ORDITI - Anna Rita Merico su "La Specie Storta" di Giorgiomaria Cornelio
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Anna Rita Merico |
Prega ogni giorno che basti una lucciola per dar fuoco al mondo (1)
S’annunciano le partenze. Migrazioni da mondi. Si vergano, tutte, su pagine dense come metallo fuso che gronda da un fuoco tardo neolitico. Gronda a scaldare pensieri ed invita a traghettare ogni possibile topologia, costruita verso un gentile capovolgimento ridente d’intenti e di sospensioni. Ogni parola, qui, è una spessa lancia che invita ad un sottosopra capace di denunciare il limite soffocante delle misure conosciute. Ogni parola, qui, si stacca dal proprio usuale contesto e prende a navigare in modo altro. Un testo sui cominciamenti, un testo su visioni rabbuiate dai fondi dell’origine, un testo infiocinato nell’arcaico. Hai mai scalato all’ingiù? “…I Padri sanno poco. Danno la schiena. Macellano. Nocchieri del finimondo, del giorno senza rosa canina. Io li ho visti portare scurissime zavorre, poi salire leggeri per i declivi della razza, drenare linfe, lagnarsi. Li ho visti sciacquare gli ultimi tizzoni nella ciotola col sangue. Quelli come me neppure li ascoltano…” (2) I Padri, catene montuose cui voltare le spalle. Tu che leggi stai mutando cartografie e spostando gli assi dell’ascolto, quel labirinto osseo storto dalla continuità dell’ascolto della legge. “…ciò che è storto non può essere raddrizzato.” (3) Occorre, dunque, partire alla ricerca di un dritto che sia altro dal dritto venerato. Incalzante la parola. Martella. Perfora. Avvita. Buca orizzonti. Ridonda rimandi e sensi. Sei dentro un’arca. I cibi sono essenziali libagioni di miele e latte. Sei dentro un’arca o, meglio, dentro un utero pronto ad espellerti. Compaiono figure che sembrano fuoriuscite da sapienziali pagine. Abitanti di estinti paesaggi che rimandano a tutti i nomi e nomignoli dati ad Odisseo da Kazantzakis. Decisi emergono da subliminali villi l’Attossicato, l’Iguana, gli Arresi, l’Albero Patriarca, gli Spiriti Vecchi, Macigna... Lascia che ti additino scogli e posture e apparizioni. Stai seduto in queste pagine e non puoi interromperne la lettura. Ti catturano le spire. Ogni parola è come un dente fossile capitato, attraverso capogiri, da fondali marini a vette dolomitiche. L’attimo successivo sei nel ventre di irreali passaggi. Questa non è una lettura comoda. Hai bisogno di anfibi, di pinne e di ali per poterti inoltrare qua dentro. E’ un viaggio in cui desiderio e visione battono il ritmo di un tempo senza orologi. Stai attraversando memorie cellulari. “Questo restava: di passare per qui. Di mondare il grande sfacelo, trincato in avanzo durante il viaggio. Le badesse trattano la paglia come il ferro. Nessuna di loro ci ha sbarrato l’ingresso. Sanno rinnovare l’allaccio alla Fonte. Sanno dire la tregua e l’arsenico. Lo scuramento che cuce pure la notte. Il sepolcro posto a fianco ai melograni. Nella veglia hanno canti per la Madre Creatora. Vaste litanie. E a noi, fatti come i giunchi, parti sciancate del ventre, tramandano una vecchia orazione.” (4) Le memorie cellulari sono esseri generanti. Macchine pensose che consentono l’accesso ai dentro del dentro. Nascere da un’unghia, un ricominciamento sfondato in una tana d’imponente grandezza, non è più l’antro del Ciclope grondante latte, s’impone Demetra carica di grano e messi. Tu sei nel centro del vortice, energia d’energia. È lettura che puoi fare gonfiandoti le tasche di invocazioni. Devi pensarti come chi può animare l’arcaico eone per caricare il vetusto e l’evoluto di ciò che verrà. “Spiriti del Fosco Granaio: siete stanchi, lo sappiamo. Ma ancora vi sentiamo battere. Nel petto avete fossili di rivolta. Sfamate a piccoli bocconi la tetra rotondità del sonno. Sempre vi sporgete sul freddo… Mostrateci, voi che potete, dove sprofonda il malaugurio. E come si trova il perno che dura, la scala per riparare il cominciamento del cielo.” (5) Il tempo forato addita la ferita. Devi essere in grado di superare il dolore, non pensarlo come ostacolo. Sei nel ventre di ciò che crea. Sei nel dentro dell’insonne che veglia l’apertura della ferita lasciandola generare latte nuovo. Ogni cominciamento è atto di dedizione e riconoscenza verso il vecchio. In questo scavo stai apprendendo la visione e l’anima degli spiriti delle pietre, dei nutrimenti. Ti chiedo di lavorare sul sentire e non più sul vedere. Stai leggendo, ancora. Sei lontano dalla rinuncia, questo ti rende germano. “L’ora recisa è l’ora del consolo, e l’orecchio poggia su ogni canto rimasto zitto” (6) Ora il viaggio ti è chiaro. E la direzione è un affido al flusso dell’occhio. Sei nel giro delle domande che non cercano risposte. Sei nel sedimento. “chi ci ha sciancato?” (7) “Qualcuno ha pur creato le aste, e l’abaco d’avorio che fu la sapienza sot- to la quale inchinarono il torto… (8) Ora il tuo tempo è il tempo della consapevolezza che lenta striscia, invertebrata che si nutre in attesa di raddrizzarsi. Tutto è nella tensione di una babilonia in cui frullano voci, corpo, tensione infinita. Sei nel dentro dello sforzo massimo quello che sversa lasciando nascere giardini alla Bosch lì dove ogni asse è perdita di senso teso nel creare nuovo senso. L’occhio si volge al già esistente e lo passa al vetrino d’un microscopio di verità. “Lepri a buchi, ganimedi, bestie torte, femmine con ruggine: questo eravamo. Ora, nel fondo a cocci del tempo, un altro tempo concede amnistia, mette fine al censimento…” (9) Sei in archeologie del possibile. Queste sono pagine traghettanti. I mondi additati sono mondi di dentro. Genetiche che spingono ad una luce altra, cromosomi al lavoro, faticatori ridenti dell’evoluzione. Cucitori di opposti. Stai assaporando lo spazio vuoto tra molecole. Nuoti girino in un latte mai assaporato. Ora, leggendo, navighi tra parole. Stacchi midollo dall’osso dell’albero della vita. E’ qui il luogo del novello battesimo lì dove “le doglie scavalcheranno il concepimento”. Ti areni e ti spiaggi vivo nell’antro sabbiosomorbido della postilla di questo provvido testo. È in postilla che la nominazione di Jurgis Baltrusaitis svela ogni tratto di metodo inseguito. Leggi tirando sollievo nel sentirti a casa ma lasciando che casa sia altrove. E la Bibbia di Re Giacomo (XVI sec.)? Prendi e dividi in parti la data e l’emozione: il mondo sarebbe stato creato al tramonto precedente domenica 23 ottobre del 4004 a.C. Sei qui, sprofondato in una vertigine. Le parole non si fermano. Solo, ti ricordano che, quella vertigine, ha a che fare con ciò che avanza. Mutamento rapido di soglia. Diario d’evoluzione. La specie storta, Giorgiomaria Cornelio, TLON, 2023 Note bibliografiche: 1. Giorgiomaria Cornelio, La specie storta, TLON ed. 2023, pg 59, Approdo 2. ivi pg 41, Preludio 3. Idem 4. ivi pg 57, L’Isola delle Badesse 5. ivi, pg 65, Invocazione 6. ivi, pg 68, Congedo 7. ivi, pg 82 8. ivi pg 83, Nati di contro 9 ivi, pg 89, idem |
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