SOPRASSALTI - Laura Valentina Da Re su "Stato Liquido" di Paola Di Toro
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Laura Valentina Da Re |
Meravigliosa Paola,
c'è assoluto bisogno di inspirare la TUA invasione, radunare atomo per atomo quell'ossigeno martire che ama dentro l'acqua MADRE, come un abbraccio duraturo, nel TUO mare quando sfiora l'isolamento così bello della carne e bagna gli angeli e rinfresca il sole; la TUA Anima, vocazione del NON tempo, che nuota a bassa voce e prega e si espande, ci salverà tutti dal principio, senza avvisare.
Stato Liquido di Paola Di Toro (DELTA EDIZIONI, 2022)
Era quando
persi il mio nome
e avevo solo le scarpe
ad aspettarmi.
Mi volevi con la calzata nuda
della condanna.
Per te trasudavo un sangue
di miele e argilla.
E tu soffiasti la vita.
Rinascevo da quella materia densa
e dalla tua costola.
Un piccolo scrigno, questo, che custodisce sfere universali attraverso un’espressività densa, avvolgente; Paola ha il potere illuminante di condurci lungo un viaggio di perdita ma anche di trasformazione: “Era quando persi il mio nome” una breccia che rivela uno smarrimento radicale, una necessaria iniziazione, uno scioglimento di sé stessa per riconoscersi altra, Nuova. Le sue visioni poetiche intensificano un senso di fragilità e sofferenza, "avevo solo le scarpe ad aspettarmi", l’itinerario preciso e faticoso da affrontare, e la "calzata nuda della condanna", condizione della nudità che qui non è unicamente corporea, ma anche e fortemente viscerale: un abbandonarsi consapevole e totale all’alba di ogni giorno; e poi la vera trasformazione: “E Tu soffiasti la vita” un verso di straordinaria “fortitudine” evocativa, è come un atto di luce intimo e generoso.
E di nuovo la folgorazione “un sangue di miele e argilla”, respiro liquido, umano e divino nel quale si fondono dolcezza e fragilità, per celebrare, come lei sa fare con delicatezza, il dualismo della condizione umana, quell’odorare la terra e contemporaneamente fremere di cielo; “Rinascevo da quella materia densa e dalla tua costola", qui l’enormità di un vincolo indissolubile con l'altro che fiorisce nella vita ma che “forse” anche la teme.
Corpo apparente
Sono un corpo concavo
gettato sulla battigia
dalle correnti.
Un guscio scarno e assoluto.
Sono un'oasi momentanea
sbeccata
uno scrigno rotto
dove declina gli echi
il vento.
Le tramature
tutte dell'azzurro.
Riposo in quel che rimane
di me.
Nella mia parte dura
fatta impronta e fossile.
Da qualche parte è la vita
il tormento molle
viscerale
la fame,
la sete,
io e te.
Entro in questo corpo-guscio e riesco finalmente ad amare la vulnerabilità: qualcosa che un tempo custodiva la vita e che ora “declina gli echi il vento”, eppure lo abita una magnificenza, la bellezza di ciò che sopravvive al “tormento” delle “correnti”, che accoglie la frattura e continua ad esistere.
E quel “tormento molle viscerale, la fame, la sete, "io e te", in questi versi si sente, si tocca, si fa carne un desiderio che è istinto ma anche unione, osmosi, poesia vivente. Qui Paola ci offre una visione incancellabile di vulnerabilità e di resilienza, di perdita e di incontro, ci affida il compito di essere frammenti, “impronte”, “fossili”, ci affida il compito di esistere.
Si sta in questo modo
nei giorni di nebbia,
svaniti e defilati
infilati nel vapore in un pensiero.
In qualunque cosa
smisuri e vagheggi.
Chissà gli angeli
se sono immersi in noi
così
come particelle
insensibili al dolore.
E con le ali colorate
innescate dal nulla
dall’ossatura dei rami.
Mi inebrio partendo dagli ultimi tre versi “e con le ali colorate/innescate nel nulla/dall’ossatura dei rami”: è come se la bellezza abbandonasse l’eco del nulla e fluttuasse senza più tacere l’immensità nuova, come se il divino potesse fiorire unicamente da un “ramo” nudo nella nebbia; torno al centro della poesia e al centro dell’Anima dove “gli angeli sono immersi in noi come particelle insensibili al dolore”, dove ci si aggancia alla leggerezza dell’essere, dove si sta “in qualunque cosa smisuri e vagheggi”, in una dimensione che trascende il dolore.
"Stato Liquido", il movimento inesauribile, Paola che si versa e riversa, che pulsa nell’acqua di spine, confonde la pietra, libera Dio e l’unica bellezza possibile.
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Paola Di Toro (Campobasso 1975)
Ha studiato e vive nella città dove è nata. Dopo gli studi classici e la laurea in giurisprudenza, si specializza in criminologia frequentando un master e un corso nei quali, oltre alle conoscenze del settore, si rafforza l'interesse per la scrittura e per la poesia. Entrambi strumenti inequivocabili, capaci di affinare sensibilità e lucidità nella decodificazione dei fenomeni sociologici. Dopo brevi esperienze giornalistiche, partecipa a progetti e ricerche, soprattutto nell'ambito delle problematiche del mondo minorile e della violenza di genere. Scrive articoli su giornali locali. L'amore per la scrittura, in particolare quella poetica, tenuto come passione personale e supporto del tutto privato, viene esplicitato solo in seguito ad una raggiunta consapevolezza, partecipando a premi e concorsi letterari. Riceve menzioni segnalazioni “per un'autenticità senza calcoli o aridità concettuali”, è sul podio con “Qui ed ora”, al concorso internazionale di poesia Metamorfosi.
Mi piace molto la scrittura di questa poetessa, bravissima!
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