POESIA? NO, GRAZIE - Vincenzo Lauria - Il profilo ammiccante

 

Vincenzo Lauria

Cari compari e care comari del web dopo i watt dell'occhio di bue consumati per scovare, nello scorso numero della rubrica, il "profilo trombamico" (POESIA? NO, GRAZIE - Vincenzo Lauria - "Il profilo amico"), divincoliamoci dalle profferte per il cambio di operatore energetico e avanziamo sull'affollato palcoscenico social soffermandoci su un'altra tipologia che potrebbe celarsi dietro a ognuno di noi.

Il profilo del quale stiamo per delineare i tratti salienti si contraddistingue per l'utilizzo frequente delle sue capacità persuasive. In bilico tra il tacco 15 della propria consapevolezza e la zeppa dei contenuti che vorrebbe divulgare, non dà esattamente l'idea di "camminare in una valle verde" (parafrasando un noto spot con la Raffa nazionale).

Mettiamoci comodi dunque, che sia a piedi nudi, con una ciavatta scarcagnata, un calzino antiscivolo, una calza antitrombo, uno zoccolo di marabù o l'ultimo modello di Jimmy Choo...e passiamo dal profilo amico al profilo ammiccante.

Che ad ammiccare dal profilo amico siano labbra protese o una maschia mascella volitiva, un'ampia scollatura o un fascio di muscoli colti, freschi freschi, nello spogliatoio di un centro sportivo, non fa differenza, né ci scompone... se si tratta solo di solleticare l'ormone...

Bellezza e prestanza non sono un demerito, piacciono agli occhi e non escludono di per sé la qualità dei contenuti che ognuno di noi può proporre. D'altronde, un periodo di narcisismo o di autocompiacemento può capitare ciclicamente a tutti e ben venga se giova all'umore e all'autostima.

Il confine con il divenire ripetizione di se stessi è, però, dietro l'angolo e valicarlo rischia di svilire, più o meno a torto, i contenuti che di volta in volta sono associati a questo modo di proporsi ed esporsi.

Se "l'algoritmo" premia i post in cui appariamo (al massimo di noi stessi?) diffondendoli maggiormente, con conseguente crescita dei "like", a discapito di quelli in cui riportiamo "solamente" un testo, un saggio, un'esperienza (che arrivano a essere letti a malapena dai più assidui interagenti con i nostri profili) questo non vuol dire che bisogna diventare "vetrinisti" di se stessi tout court, associando necessariamente a ogni contenuto un qualcosa che solletichi, che catturi l'attenzione.

Il passo è, infatti, breve e andando per iperbole (ma non troppo) ci si potrebbe presto ritrovare con il proprio libro (in velata promozione...giusto un venti denari...) graziosamente adagiato sullo stacco di coscia sfuggito, casualmente, a un tubino modello Sharon o ancora con il volume dei propri versi a sussultare su scolpiti addominali (o, se preferite, six pack...per gli esperti di fitness). E noi, che ancora usiamo/osiamo la posa di sguincio, il mezzo broncio, il bicipite fasciato o il quadricipite  appena sottolineato da un pantalone più attillato, "l'occhiale da sole per avere carisma e sintomatico mistero", dovremmo essere consapevoli, giunti a quel punto, di essere ormai dei veri e propri principianti?

Cari internauti prestiamo attenzione, il visual merchandising di sé, è una disciplina che richiede studio e impegno, non roba da pivelli boomer, il rischio è di passare intere giornate a lustrare (vanamente) le proprie bacheche di (quasi) analfabeti digitali!

Lungi dall'idea che mortificarsi esteticamente o non valorizzarsi sia sano o moralmente etico, anzi, è sottile la linea di separazione tra una vanitas decontestualizzata e la vanificazione dei contenuti a essa associati.

Corredare costantemente un testo, poetico o di altro genere, con un'immagine seduttiva è diventato strettamente necessario?

Non stiamo mettendo in discussione la libertà d'uso della propria immagine sui profili social, quanto chiedendoci se forse, e inconsciamente, non sia in noi in forte dubbio la naturale seduttività della parola, come se questa, da sola, non fosse più in grado di titillare i più profondi sensi.

Forse un po' di salutare autoironia potrebbe arrivare, anche stavolta, in nostro soccorso. Come pure ricordare che, quando richiamiamo su di noi i riflettori, non serve sbattere le ciglia né recriminare per l'eccesso di watt se si rimane, poi, immobili come lepri abbagliate dai (propri) fari.

Chiudiamo in bellezza, è il caso di dirlo, con i meravigliosi versi di Patrizia Cavalli


Sempre aperto teatro

Indietro, in piedi, da lontano,

di passaggio, tassametro in attesa
la guardavo, i capelli guardavo,
e che vedevo? Mio teatro ostinato,
rifiuto del sipario, sempre aperto teatro,
meglio andarsene a spettacolo iniziato.

O amori – veri o falsi
siate amori, muovetevi felici
nel vuoto che vi offro.

Tutto mi appare in bella superficie
e poi scompare. Perché ritorni
la figura io mi sfiguro, offro
i miei pezzi in prestito o in regalo,
bellezza sia visibile, formata,
guardarla da lontano, anche sfocata,
purché ci sia, purché ci sia, anche non mia.

 


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