POESIA? NO, GRAZIE - Vincenzo Lauria - Parola di Pozzani
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Vincenzo Lauria |
Ci eravamo salutati, in prossimità delle festività natalizie, non escludendo un ritorno (parafrasando Franco Califano) e il regalo è arrivato: Claudio Pozzani ci ha dedicato, più che generosamente, del tempo per rispondere a qualche domanda senza arretrare di un millimetro rispetto alla schiettezza assaporata nel video del monologo "Liberanatemi"! (Troverete nuovamente il link al video in fondo all'articolo).
Non si tratterà di un'intervista minimamente paragonabile a quella centrale nel suo romanzo "Confessioni di un misantropo" (edito da La Nave di Teseo), del quale abbiamo scritto nello scorso appuntamento, ma che ci consentirà di affrontare i temi di interesse di questa rubrica approfondendoli grazie alla competenza e all'esperienza maturata durante i trent'anni di direzione del festival internazionale di poesia "Parole Spalancate". Addentriamoci nelle sue riflessioni non ne rimarrete affatto delusi!
Qual è lo stato di salute delle forme poetiche in Italia a tuo avviso? Altrove va meglio? Se sì in quali aspetti?
Penso che la forza della poesia sia proprio quella di non vivere di tendenze e mode, ma di essere una galassia fatta di tanti sistemi solari e di stelle solitarie. Giornalisticamente è più redditizio e semplice creare movimenti o tendenze che poi vengono sfruttati anche dagli stessi autori per avere più visibilità. Un vero artista, un vero poeta non segue le tendenze ma le anticipa o, più semplicemente, se ne frega.
Vorrei partire da alcuni fraintendimenti e alcune nefandezze della poesia contemporanea in Italia. Devo sottolineare che altrove non va molto meglio, a parte zone del mondo nelle quali la poesia ha ancora un forte significato ed è trattata con il giusto rispetto, come l’America Latina, i Paesi arabi e l’Africa. L’Italia sconta una media nazionale peggiore per quanto riguarda la cultura, l’istruzione, la lettura rispetto alla maggior parte del resto del cosiddetto “Occidente”. In Europa, nei Paesi dell’Est, la poesia ha sempre avuto una notevole importanza sociale, ma anche lì si sta assistendo a una discesa.
Ovviamente sto parlando in linea generale. Tutto sommato la poesia viene sempre data per morta ma è come un fiume carsico: affiora e si nasconde. Quello che è morto è lo spirito: è una società nella quale la cultura, la condivisione dei saperi, la creatività, le emozioni, i sentimenti sono considerati elementi superflui. Ormai tu non sei quello che sei, ma sei quello che hai. Quelli che ho elencato poco sopra sono valori immateriali, quindi Inutili. Speravo che le nuove generazioni sapessero rivoltarsi a questo abominio, ma vedo che invece c’è molta voglia di nuotare con la corrente, situazione più veloce e protetta, ma che non aiuta il cambiamento del mondo.
Ritornando più strettamente alla poesia, è interessante constatare come uno stile considerato “nuovo” (ormai da quasi un ventennio…) come il rap abbia riportato in auge meccanismi poetici ormai dimenticati e considerati superati durante tutto il Novecento come le rime e la metrica: come dire che tutto torna.
La poesia ha da sempre le stesse tipologie: poesia sonora, poesia umoristica, classica, performativa, sperimentale, lirica, ermetica e anche in futuro sarà così. Il punto non sono le tendenze, ma gli autori di qualità e realmente innovativi che spesso non sono quelli più recensiti o pubblicati dalle case editrici più importanti.
Quindi è importante riuscire ad avere ancora la capacità di distinguere la buona poesia da quella dozzinale e furbesca. Il web, se da un lato ha dato l’orizzontalità della possibilità di farsi conoscere in tutto il mondo saltando vari filtri e strettoie, dall’altro ha tolto la verticalità degli strumenti critici, aprendo i cancelli a mitomani, grafomani, instagram poets da "Baci Perugina", stand up comedians riciclati in poeti soprattutto dalle gare di slam.
Ovviamente, sguazzando ormai in uno stagno in cui la quantità domina sulla qualità, spesso i mediocri hanno più visibilità dei più interessanti, visto che anche la statura artistica si misura con like e visualizzazioni. Inoltre, il corto circuito mediatico fa sì che la stampa e le radio TV mainstream - che non si interessano mai di poesia - quando sono obbligati a farlo (ad esempio il 21 marzo per la Giornata Mondiale…) fanno una ricerca superficiale, fermandosi alla crosta fatta di follower e parlando solo di quegli “autori” attribuendo loro, magari, una “rinascita della poesia”.
Per non parlare dei premi di poesia e di editori (stampatori) a pagamento: per la maggior parte sono dei furboni che guadagnano qualche migliaio di euro sulle spalle di scriventi spesso egoriferiti, che non leggono poesia se non la propria, che buttano sulla carta pensierini che vanno a capo pieni di sciabordii di onde, voli di gabbiani, sorrisi di bambini, e altri stereotipi da vomito.
La poesia in Italia (e nel resto dell’Occidente) per fortuna non è solo questo. Essa è molto viva e di buon livello in alcuni casi. Purtroppo, è paradossalmente più difficile ora scoprire nuove voci interessanti proprio perché la produzione poetica è stata diluita dalle secchiate di mediocrità e quindi la qualità è sommersa dalla quantità.
I social hanno influenzato le forme poetiche o, avendo cambiato le abitudini delle persone, si tratta di mutazioni di riflesso?
In parte ho risposto prima. Comunque non direi che i social abbiano influenzato le forme poetiche. Direi che contribuiscono alla divulgazione ma anche all’incontinenza scrittoria. Le mutazioni sono antropologiche e sociali: in un mondo sempre più limitato nel vocabolario e legato al materialismo e al possesso (anche quando si parla di creatività, emozioni e sentimenti), è naturale che la forma d’arte che più di altre è direttamente legata al nostro linguaggio e al nostro spirito ne risenta qualitativamente.
Trovi che le forme poetiche siano elitarie e se sì perché?
Certamente no. Non è una forma poetica che è elitaria e neanche in generale la poesia lo è. Lo sono invece alcuni autori che nascondono la loro pochezza con uno stile artificialmente ampolloso e pseudosperimentale. Mi piacerebbe che fossero elitari alcuni instagram poets o slammer che scrivono testi imbarazzanti ma che purtroppo hanno molti seguaci, soprattutto tra persone che non leggono poesia.
C'è ancora etica in poesia?
C’è ancora etica nella vita quotidiana delle persone? Io scrivo poesia sia perché è la forma d’arte che sento più vicina e sia (e soprattutto) per riconoscere altri esseri umani sulla mia lunghezza d’onda.
L’etica racchiude il rispetto dell’altro e di se stessi e anche nell’ambito poetico, come in quello di altri campi artistici, coloro che sono meschini e non sono verticali non sono pochi.
Comunque ho fatto mia una frase che mi aveva detto Ferlinghetti: "Vivere bene è la migliore vendetta".
A quali cause imputeresti la disaffezione dei lettori verso le forme poetiche?
A diversi elementi. Alla scuola perché spesso insegna a odiare la poesia. Per mia esperienza molti insegnanti di lettere non amano la poesia e se non hai una passione non riesci a trasmetterla. La poesia del Novecento è stata ben più importante della narrativa italiana del Novecento; eppure, viene marginalizzata nei programmi scolastici. Detto questo, bisogna ricordare anche che chi ama la poesia, molto spesso deve ringraziare un docente illuminato che gliel’ha fatta scoprire. Un altro elemento respingente è la brutta poesia: siamo un Paese dove quasi tutti scrivono poesia e quasi nessuno la legge. È un paradigma della società contemporanea dove tutti vogliono esprimersi (soprattutto in campi che non si conoscono) e quasi nessuno trova voglia e tempo per ascoltare, leggere e guardare gli altri. Quando mi chiedono che consiglio dare a un giovane autore, rispondo che deve leggere tanta poesia, di tutti i generi, fino a trovare una sua propria voce originale. Penso che per ogni poesia che ho scritto, ne ho letto 500 di altri autori. Questo dovrebbe essere il rapporto. Ci vorrebbero meno corsi di scrittura creativa e più laboratori di lettura creativa.
Supponendo di avere pieni poteri come in “Confessioni di un misantropo" cosa cambieresti del "sordido mondo" poetico?
Perché fermarmi solo all’ambito poetico? Ci vorrebbe una rivoluzione culturale planetaria. Ovviamente sono conscio che non avverrà mai, così da sempre ho cercato di rivoluzionare me stesso e ciò che mi sta attorno attraverso le mie azioni e le mie creazioni, tentando di migliorarmi e avvicinarmi sempre più alla mia concezione ideale di etica, bellezza, creatività, libertà espressiva e indipendenza.
Questo lavoro interiore mi ha tolto lo stress e la frenesia, facendomi essere d’accordo con la frase (forse di Confucio) che dice: "Se c'è una soluzione perché ti preoccupi? Se non c'è una soluzione perché ti preoccupi?" L’importante è il coraggio e la coscienza in ciò che si fa e si dice.
Ho scritto “Confessioni di un misantropo” per gettare un sasso nello stagno, per dare un contributo a risvegliare le coscienze. Devo cercare di farlo circolare sempre di più, perché ho notato che quel libro fa nascere dibattiti e discussioni, che sono l’humus per far crescere la voglia di cambiamento.
Quali saranno le novità della prossima edizione del festival "Parole Spalancate"?
Sarà l’edizione del Trentennale (1995-2025) e quindi ci saranno sorprese. Per adesso posso dire che le date sono 5-16 giugno 2025 e ci saranno grandi autori e artisti da tutto il mondo. Amplieremo inoltre alcune sezioni come, ad esempio, la Ricostruzione Poetica dell’universo, che vede ogni anno l’intervento di scienziati, architetti, creativi, designer, filosofi per ragionare sulla società contemporanea ed esplorare possibili scenari futuri. Che poi è il brodo di cultura della poesia e di tutta l’arte.
A cosa pensi siano dovuti il suo successo e la sua longevità?
Secondo me il “segreto” risiede in alcuni elementi fondamentali della filosofia di Parole Spalancate: l’essere indipendenti; avvicinare ogni tipo di pubblico alla poesia senza banalizzarla o scendere di livello qualitativo; il giusto mix tra nomi noti e autori emergenti; l’attenzione a tutti i generi poetici, senza steccati stilistici esplorando anche il rapporto tra poesia e altre arti (musica, teatro, arti plastiche e visive, danza, cinema); l’innovazione continua aggiungendo nuove sezioni di approfondimento; il fregarsene delle varie “parrocchie” poetiche e culturali perennemente in lotta tra loro.
Un festival di poesia non deve essere una mera vetrina di poeti, ma una vera e propria fucina di collaborazioni, (ri)scoperte, sperimentazioni. Bisogna anticipare le tendenze, andare a scovare i poeti interessanti in giro per il mondo, produrre nuove collaborazioni e commistioni, pensare a nuovi eventi per ricordare e valorizzare autori dimenticati o marginalizzati. Per questo, mentre partecipo come poeta ai vari Festival all'estero, faccio anche scouting di autori non ancora tradotti e pubblicati in Italia. Inoltre, con altri 13 Festival europei (ora siamo in 30, uno per nazionale) abbiamo fondato nel 2015 la piattaforma Versopolis, proprio per far pubblicare e circuitare poeti emergenti. Abbiamo poi lanciato il progetto "La parola alla poesia" proprio per far conoscere agli studenti la poesia contemporanea, praticamente inesistente nei programmi didattici.
Una cosa dei poeti che ti fa imbestialire e una che ti colpisce ancora positivamente
Detesto i poeti che non leggono gli altri poeti, quelli egoriferiti che non si mettono mai in discussione, quelli che si prendono dannatamente sul serio perdendo totalmente la dimensione del “saltimbanco dell’anima” come la chiamava Palazzeschi. Detesto i poeti d’occasione che scrivono con gran mestiere e penna pelosa versi istantanei su grandi fatti di cronaca (molto spesso calamità e sciagure). Poi detesto gli scriventi che credono di fare poesia solo perché vanno a capo, ma questi non li considero poeti.
Mi colpiscono ancora tre qualità rare tra i poeti e tra gli individui in generale, ossia la curiosità intellettuale, il coraggio delle idee e la generosità.
Per concludere nello stile televisivo che va per la maggiore: "Lei, che belva si sente?"
Un orso sereno che va in giro a cercare miele ma che se viene minacciato o maltrattato diventa molto pericoloso.
Poeta avvisato, mezzo salvato...Parola di Pozzani.
A suffragare alcune delle sue riflessioni un'immagine postata dallo stesso Pozzani con la sua consueta ironia e autoironia:
*Poeta e narratore, Claudio Pozzani è nato a Genova nel 1961. Tra le sue raccolte, La marcia dell'ombra (2009) e Spalancati spazi (2017). Ideatore di "Parole Spalancate" – prestigioso festival internazionale di poesia di Genova, premio del ministero dei Beni Culturali per la migliore manifestazione di poesia in Italia – ne è fin dall'inizio direttore e curatore. Nel 2012 gli è stato conferito il premio Catullo per la diffusione della poesia in Italia e all'estero.
Da tempo aspettavo di poter condividere una libertà espressiva di questo tipo. 🙏
RispondiEliminaEcco perché la lettura è la ricchezza più grande che abbiamo.
E leggere, leggere tanto e cose diversissime.
Poi, a limite, scrivere qualcosa.
Senza autocelebrazioni e appartenze forzate.
《Che certe volte non apparteniamo neanche a noi stessi, figuriamoci se possiamo appartenere a "correnti"》.
Una analisi lucida e realistica.
RispondiEliminaLa scrittura non può che nascere dal dialogo con lettura. Il narcisismo culturale non è mai servito a nessuno. Grazie.