LA STANZA DEI DESIDERI - Ivana Rinaldi - Osip Mandel’štam. Il poeta che annaspa nel limbo della vita
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Ivana Rinaldi |
I
testi che costituiscono l’epistolario di Mandel’štam,
a parte qualche eccezione, non erano stati pensati per la pubblicazione, scrive
la curatrice del volume, Maria Gatti
Racah, poiché la scrittura del poeta russo è una scrittura “parlata”, intima, fatta di omissioni o
rivolta a ricoprire il vuoto delle assenze. Ci permettono comunque di seguire i
suoi stati d’animo, fino all’inevitabile conclusione della sua breve vita.
Scrive
Pasolini di lui: “Ciò che è tragico – più che la sua lotta
accanita e prudente contro Stalin – è il suo cercare di accontentarsi dei suoi
lavori editoriali, le sue sistemazioni – che gli sembrano così felici.
Annaspando nel limbo della vita – che poi era la non vita di chi non accettava
la dittatura di Stalin- Osip Mandel’štam ha vissuto una vita irreale per cui
non esisteva soluzione”.
Nato
a Varsavia il 3 gennaio 1891, qualche anno dopo si trasferisce con la sua
famiglia a San Pietroburgo. Risalgono alla sua adolescenza i primi esperimenti che
lo avvicinano ai circoli socialisti rivoluzionari. I suoi genitori, preoccupati
delle sue simpatie rivoluzionarie, lo mandano a studiare a Parigi, alla Sorbonne e poi a Heidelberg e infine a Pietroburgo. Negli anni successivi viaggia molto, in
Finlandia, in Svizzera, a Berlino. Conosce i più grandi letterati del tempo, Michail Bulgakov, Boris Pasternak, il poeta futurista Velimir Clhebnikov, e Anna
Achmatova. Sulle pagine della rivista Apollo, a cui collabora, viene
proclamata la nascita del movimento acmeista,
un movimento poetico contrapposto al simbolismo e che poneva il fulcro della
poesia nell’accettazione del mondo, in tutte le sue varietà di difformità e di
bellezza.
Scrive
nel manifesto uscito nel 1919: “Esistere
è il sommo amor proprio dell’artista. Egli non vuole altro paradiso ad
eccezione dell’essere, e quando gli parlano della realtà, egli sorride
amaramente perché sa che è infinitamente più persuasiva della realtà”: Nel
1922, esce il suo saggio Sulla natura della parola e la prima raccolta
poetica Kamen (Pietra). Successivamente Il rumore del temo e Fedosia.
(1925) In Tristia (1922).
Ho
brividi di freddo
Ho
voglia di ammutolire!
Ma
nel cielo danza l’oro, mi ordina di cantare!
Nel
frattempo aveva sposato Nadja Jakovlevna,
la sua Nadežda. Man mano che il suo dissenso verso la politica di Stalin si fa
più netto, nel 1933 pubblica una poesia contro Stalin, viene isolato dal mondo
letterario, insieme a tutti coloro che dissentono. Inutili gli aiuti dei suoi
amici, Achmatova, Sklovskij, Pasternak. Accusato di plagio dal critico
Gonfel’d, scrive alla redazione di Vecërnjaja Moskova : “Mi trovo a intervenire in un ruolo per me
inconsueto: devo rendere conto di aver usato materiale altrui. La traduzione
dei classici stranieri è alla portata dei grandi atti della parola. Le case
editrici al momento non sono in grado di mobilitare i traduttori. Siamo
costretti a lavorare con ferri rudimentali e tuttavia pubblichiamo testi
migliori dei precedenti (…) Ho lottato molto e a lungo con la convenzionalità
del linguaggio traduttivo. è orribile
e copre la voce dell’autore. è irrilevante
che io abbia ritoccato più o meno bene le vecchie traduzioni. Davvero voleva
che noi per la gara dei filistei, giungessimo a contrarci come due bottegai.
Occorre torcersi il collo dalle cattive procedure, ma ciò non significa che gli
scrittori debbano torcersi il collo l’un contro l’altro”. (p.130). Quanto ancora attuale questa inimicizia tra
coloro che scrivono!
Nell’ultimo
anno di vita, inguaribilmente malato, e senza niente da mangiare, l’Unione degli scrittori dichiara: “Che Mandel’štam eserciti il suo diritto al
lavoro dove e come gli aggrada, al di fuori dell’Unione degli scrittori”
(p.211). Dopo una prima condanna che gli costa il confino negli Urali, a Čerdin
e in seguito a un tentativo di suicidio, la pena sarà attenuata e insieme a
Nadja si trasferisce a Veronež.
Nel
1938 viene emessa la condanna a 5 anni di gulag; a ottobre parte con un
convoglio destinato all’Estremo Oriente: in un campo di transito vicino a
Vladivostok muore, probabilmente per tubercolosi. Un destino tragico il suo,
eppure viene considerato il più grande poeta della contemporaneità. La figura
dell’intellettuale di origine non aristocratica è a suo dire la figura autonoma
per eccellenza. “Se non ci fossi tu,
rabbia della letteratura, con quale cibo potrei mangiare il sale della terra? Tu
dai sapore a quel pane insipido che è il comprendere, tu, allegra coscienza del
torto, tu sale dei congiurati” (Il rumore del tempo, p.9).
Nel
1937 i versi: “E sotto il cielo
dimentichiamo spesso/ sotto un purgatoriale cielo effimero/ che il felice deposito
celeste/ è una mobile cosa della vita”. (Da trenta poesie scelte)
Nonostante
le condizioni di grande precarietà esistenziale, le lettere indirizzate alla
madre, al padre, a Nadja, agli amici, sono tenere. Esprimono la sua passione
per la vita e il sentimento di gratitudine.
Scrive alla madre nel 1908: “La vita è una tenera commedia”. Al maestro Gippius nello stesso anno: “Non nutro alcun sentimento preciso nei confronti della società, di Dio, dell’uomo, ma tanto più intensamente amo la vita, la fede, l’amore” (p.33). Al padre parla spesso delle crescenti difficoltà economiche. “In due parole stiamo attraversando un completo crac finanziario, non solo non abbiamo nulla di che vivere, ma neanche di che tornare” (p.63). A Nadja sono indirizzate la gran parte delle lettere, specialmente del ’26, quando lei è costretta per motivi di salute a stare a Yalta, mentre Osip è a Leningrado: “Mia cara bambina, senza di te non posso, né voglio vivere, tu sei tutta la mia gioia, tu sei ciò che ho di più caro”.
Più
tenero della tenerezza
Il
tuo volto
Più
bianco del bianco
la
tua mano,
dal
mondo intero tu sei lontana.
E
lei invia la sua ultima a Osip il 22 ottobre 1938, una lettera che mai lui
leggerà: “Ricordi come è buono il pane
quando cade dal cielo e lo si mangia in due. E l’ultimo inverno dal confino di
Voronež. La nostra felice miseria e le
poesie. Ogni mio pensiero è rivolto a te e ogni sorriso è per te. Benedico ogni
giorno e ogni ora della nostra amara vita. Amico mio, mio compagno di viaggio,
amata, cieca guida mia. La vita è lunga. Com’è lungo, difficile morire da solo,
da sola. Possibile che proprio a noi, inseparabili, tocchi questo destino. Non
ho fatto in tempo a dirti quanto ti amo. Non riesco a dirlo nemmeno ora. Dico
soltanto per te, per te, sei sempre con me ei io – selvatica e cattiva che mai
ha saputo semplicemente piangere – io piango, piango e piango. Sono io Nadja.
Dove sei? Addio”.
Nadja,
custode dell’opera intellettuale di Osip, sarà figura capitale della resistenza
al regime e seguirà il processo di riabilitazione del marito iniziata nel 1964,
con Brežnev al potere. Fino alla sua morte nel 1980. A lei Josif Brodskij nel
1981 dedica un saggio importante raccolto in Fuga da Bisanzio.
Riferimenti:
Osip
Mandel’štam, Epistolario. Lettere a Nadja e agli altri (1907-1938, a
cura di Maria Gatti Racah, Giacometti§Antonello, Macerata, 2020.
Trenta poesie scelte,
CFR, 2014, traduzione Paolo Statuti.
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