STELLE CONTROVENTO - Maria Pia Latorre - Perché, oggi, la poesia

 

Maria Pia Latorre


Il poeta è un insetto nel bosco sacro della vita. Il poeta è quando la poesia ci parla. I poeti sono semi sparsi nel vento della verità, azzardo delle immagini per introdurci all’argomento di oggi che costituisce per noi domanda costante.

La poesia è nata con l'uomo nel momento in cui è nato in lui il bisogno di arte. Essa si plasma sulle necessità vitali, sulle trasformazioni sociali, sui passaggi storici, sui movimenti letterari, su tutto ciò che l'uomo riesce a esprimere nella sua esperienza personale e interpersonale. Franco Loi ha affermato: “la poesia è l’espressione di tutto te stesso, è entrare in contatto con l’ignoto”. Da questo moto continuo ne deriva la sua vitalità. Per Catullo “Il sacro poeta deve essere casto, i versi non è necessario che lo siano”.

Ogni poeta (contestualizzato nel proprio tempo) vive in sé una continua mutazione a partire dal proprio background e dalla propria formazione; egli opera effettuando 'smontaggi' di testi poetici che ha in sé come patrimonio culturale per crearne di nuovi, e che tentano di interpretare la realtà in trasformazione.

Così si sono sedimentati capitoli di millenaria arte poetica alla quale l’umanità sempre potrà attingere (cfr. “Le più belle poesie”, di A. Merini, da La Terra Santa).

Il poeta è un filtro della realtà (cfr. “Amai”, di Umberto Saba). In lui agiscono innata sensibilità, attitudine e conoscenza. Ma come coabitano queste componenti?

Lo sappiamo bene quanto nell’attesa dell’epifania della parola s’indaghi la propria interiorità, l’ambiente circostante, l’umanità con tutti i suoi contrasti, in una pienezza che il Sommo poeta ha saputo ben rendere: “I’ mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch’è ditta dentro vo significando”, Purgatorio XXIV, vv. 52-54.

 

E poi c’è il Silenzio, di Sergio Corazzini

 

Perché tu mi dici poeta?

Io non sono un poeta.

Io non sono che un piccolo

fanciullo che piange.

Vedi: non ho che le lagrime

da offrire al Silenzio.

Perché tu mi dici: poeta?


Allegoria della Poesia, affresco di Raffaello, Stanza della Segnatura ai Musei Vaticani



Certo nel cammino di ricerca la poesia si appoggia spessissimo alla conoscenza, al sapere. La conoscenza è la cassetta degli attrezzi che contiene strumenti e manuali da sfogliare. Ma il sapere è inesauribile, così immenso da esplorare che quasi ci atterrisce (cfr. “L’anno è finito”, di Rupi Kaur, da Il sole e i suoi fiori). Allora la sensibilità ci viene in aiuto per operare delle scelte. La poesia è il miracolo di un equilibrio instabile.

 

Traccio un solco per terra, in riva al mare:

e la marea subito lo spiana.

Così è la poesia. La stessa sorte

tocca la sabbia e tocca la poesia

al via vai della marea, al vien-vieni della morte. 

(José Saramago)

 

Oggidì stiamo assistendo al fenomeno del proliferare della scrittura poetica soprattutto nella fascia dei giovani adulti, cosa che merita massima attenzione.

Se apriamo un qualsiasi social ci imbattiamo in tanta poesia (anche di qualità) che si muove spesso in ambito personalistico, secondo una direzionalità privata, autoespressiva e antiepica. È poesia o si tratta di altro? Purtroppo dobbiamo mettere anche in conto che si tratti di forme di narcisismo più o meno celato.

Le scienze umane si sono ampiamente occupate dell’”amor di sé” di quello soggettivo e di quello sociale, da Freud a Fromm a Simmel, ma qui ci troviamo di fronte ad una nuova modalità di narcisismo da analizzare con i mezzi della sociologia e della letteratura messi insieme. Il narcisismo sociale ha avuto fasi di grandi trasformazioni dall’epoca televisiva a quella dei social (Pasolini docet). A ben guardare ciò assolve anche ad un bisogno innato nell’uomo che è quello della riproduzione, per cui grazie ai social, oggi, non è più necessario mettere al mondo dei figli perché si mette al mondo se stessi sulla scena del mondo.

Purtroppo, triste ammetterlo, ma per molti la poesia è questo: un’autoriproduzione di sé; colta, alta, estetica quanto vogliamo, ma equivalente esattamente ad un selfie che non si discosta di molto dalla foto della pietanza che si è preparati per cena. Ora accostare la poesia ad un selfie può apparire blasfemo, ma è un accostamento provocatorio il mio, visto il dubbio di fondo che mi anima e che vivo con sofferenza perché dietro v’intravedo una voragine. Una voragine fatta di futuro rubato, di mondo ostile, di globalizzazione nemica dell’uomo, di solitudine, di cinismo difensivo, di ostacoli insormontabili alla realizzazione di progetti di vita sacrosanti. Una realtà aberrante ben distante da quella cantata da Saba.

Il poeta ha le sue giornate
contate,
come tutti gli uomini; ma quanto,
quanto variate!
L'ore del giorno e le quattro stagioni,
un po' meno di sole o più di vento,
sono lo svago e l'accompagnamento
sempre diverso per le sue passioni
sempre le stesse; ed il tempo che fa
quando si leva, è il grande avvenimento
del giorno, la sua gioia appena desto.
Sovra ogni aspetto lo rallegra questo
d'avverse luci, le belle giornate
movimentate
come la folla in una lunga storia, 
dove azzurro e tempesta poco dura, 
e si alternano messi di sventura 
e di vittoria. 
Con un rosso di sera fa ritorno, 
 e con le nubi cangia di colore 
la sua felicità, 
se non cangia il suo cuore. 
Il poeta ha le sue giornate 
contate, 
come tutti gli uomini; ma quanto, 
quanto beate!   

(Umberto Saba, Il poeta)

 

Vorrei azzardare un’ipotesi (tutta parziale e da discutere) sul perché si scelga la poesia come autoriproduzione di sé. Sin da quando veniamo al mondo siamo inseriti in un preciso contesto culturale al quale prima ci adattiamo e meglio è. In ogni assetto sociale il linguaggio svolge la parte del leone (cfr. Le teorie di Vygotskij). Quindi viviamo il linguaggio, sin dai primi anni di vita, come adattamento –non a caso il linguaggio è tra le espressioni umane più sofisticate che vi siano– e, poiché un altro canale importante dell’esistenza è la socialità, ci indirizziamo allo studio delle lingue il più presto possibile, per avvicinarci alla gente, per rinforzarne la relazionalità come vivificante per noi stessi. La lingua è garanzia di appartenenza sociale, è l’adesione al ‘piano’ che il contesto sociale ha stabilito per ciascuno di noi.

 

U poète

 

U poète nan pote chjange.

U poète è destenote a fo chjange.

 

Lacreme de resote

Lacreme de delaure

Lacreme de lacreme nirue

Lacreme de scernote dispéròte

Lacreme ca u core te sckatte ‘mbitte

Lacreme ca tu cuvrìscene u core.

 

U poète è nu labbese scugnote

ca scrèive sope a nu fugghje ‘nzevote

nu fugghje chìéine d’umanetò

addò re sèive scuaisce in abbondanze.

 

Il poeta non può piangere. / Il poeta è destinato a far piangere.// Lacrime di risate/ Lacrime di dolore/ Lacrime di lacrime nere/ Lacrime di giornate disperate/ Lacrime che il cuore ti scoppia in petto/ Lacrime che te lo ammantano il cuore.// Il poeta è una matita spuntata/ che scrive su un foglio lercio/ un foglio pieno d’umanità/ dove il grasso cola in abbondanza. (V. Mastropirro, da “Poésìa sparse e sparpagghiòte”).

 

Ma quando arriva la poesia essa stravolge le regole. “La poesia è un respiro dell’anima”, leggiamo nello Zibaldone, è un disordine linguistico la poesia, anarchia, suono, trasfigurazione.

Il boom della poesia che stiamo vivendo oggi è la risposta più immediata all’alienazione della società (da quella industriale in poi) perché il testo poetico è un prodotto che non è sotto il controllo della razionalità; qualcuno ha affermato che essendo frutto di raptus e trance non commette mai errore.

Per Heidegger vi è una rivelazione linguistica originaria che passa dalla natura all’uomo; la natura “in spira” ogni cosa, essendo natura creatrice, per cui è essa l’ispirazione dell’uomo.

Ma oggi che, di fronte ad una natura piegata, saccheggiata, vituperata, non più ritenuta sede del principio di creazione, è in crisi l’idea heideggeriana, cadute le grandi narrazioni, cosa ci resta?  Ci resta l’incerto della materialità dell’immateriale (cfr. Wisława Szymborska, Ad alcuni piace la poesia, trad. Pietro Marchesani).

Un selfie pubblicato sui social è materialità dell’immateriale, così come la poesia è lo spazio delle parole libere, dell’incerto. Una poesia ed un selfie ci salveranno la vita?                                                                                                 

Oggidì l’inutilità è in esatta controtendenza con la logica imprenditoriale che ha assoldato l’homo technologicus al suo servizio.

La stessa logica imprenditoriale accarezza il sogno di una società appiattita su un pensiero unico facilmente manovrabile; a riguardo ricordiamo che già durante la Seconda guerra mondiale la corrente sociologica che andò sotto il nome di Scuola di Chicago, con esponenti quali Robert Park, Everett Hughes ed Edwin Sutherland, mise a punto teorie che furono utilizzate nella propaganda alla belligeranza. Esse furono utilizzate dalle potenze coinvolte nel conflitto per creare a tavolino precisi profili d’opinione con l’uso di mirati messaggi veicolanti le tesi da implementare attraverso il continuo bombardamento degli stessi (teoria dell’ago ipodermico). E il pensiero unico crea i presupposti ideali per l’attuazione dei regimi dittatoriali, ce lo dobbiamo ripetere ogni santo giorno. 

Parlare di valorialità dell’inutilità significa contrastare la logica imprenditoriale, per sua natura tesa all’efficienza esasperata. Dunque abbracciare l’inutilità è un gesto rivoluzionario e i poeti sanno bene che tale gesto forte e consapevole porterà frutto.

Inutilità ci rimanda al concetto di ‘gratuità’. Ciò che è gratuito assume naturalmente un profilo basso che si dota di immediatezza e di genuinità. Non sono questi due elementi che si creano una corsia preferenziale per arrivare al cuore dell’altro?

Chi è il poeta? Che cos’è la poesia? (cfr. Fernando Pessoa, Autopsicografia, da Una sola moltitudine, Adelphi, 1979, trad. Antonio Tabucchi).

La poesia è ciò che anela la sintesi, si potrebbe azzardare. Tantissime le definizioni di poesia date nel tempo; e ve ne sono innumerevoli per ogni poeta transitato sul pianeta. Sappiamo bene che avanzare una definizione di poesia è impraticabile poiché essa sarebbe talmente generica da perdere di ogni significato, inoltre si sostanzierebbe come una sorta di gabbia in cui costringerla, e per sua natura, la poesia non può essere costretta negli stretti confini di una definizione che la ingabbia in qualche modo. Ma tentare delle descrizioni sintetiche di poesia è un modo per avvicinarsi al suo noumeno, al suo poter essere pensata anche senza essere conosciuta.

Eppure ogni poeta s’interroga, si arrovella alla ricerca della sua propria definizione, perché attraverso quella sintetica definizione vivrà un passaggio nodale per costruirsi il proprio autoritratto di ‘uomo di parola’ (cfr. Antonio Machado, Nuda è la terra, trad. Claudio Rendina). Indipendentemente dai luoghi, dai tempi, dalle culture e dagli usi, il poeta, prima di qualunque cosa, ricerca una sua voce e l’originalità di una voce passa anche da quello che il poeta si aspetta dalla poesia, e quindi dalla definizione che egli ne darà. “Una serie di parole eccellenti disposte in modo eccellente” ha scritto Eliot; ma come è arrivato Eliot a questa personale sintesi? Cosa intendeva dirci? È estremamente affascinante analizzare le attribuzioni che vengono date alla poesia e al poeta ed è un ambito in cui poco si è fatto e che si dovrebbe indagare.

Qui potete gustare un commovente Ungaretti su cosa è poesia, e poi, a seguire, Valerio Magrelli e Franco Loi.

 

https://www.youtube.com/shorts/0KuZ9vG9KsA

https://www.youtube.com/watch?v=0ho7heSv_ZM&t=2s

https://www.youtube.com/watch?v=AkQCmhdcf24

 

Personalmente ritengo che il poeta sia lo scandalo della verità scomoda. È imitatore soltanto di se stesso, ha affermato Leopardi; verità, dunque, non imitazione!

La chiarezza del cuore è degna di ogni scherno” scrive Pasolini. Chiarezza cuore scherno, tre parole dense, due astratte ed una concreta, due opposte ed una di mezzo, e il cuore pronto a tutto, anche alla sorpresa della commozione.

Vorrei salutarvi con uno stralcio della lettera di Papa Francesco ai poeti (sotto il testo completo): “Continuate a sognare, a inquietarvi, a immaginare parole e visioni che ci aiutino a leggere il mistero della vita umana e orientino le nostre società verso la bellezza e la fraternità universale. Aiutateci ad aprire la nostra immaginazione perché essa superi gli angusti confini dell’io, e si apra alla realtà tutta intera, nella pluralità delle sue sfaccettature: così sarà disponibile ad aprirsi anche al mistero santo di Dio. Andate avanti, senza stancarvi, con creatività e coraggio! Vi benedico.

 

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2024-11/lettera-papa-francesco-ai-poeti-libro-versi-a-dio.html


Commenti

  1. Articolo interessantissimo, che apre a tante riflessioni anche sul ruolo che ha la Scuola nell’accendere gli animi giovanili alla ricerca della bellezza basata anche sulla conoscenza della poesia e dell’Arte in genere. Il discorso sull’autoriproduzione errata del se’ e’ poi fondamentale, anche in poesia. Senza ricerca della Verità attraverso la bellezza non si può vivere. Ringrazio la sensibile autrice di aver condiviso i due link dove ci parlano Magrelli e Loi. Preziosissimi! Grazie.

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  2. Di seguito, un intervento di oggi di Sandro Marano sull'articolo di Maria Pia Latorre. Ecco il link

    https://www.interzona.news/archives/7266

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