RUGIADE - Viola Bruno - "Fine pena, il viaggio del nome": "Nuziale" di Enrico Marià
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Viola Bruno |
Dove è ellissi
la morte illesa io sono a te, mormorando mistero, gli aloni dell’elemosinare i cani sul fianco. “Ora so che ogni poesia deve essere causata da un assoluto scandalo del sangue. Non si può scrivere con l'immaginazione da sola o con l'intelletto da solo; è necessario che il sesso e l'infanzia e il cuore e le grandi paure e le idee e la sete e ancora la paura lavorino all'unisono mentre io mi piego verso la foglia, mentre io mi strozzo sul foglio e cerco di nominare me stesso.” “Strappami questa faccia infame, obbligami a gridare finalmente il mio vero nome”: invoca il dio Cortázar, in epigrafe al suo Nuziale, Enrico Marià, per trovare il coraggio di piegarsi verso la foglia e vomitare tutto il non essere, svuotare il vuoto, per poi iniziare, attraverso il percorso spinato del perdonarsi, la lallazione di se stesso, del suo vero nome. “Cuce necessità/la conversione di me/a campo immacolato” Nominare l'innominabile, ancora e ancora, equivale a lavarsene fino alla totale ablazione. Amputare ogni parte contaminata, recidere l'arto azzannato dai cani, esponendo la safena per evitare la cancrena. Rischiare in quell'atto la morte, “tentarsi nel suicidio” come ultimo disperato esperimento di vita. Perché “la vittoria/ è di chi sa il morire”. E qui che vengo a perdonarmi dove i caprioli si incastrano nelle reti di protezione subendo per liberarsi l’amputazione delle zampe. Scardinata ogni giuntura, ogni cartilagine, ogni mucosa, disconosciuto l'essere profanato, nella sua totalità. Staccato l'osso dalla “carne aperta/le rose fratturate”, dallo sterno il cuore, dall'intero corpo l'anima. Un atto di coraggio estremo per lasciare nello specchio l’assassino: “nel dire il tuo nome, sai, provo/la gelosia del suono”, quel suono che manca al non essere del figlio, al suo “niente crisalide”. Nel disabitato qui, avere il coraggio delle puttane per morire l’anagrafe, il disprezzo dalle persone che ci dovevano amare Nel tumulto accecante d’orrore, “mattanza contrazione”, vestito d'amore è ciò ch'è invece inconcepibile tradimento, olocausto dell’anima, tu quoque, Caesar: “se credo il crederti/macella la mia carne.” Perché è da lì che mi manchi, papà, dal frastuono della carne corallo a scalciare le rondini dell'amore La parola di Marià è nuda, cruda, scarnificata, insostenibile. Eppure al tempo stesso dolce, pervasa e sconcertata da un totale amore, un focomelico amore, un animale amore: da dove ti amo sono tutte/le parole troppo piccole. È una nostalgia inaccettabile: sulle scapole/del mio suicidio/accudisco ancora/la nostalgia di quando… Per ossari di luce amarti nuziale con la stessa forza di quando i minori isolati per scabbia si tentano nel suicidio.
Scisma dell’aurora le labbra annullate ci illuminano la pelle e tra noi due, dimmi solo io posso il morire perché altro da me voglio vivere giuramento sacrario i coralli del lutto
Per sopravvivere “mi è necessario il mio massacro”. Persino la distruzione del mondo è una possibilità di nomina, possiede “tutta quella bellezza/d’ultima preghiera: il mio nome appeso/alle edicole dei giornali”, diventa un’attestazione d’esistenza. “Questo grande poeta molla tutto in cambio della parola giusta. Si fida di questo baratto. Ti do la vergogna, gli sputi, le vergogne, la notte mia. […]. Se anche il lettore è abituato a barattare tutto per una parola giusta, potrebbe avvenire un vero incontro. Fosse anche uno, fosse anche l’ultimo”. Non siamo all'altezza del prezzo pagato da Enrico Marià per comporre Nuziale, questa è la verità. Ogni lettore si sentirà inadeguato dinanzi alla sua voce. Ma è una Passione che abbiamo il dovere di percorrere, di indossare, abbracciando la croce, trafitte le tempie di spine, inchiodati i palmi a invocare i corvi per poter non guardare quell’angelo inginocchiato. Un dovere per le anime d'abisso. Un dovere chinare il capo al petto, sperimentare la nuca accasciata. Con gli stracci e la candeggina raccogliere il vomito dei cani che mai, in ginocchio, mi era toccato l’avere una cosa così bella d’amore. “Perché non le valgo le cose belle”: i suoi versi, Enrico Marià, li chiama scarabocchi. Io ci vedo invece un canto altissimo, di devastante bellezza. Perforazione del buio con lame di luce. Vedo affermazione, ricomposizione, nominazione, salvezza, liberazione da quel fine pena mai che è la vita, in cui la parola è sgambetto alle sue ghigliottine. Suo è il piegarsi verso la foglia dei Grandi, lo strozzarsi sul foglio cercando di nominare se stesso, partorendo se stesso attraverso la parola: “fine pena, il viaggio del nome”. Perché è la mia vita. Ma poi io e te insieme il riprendere l’uscire, anche il mangiare ripetendoti, sulle labbra, fine pena, il viaggio del nome. Se fosse musica: Carne - Iosonouncane ___________________ Enrico Marià (Novi Ligure, 1977) ha pubblicato le raccolte: Enrico Marià (Annexia 2004); Rivendicando disperatamente la vita (Annexia 2006); Precipita con me (Editrice Zona 2007); Fino a qui (puntoacapo 2010); Cosa resta (puntoacapo 2015), I figli dei cani (puntoacapo 2019), La direzione del sole (La nave di Teseo 2022). Ha preso parte alle antologie: Genovainedita (Galata 2007); Atti della II Fiera dell’Editoria di Poesia. Pozzolo Formigaro giugno 2008 (puntoacapo 2008); Dolce Natura, almeno tu non menti (Zona 2009); La giusta collera (CFR 2011); Oltre le nazioni (CFR 2011); Poesia in Piemonte e Valle d’Aosta (puntoacapo 2012); Il ricatto del pane (CFR 2013); Poeti di Corrente (Le Voci della Luna 2013); Cronache da Rapa Nui (CFR 2013); La festa e la protesta. Atti della XVI Biennale di Poesia di Alessandria (puntoacapo 2013); Poesia in provincia di Alessandria (puntoacapo 2014); Comunità nomadi (deComporre 2014); Bukowski. Inediti di ordinaria follia (Giovane Holden 2014); Ad limina mentis (deComporre 2014), Il Fiore della Poesia Italiana (puntoacapo 2016). È tradotto in lingua inglese e spagnola. Nuziale è la sua ultima silloge, uscita nel 2025 per La Nave di Teseo, proprio il 21 a primavera. |
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