IN RISONANZA - Valentina Bagni - Dalle radici alla voce

 

Valentina Bagni

Quando il sonno inizia a sfiorare la mente, il confine tra razionale e intuizione si dissolve.
In quegli attimi sospesi tra veglia e sonno, qualcosa si espande: il corpo smette di avere contorni netti e il respiro diventa puro. A volte si può percepire un micro movimento ondulatorio involontario che viaggia dentro la colonna vertebrale, come se ci fosse una tensione elastica che ci tiene dall’alto e dal basso e, facendoci muovere, ci fa entrare in un ritmo più profondo, ancestrale.

Se ci si lascia andare, arriva come una dissolvenza lenta. Non si sparisce, si diventa parte.

È una percezione sottile, difficile da spiegare. La massa, la forma, ciò che la fisica definisce come “confine del corpo”, si fa dettaglio secondario.

E se fossimo davvero densità in un campo più ampio, che ci attraversa, ci contiene e ci mette in relazione?


Ripenso a una frase che mi disse mio nipote, quando aveva quattro anni: “Zia, secondo me il vento esiste perché gli alberi, muovendosi, spostano l’aria…e così poi si accarezzano.” Aveva capovolto la logica. Nella sua poetica, aveva colto qualcosa di profondo: non un’azione unilaterale, ma una reciprocità. Un gesto d’incontro. Non c’è chi dà e chi riceve: ci si scambia. E in questa risonanza, ci si modifica a vicenda.

Siamo parte di un sistema interdipendente. Una rete complessa dove ogni cosa è in dialogo con l’altra.


Anche sotto i nostri piedi esiste una rete invisibile. La riflessologia plantare ce lo insegna: ogni punto del corpo è connesso, mappato nella pianta del piede. E così anche in natura c'è un intreccio sotterraneo di radici e miceli, una rete intelligente, fatta di scambi, segnali, alleanze. Un sistema nervoso del bosco.

Tutto questo accade senza che ce ne accorgiamo.


Anche dentro di noi, nel corpo, silenziosamente accade qualcosa di simile: cellule si scambiano messaggi, ormoni scorrono come messaggeri antichi, impulsi elettrici si rincorrono nelle vie nervose. Siamo paesaggi invisibili in movimento.


Quando si impara ad ascoltare, si riconosce una risonanza che è propria della vita stessa, che vibra in ogni fibra dell’essere, nell'invisibile così come nel tangibile.


Come in natura, anche noi siamo parte di un principio che connette, scambia, trasmette. Se il bosco parla attraverso le sue radici, se i fiori rispondono al ronzio delle api aumentando la produzione di nettare, se gli animali comunicano con gesti, odori, sguardi e vibrazioni, anche noi abbiamo un modo per entrare in relazione profonda: la voce.


Ma prima ancora delle parole, il nostro cervello percepisce il suono: è una forma di comunicazione immediata, viscerale. Il suono veicola emozioni, intenzioni, verità. 

La voce è il nostro modo di farci eco con il mondo.

In ogni suono di voce c’è memoria, appartenenza, identità. Ci sono tracce della nostra esperienza, della nostra sensibilità, della nostra storia.

È la qualità del suono - il timbro, il ritmo, l’intenzione - a dare forma alla relazione, a trasmettere ciò che siamo. Un messaggio che arriva prima ancora del significato delle parole.


La risonanza non è solo un principio acustico, è una legge della vita: esistere è entrare in vibrazione con ciò che ci circonda.


Sentire davvero di essere parte di un tutto: una particella viva in un macrocosmo che respira con noi.

Non siamo mai separati. La voce, la natura, la materia e il pensiero: tutto vibra, tutto risuona. Questo sentire non nasce dal controllo, ma dalla resa. Dalla disponibilità a lasciarsi attraversare. Quando si smette di voler capire tutto, si inizia a percepire. Ci vuole lentezza. Fiducia. Il tempo di restare e ascoltare.


Forse è per questo che amo le voci. Cantare. Insegnare. Perché ogni voce non è solo suono, è corpo, emozione, intenzione. È una memoria antica che abita il respiro e cerca forma e che può armonizzare ciò che è disordinato, sciogliere ciò che è trattenuto. Attraverso la voce, qualcosa si rivela. Un coro sommerso trova spazio per emergere. Ogni parte, anche la più fragile, può trovare, in accordo, il diritto di esistere.

Quando una voce si libera, quando vibra nella sua autenticità, accade qualcosa di sacro: tocca, cura, trasforma, ri-crea.

Perché il suono non è solo estetica: è relazione. È un ponte. È presenza. Il gesto creativo nasce da questa armonia: quando qualcosa dentro si accorda con il fuori, e vibra.

Per questo mi piace cantare e mi occupo di voci. Perché credo che in quel gesto invisibile, potentissimo, fatto di contraddizioni e tenerezza, ci sia qualcosa di speciale, che può accompagnare a una riconnessione: accordarsi con sé per risuonare nel mondo. Siamo minuscoli nella nostra forma terrestre, ma immensi nel nostro riverbero. Perché una voce, quando è vera, non si limita a suonare: risuona.


In fondo, è una questione di presenza. Di lasciare che ciò che siamo emerga, senza maschere. Di fare della nostra esistenza un atto di poiesis - creazione consapevole, armonica, che si mette in relazione.


E allora sì, forse vale la pena lasciarsi attraversare. Non dominare nulla, non forzare. Ma entrare in comunicazione - in un’azione unica e comune, appunto. Co-creare. Come fa la natura. Come fa il canto. Come fa l’amore.



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