QUADROPHENIA - Khan Klinsky - Pallottol'ieri

 

Khan Klynski


Ogni giorno è un buon giorno per dare i numeri. Qui, nella parte più dissalata e inarrivabile della troposfera, condensano ammassi di pensieri datati in precipitazioni, verso e terra. Sarà fango il nesso caudale, e da lì forse oltre ogni livido limite, un nuovo seme attecchirà al marasma o qualcuno accoglierà un nuovo fiore nel diaframma per dare un giusto sesso al proprio dramma.

Un fiore accudito, un fiore reciso, rapito o appassito che importa?!

Continuerà la nostra ciclica avversione al tramutar tramonti da piccoli fiammiferi pastelli a ridicoli ristorni di ugelli colorati per contorni e sarà solo e solamente un inutile rimpasto di vista.

Può succedere dal numero occupato, che si concentri la mano, per la sua sordità a ricomporre un puzzle in cui manchi la voglia di soluzione ma, sopra tutto, l’assoluzione e così si continui a consumar li tasti cercando una proposta indisposta, indecente, alla richiesta d’aiuto imminente.

 

Il telefono è muto.


RabbitsSerie di cortometraggi diretta da David Lynch


A volte, avvolte all’ultimo secondo, le speranze si dipingano per stanze abbandonate alla forma di un call center, rimostranze stipate di simili coinquilini melliflui attigui, che continuino a tentar di rintracciare risposta alcova, disposta a qualcosa, per chi non osa ancòra e non si sposa alla propria causa.

Al trotto tutti, per un mal trattato, ci si muova al ricevitore per recuperare un Angelo, rastrellata la posta attirando altrove l’attenzione, la tensione dal senso di ingiustizia per la difficoltà di comunicazione, propensione all’ingaggio per l’ingrasso dell’altro esposto al proprio rigetto mediatico e tutto tace.

 

L’angelo che esplose non si dia mai pace.


Number 23. Film del 2007 diretto da Joel Schumacher


Il numero del civico, un esempio dello scempio, su cui dì tanto in tanto atrofizziamo, non corrisponda al senso di casa del muto soccorso, semmai al caos del quoto. Nessun discorso, menace mente, tace manco rigirasse nella gola un disco rotto. Estraneità è corpo d’armata che spesso punta e spara sulla fragilità dell’equazione. Indifferenza vuole onde siccome ogni imputato è altrove, duole.

Perché è sangue puro, così è spesso ed è non è e impara che c’è un tempo mutato, mutilato, muto dal cuore delle cose dispettose e oppure non è un soprammobile ma la soluzione, disfacimento all’infusione di tutti i predicati originali.


Π – Il teorema del delirio. Film del 1998 diretto da Darren Aronofsky


Voce del verso ticchettio farà del quadrante il nostro spasso.

Un mondo, al suo egocentro, non ti saprà aspettare, così veloce da non avere tempo di accettare l’ora, di fare i conti con l’aurora e un collo immacolato.

Smettere di correre dietro ai peccati originati da tarli datati ordinari è, a fati spenti, la rata più conveniente in unica risoluzione. Spiaggeremmo, volenterosi erbosi ansiosi, gli anatemi ricorrenti con piccole pause calibrate, al solo sole o magari all’albero custode. Oppure, su di un bel prato, respirare ed aspirare d’emozioni, ciò che non pregiudica nel modo, come natura crea, ma protegge, non umilia, protegge. Così è un la per accordarsi e sol così non temeremo alcun male.

Poi sarà la volta, le cifre stilistiche per il girovita che non collima con le sviste, per il girotondo attorno al collo, per un volo troppo secco e per quel troppo o molto, o troppo a mollo. Si sapesse dei cavilli, per i calli delle calle sotto i piedi e dalle mani, che fossero qualità nell’interno inferno del tempio intero del dettare la misura nelle prose, rose erose.

Perché, alla lunga, è l’aspetto seducente, risultanza deludente dell’assioma…carcinoma della mente.

Un buon ripiego, un buon ripieno, mai uno Zero fu più considerato.

Chi ha palato di intendere, chi si apprezza saprà sempre bere nel senso e nell’ombra di chi. Ma chi non ci vuole sapere per niente.

Allora arriverà qualcuno, ci dirà del frattempo, d’una rotta tra le righe tra il dire e farsi, una catarsi.

Il nostro numero telecomico è matematica comprensione, connessione nel consumo e piega di tutti i monumenti al suo pianeta, alla materia degli esseri viventi inconcludenti, piaga di strada.

Ti chiederei uno schema, la sclera e mi rimetterei sulle scarpe spaiate d’un tempo un allegro andante, infante lestofante, alla clemenza della corte errante, di coma e sia possibile che se tutto è calcolabile, per sentimenti e ragioni, prigionieri d’essere allora noi? Di noi? Ahi noi! Non vi sia adatta soluzione alla continuità? Un benedetto limite al divenire?

 

Potessimo sparire mio desiderio.

 

Saremmo incalcolabili, indecifrabili, incomunicabili lapidi, oltre i lapilli, enigmi egizi senza commozione o commiato ché il numero di giri del pianeta, che è troppo feroce o allungato col carbone, non ci spettina, ci piega. Non ci spetta il beneficio del druido, del lancio ameno di una moneta nello sdegno quotidiano, del sapersi brutta piega sotto gli occhi quelle borse di fustagno, del promosso defluire sul profondo d’uno stagno col sogno si poi.



                           21 grammi
. Film del 2003 diretto da Alejandro González Iñárritu

Mi chiedo troppo e troppo spesso mi chiedo quale sia il significato omesso di tutta queste immense penitenze che chiamate ragioni, né avete perfettamente.

Da qualche parte c’è un errore, l’orrore.

Orrore è il bel progresso, son sicuro.

Del mio cuore ho il manuale, dei numeri primi, di tutto ciò ch’è stato scritto, di una mano senza autore, lo sconfitto e lo sconforto del soffritto.

Sono rimasti pochi numeri e numeri si danno, si dannano a loro volta sempre più soli e che dire di tutte quelle file di file, scimmiette eoriche l, erotiche, logore dai piedistalli liquidi, celebrazioni dagli sguardi inverosimili.

Forse basterebbe avvicinare le gioie ed i dolori, mischiandoci ai colori, come corridori a perdi fato con l’ordito dell’udito ai corridoi e ascoltare, quali conchiglie all’orecchio dove fa più male quel petto che spesso all’infinito fa diletto.

Capìti raramente, capiti men ch’è meno…

Arriverà un salva gente intimo per continuare a navigare l’infimo?

Non servirebbero piu calcolatori in vitro ma un barlume coraggio per riveder le stelle, al firmamento, a fare dell’edera singola carezza per l’eternit, dagli asterischi super datari, dai postumi un risciacquo per i militi ignobili, dall’avanguardia all’avaria mai più lividi.

Continuate fate, date i numeri…date e algoritmi occipitali, per favore fate.



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