una di quelle bancarelle eleganti che sciorinano mezzo catalogo Einaudi fuori commercio e decine di Adelphi, appena un po’ fuori moda. È
sufficientemente caotica, abbondantemente ricca, ha un ampio settore dedicato
alla poesia, con molte sorprese. Mi sono portato via una grossa biografia di Joseph Conrad e un libro di un poeta di
Odessa, Eduard Bagrickij,
contemporaneo stralunato e visionario di Majakovskij,
che non avevo mai nemmeno sentito nominare.
Quindi, che strada prenderà la poesia di Davide Nota? Si rovescerà interamente nel rap o arriveranno le poesie della maturità?
Non lo so.
So solo questo: che la sua bancarella di libri dovrebbe diventare una meta di pellegrinaggio per chiunque ami la poesia.
(Ma che peccato quel volume di Queneau, che alla fine, non so perché, ho
lasciato lì, a Macerata).
![]() |
Davide Nota "Rovi", ArgoLibri, 2022 |
_______________
Davide Nota è
nato nel 1981 in provincia di Milano ma risiede nelle Marche. Ha studiato a
Perugia e vissuto a Roma per alcuni anni. Ha pubblicato i libri di poesia Battesimo (2005), Il non potere (2007), La
rimozione (2011), poi raccolte nel volume Rovi (2022). Ha svolto alcuni esperimenti di video-arte
installativa con il duo Ermes Daliv
e di teatro multimediale. Il suo primo romanzo, Lilith, è stato pubblicato nel 2019 dall’editore Luca Sossella.
Ha recentemente collaborato alla stesura del testi dell’album “Le macchine non possono pregare” di
Anastasio, poi diventato anche un graphic
novel.
Commenti
Posta un commento