STELLE CONTROVENTO - Maria Pia Latorre - Quanto coraggio nella paura della tempesta

 

Maria Pia Latorre




Una delle aspirazioni del poeta è trovare la parola perfetta, quella capace di dire tutto in poche sillabe. Così mi capita nell’esperienza quotidiana di cercare un’unica parola per racchiudere un vissuto, un avvenimento.

Una parola-suggestione, una parola-buco nero, una parola-calamita che contenga in sé tutto, sensazioni, emozioni, azioni strette in un preciso momento.

Una parola coacervo che coaguli l’indicibile. Una parola qui-e-ora che non sfugga alla memoria e che sappia far memoria.

Mi capita di sentire quella parola come avente corpo fisico, da poterla tenere in mano, annusarla,  spezzarla come pane appena sfornato e abbracciarla come un miracolo.

Nell’esperienza de Le Finestre, che condividiamo così sensibilmente, un cammino disseminato di sassi sonori, vorrei provare qui a condensare la parola "tempesta", da leggere anche come metafora di giorni oscuri.

Forse tra le primissime paure che viviamo da bambini, terza dopo quella dell’abbandono e del buio,  la paura del temporale; una paura che impariamo a superare presto, nella maggior parte dei casi, ma che lascia in noi blande tracce d’inquietudine pronte a saltar su, con graffio felino, alla prima occasione.

Temporale di Giovanni Pascoli

Un bubbolìo lontano…

Rosseggia l’orizzonte,

come affocato, a mare:

nero di pece, a monte,

stracci di nubi chiare:

tra il nero un casolare:

un’ala di gabbiano

Se per un bambino il cielo è un tetto protettivo sulla testa, vederlo durante un temporale è come vedere un proprio caro arrabbiato e fuori controllo. Una sensazione di pericolo in agguato che ci accompagnerà per tutta la vita.

Poi arriva l’esperienza di una tempesta o di un nubifragio e impariamo cosa vuol dire violenza della natura (vedi La tempesta del Giorgione). Ci coglie un senso di impotenza, di forte precarietà, di incapacità a gestire degli eventi che ci appaiono ingestibili.

Oggi poi, più si va avanti con i cambiamenti climatici e con il fenomeno della tropicalizzazione dei paesi della fascia temperata, più dobbiamo essere pronti a situazioni meteorologiche estreme, a problemi pratici da affrontare e a cui tentare di dare soluzione in tempi rapidissimi. Ci viene richiesto di imparare a controllare gli stati d’animo di paura per cercare di non perdere un lucido autocontrollo durante situazioni emergenziali che càpitano, ahi noi, oggi sempre più frequentemente e improvvisamente.

L’umanità, per fortuna, è ben assortita, e a quelli come voi e me, che guardano le nuvole e immaginano mondi, si alternano i pragmatici che si limitano a provare a indovinare l’arrivo della pioggia.

Ma alla fine la tempesta si fa perdonare se reca con sé dei doni, dall’aria profumata di fresco, al giocondo gocciolio che rianima il verde, all’arcobaleno che sorprende il cielo terso. Così appare di grande tenerezza e coinvolgimento la canzone leopardiana di infantile memoria.

 

La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi 

Passata è la tempesta:

Odo augelli far festa, e la gallina,

Tornata in su la via,

Che ripete il suo verso. Ecco il sereno

Rompe là da ponente, alla montagna;

Sgombrasi la campagna,

E chiaro nella valle il fiume appare.

Ogni cor si rallegra, in ogni lato

Risorge il romorio

Torna il lavoro usato.

L'artigiano a mirar l'umido cielo,

Con l'opra in man, cantando,

Fassi in su l'uscio; a prova

Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua

Della novella piova;

E l'erbaiuol rinnova

Di sentiero in sentiero

Il grido giornaliero.

Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride

Per li poggi e le ville. Apre i balconi,

Apre terrazzi e logge la famiglia:

E, dalla via corrente, odi lontano

Tintinnio di sonagli; il carro stride

Del passegger che il suo cammin ripiglia.

Potente è l’immagine della tempesta, se è vero che “Sturm” è stata scelta come parola-chiave dai preromantici tedeschi, dando la stura a quello Sturm und Drang (il cui manifesto iconico è Il viandante sul mare di nebbia, di Friedrich) che infervorò l’Europa intera, e la indirizzò a volgere il capo verso un altrove che ha segnato la storia.

A tal proposito c’è una bella immagine di Søren Kierkegaard, a proposito dei genialità e tempesta: “I geni sono come i temporali. Vanno contro il vento, terrorizzano la gente, purificano l’aria”.

L’immagine della tempesta rinvia a quella metaforica di un cambiamento lungamente disatteso o improvviso che scoppia nella vita, perché se non accadesse così non accadrebbe per niente, e il fulmine a ciel sereno è frutto del coraggio che fino a quel momento ci è mancato (… ne ho piena e consapevole esperienza...).

La tempesta, e dopo di Emily Dickinson  (traduzione di Eugenio Montale)

Il vento venne come un suono di buccina;

 vibrò nell’erba,

 ed un brivido verde nell’arsura passò così sinistro

che noi sprangammo ogni finestra e porta

 fuggendo quello spettro di smeraldo;

l’elettrico serpente del giudizio

guizzò allo stesso istante.

Strana folla di alberi affannati

e di steccati in fuga e fiumi in cui correvano le case

Videro allora i vivi.

Dalla torre, impazzita la campana

Turbinava per un veloce annunzio.

Quante mai cose possono venire

e quante andare,

senza che il mondo finisca!

Così cerchiamo nell’incertezza del vivere quotidiano una certa comprensione, ed è questo atteggiamento una marcia in più per rendere la stessa incertezza miglioramento. Misurarsi con i propri limiti significa conoscere i propri confini, ma implica in ogni caso coraggio, tanto coraggio; il coraggio delle scelte da compiere, siano esse importanti o apparentemente marginali.

Decidere, dover scegliere talvolta ci toglie il fiato e la libertà, la libertà di agire la vita in modi ‘altri’, che non siano il nostro solidamente sperimentato, per valicare in uno o più ‘oltre’ che non ci appartengono. Ci sorprendiamo a sperimentare che  l’oltre ci appaga di suggestioni.

E non è la poesia la più alta delle suggestioni? La più possente e vivida?

La poesia si esprime e si mostra a noi in mille frammenti e forme diverse e quanto più essi sono inediti e ci spiazzano, tanto più ci provocano emozione.

Poesia è ciò che emana la natura, poesia è ciò che non ci aspettiamo di trovare. Poesia è silenziosa attesa e compimento nel silenzio.

La tempesta come freudiano respiro represso, come silenziosa rivoluzione, come dissidio interiore, come svolta sostanziale; qui ci vengono incontro splendide pagine dell’arte su questo tema, dalla Conversione di san Paolo, di Michelangelo di Caravaggio, alle pagine di Manzoni sulla conversione dell’Innominato, a poesie come questa, di Pablo Neruda.

La mattina è gonfia di tempesta  di Pablo Neruda

La mattina è gonfia di tempesta
nel cuore dell’estate.

Come bianchi fazzoletti d’addio viaggiano le nubi,
il vento le scuote con le sue mani peregrine.

Cuore infinito del vento
che palpita sul nostro silenzio innamorato.

E ronza tra gli alberi, orchestrale e divino,
come una lingua piena di guerre e di canti.

Vento che rapina fulmineo le foglie secche
e devia le frecce palpitanti degli uccelli.

Vento che le travolge in onda senza spuma
e sostanza senza peso, e fuochi inclinati.

Si rompe e sommerge il suo volume di baci
combattuto sulla porta del vento dell’estate.

La vita va continuamente ricalibrata su noi stessi, credo che tutti ne siamo convinti.

Il passaggio dalla resistenza del vivere alla resilienza è  il resistere per trasformare e trasformarci  verso la miglior cosa. E questo è coraggio.

Io li conosco i domani che non arrivano mai di Ezio Bosso

Io li conosco I domani che non arrivano mai
Conosco la stanza stretta
E la luce che manca da cercare dentro

Io li conosco i giorni che passano uguali
Fatti di sonno e dolore e sonno
per dimenticare il dolore

Conosco la paura di quei domani lontani
Che sembra il binocolo non basti

Ma questi giorni sono quelli per ricordare
Le cose belle fatte
Le fortune vissute
I sorrisi scambiati che valgono baci e abbracci

Questi sono i giorni per ricordare
Per correggere e giocare
Si, giocare a immaginare domani

Perché il domani quello col sole vero arriva
E dovremo immaginarlo migliore
Per costruirlo

Perché domani non dovremo ricostruire
Ma costruire e costruendo sognare

Perché rinascere vuole dire costruire
Insieme uno per uno

Adesso però state a casa pensando a domani

E costruire è bellissimo
Il gioco più bello
Cominciamo…

Riferimenti:

Giovanni Pascoli, Temporale, in Myricae.

Giacomo Leopardi, La quiete dopo la tempesta, in Canti.

Søren Kierkegaard, Rivelazione divina e genialità. Sulla differenza tra un genio e un apostolo, Morcelliana, 2020.

Emily Dickinson,  La tempesta, e dopo, in The Poems of Emily Dickinson,  nella traduzione di Eugenio Montale (1953).

Pablo Neruda, La mattina è gonfia di tempesta,  in Venti poesie d’amore e una canzone disperata, Guanda, 1997.
Ezio Bosso,
Io li conosco i domani che non arrivano mai,  "Io li conosco i domani che non arrivano mai. In memoria di Ezio"


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