QUADROPHENIA - Khan Klynski - "Karmageddon"
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Khan Klynski |
«My shrink
used to have a sign on his wall to make you laugh. It said that a
paranoiac is a person who has some idea what is really going on. That was me on leapers.»
“Quadrophenia” – Pete
Townshend – 1979
L'alba è un distributore di lamette, ceramiche sbeccate ed una seconda mano di vernice. È facile perdersi in sensi unici, smarrirsi dentro le cornici, una volta che le gocce di caffè hanno lavato via il senso dell'abbronzatura. Ci si prova con il fai da te, quell'insensata voglia di andare via di qua, smarrendo la speranza davanti alla punta dei chiodi, in avanscoperta col martello ingenuamente volenterosi ed un paio di fendenti ben piazzati sulla capocchia che non risolvono i dubbi e le certezze strutturate, cementificazioni dell'infimo.
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Tempi
moderni (Modern Times)
– Charlie Chaplin – 1936
Salvaguardare i
polpastrelli per scopi imbarazzanti è lucidità del masochismo, figli ingrati
ingravidati d'assimilazioni a progetto, cosi si prende la mira e l'ira
s'abbatte, anche lei si arrende, è l'inevitabilità del brizzolato, il notturno
in bianco e non, l'intimità del domani che verrà, peggio che le favole di
Hansia e Tremens o i gruppi in fila indiana, peggio delle unghie sulla lasagna.
L'occhio è
l'invidia disarmata sul gambo che penetra il mattone, è la fede e l'avversione.
Non si dica che è fortuna la proprietà di un punto di svista, esiste un
malridotto senso di fiducia per la mano destra ed ogni colpo una ridicola
richiesta d'aiuto, tant'è che tutti sanno ma nessuno mendace mente tace, un
connubio di concubine spettatrici di verità e vanità, orfane dei torsoli.
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Quadrophenia
– The Who – 1973
Si contino non
più di quattro tuoni, vagare oltre sarebbe una dichiarazione di guerra alla
sterilità dall'orto dei vicini di caso, cosi garbatamente distanti dal tanfo
dei meteorismi altrui, di chiacchiere da bare composte, dal moto decomposto del
pattume, dal piattume. L'aspettativa è nel cercatore, un divisorio la sua
maledizione, saturo di pasti a portar via, tramezzi e bibite sfasate, il
qualunquismo dei distributori d'aria calda dopo la tempesta, l'evacuazione, il
solitario che è per sempre o l'evocazione di un buono sconto, tutto il moto
ipocondriaco figlio d'un registratore di cassa, che sia da morti non si sa.
Buttarsi o
arrabattarsi in strada, come i sacchi dell'immonda propensione al consumo e
raccontarsela sparendo dentro l'autoradio, dietro la bruciatura di sigaretta
incollata al labbro logoro da inferiorità, abbandonare l'attenzione tra i
palazzi per non restare indietro, tradirsi sui guardrail con un guinzaglio
annodato ai doppi peti che son la morte sul completo, sul senso più elevato del
datario, trattando gentilmente il primo traffico, rendendolo innocuo, un rito
meno avulso che è espressione errata, errante contraddizione tra il filo
d'acquilone e lo spinato appena sfornato.
Ci sarà qualcosa
di meno sconcio di una testata giornalistica, della cuccuma che svapora sui
complessi di Edipo, di queste valigie sotto agli occhi che non portano da
nessuna arte, il tepore dal sottocoperta schiantato sugli scogli del water.
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Let
forever be – The Chemical Brothers – 1999
Puntare due o
tre sveglie, come cani da caccia o cecchini e svegliare ma senza svelare
schermando sopra cerchi in lega da quindici pollici, altro che le risposte
figlie dello sgrassatore, coltivazioni a terrazza e pollici.
Basteranno una
mezza dozzina di lampi per uscire da un parcheggio ed incolonnare, incollarsi
al prossimo ed arrivare sapendo dove non si vorrebbe stare? Non sappiamo, non è
dato sapere.
È questione da
punti patente partire presto con le lacrime da parte, facendo finta che sia
solo una questione da congiuntivite e non di chiodi, bari, pirati e sette mari.
«Il mio strizzacervelli
aveva un cartello sul muro, per farti ridere. Diceva che un paranoico è uno che
ha una mezza idea di come stanno davvero le cose. Quello ero io sotto
anfetamine.»
“Quadrophenia” – Pete Townshend – 1979
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