INNESTI - Emanuela Sica - Innesto III: Viola Bruno, Doris Bellomusto, Franca Alaimo
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Emanuela Sica |
Terza
Puntata di Innesti con le “piante” poetiche di Viola
Bruno, Doris Bellomusto e Franca Alaimo che si legano (quasi
inscindibilmente, rampicando com’edera che risale dal muretto per scorgere al
di là del mondo che conosciamo cosa si muove) al cambiamento, alla distanza,
infine alla ricerca di senso. Anche se ogni testo offre una prospettiva
unica, le connessioni tematiche e stilistiche rivelano quasi un fil rouge,
conduttore elettrico comune, che veicola energie e slanci nella loro peculiare filosofia
poetica.
Vediamo
emergere, dal tacito perimetro della terra, radici che bisbigliano
segreti, mentre le mani, come antenne dell’anima, scavano nell’assenza di verbo
per depositare semi di parole capaci di liberarsi del loro guscio sterile e
prepararsi a sbocciare lì, dove il buio si ritrae come un’ombra sconfitta, il
mattino soffia la sua linfa vitale, dando senso a ciò che la notte aveva
lasciato inerte. È questa (forse) l’eterna battaglia dell’essere umano contro
il vuoto, l’incessante ricerca di una carezza capace di colmare l’assenza.
Eppure ci sono giorni in cui il tempo, signore crudele e spietato, diventa un
carceriere. Piegando e deformando l’essenza dell’essere, intrappola i passi e
trasforma, senza sosta, i talloni in tronchi, radici che si aggrappano
disperatamente alla terra per non precipitare nell’oblio del nulla. In quei
momenti, Dafne si risveglia in chi sente il peso dell’eterno mutamento:
non più carne che brucia d’amore o dolore, ma linfa che scorre in cerca di
perdono, di una pace che neppure il tempo può intaccare. Nel frattempo, l’anima
impara a conoscere la distanza. Una distanza che non si misura solo nello
spazio, ma che si manifesta come una ferita del pensiero. L’abisso tra la pelle
e ciò che vorresti sfiorare diventa la metafora di ogni separazione: tra il
desiderio e la sua realizzazione, tra la parola e il suo significato, tra ciò
che siamo e ciò che sogniamo di essere. Così, il linguaggio si fa fragile, come
un grido che si dissolve nei valichi siderali, spezzandosi come l’eco tra
radici sepolte nella terra e galassie lontane che brillano di una luce ormai
spenta. Ed è così che questo buio, questo tempo che ci tiene prigionieri,
questa distanza che ci dilania, si trasformano in veli: sottili, effimeri,
destinati a cadere. Oltre ad essi, celato nel mistero ombroso di ogni notte, ad
attenderci c’è il respiro di un fiore, che germoglia in silenzio, portatore di
speranza, custode dell’ancestrale, come un canto elegiaco che celebra la vita
nel suo eterno mutamento e nel suo luminoso ritorno.
Analisi
per sezioni d’Innesto
Nella
prima parte densa è l’esplorazione del rapporto tra la
fragilità dell'essere umano e la capacità rigenerativa del linguaggio e del
contatto. I semi piantati nella notte, che fioriscono all'alba, simboleggiano
la speranza e la rinascita anche nei momenti più oscuri. Oltre la forza stessa
delle parole è tutta qui la capacità umana di risollevarsi, di spogliarsi del
vuoto e trovare conforto nelle "buone parole", intese sia come
comunicazione che come carezza vitale. La chiave di lettura: è
quasi un invito a coltivare la parola e la relazione, intese come semi di
rinascita contro il buio esistenziale.
In
quella centrale, l’immagine mitologica di Dafne, esplora il
cambiamento (a volte imposto dall’amore senza corrispondenza) che nel tempo
trasforma e a volte imprigiona finanche il corpo, la stessa natura di questo
per legarsi, in metamorfosi, con il dolore della perdita, sublimati in linfa
vitale e perdono. La chiave di lettura: è la trasformazione (la
metamorfosi mitologica della ninfa che vuole sfuggire al Dio Apollo che la
bracca) diventa una metafora straordinariamente potente del ciclo di vita con
l’aggiunta di una sottile quanto fondativa accettazione: l'identità muta senza
perdersi mai completamente.
Nell’ultima
parte l’indagine viaggia sulla distanza incolmabile tra sé e
l'altro, tra la parola e il suo significato ultimo, le parole diventano grido
che si frange nella vastità del cosmo, nella tensione che ribolle nei rapporti
umani, una lontananza non solo spaziale, ma anche linguistica, sfacciatamente esistenziale.
La chiave di lettura: è l’incomunicabilità, l’ineffabilità
dell’esperienza umana, e suggerisce che, nonostante la vicinanza fisica, il
senso profondo dell’altro resta, ahimè, un mistero.
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RispondiEliminaBellissimo articolo!
RispondiEliminaGrazie, Miriam
EliminaMeraviglioso questo fluire di parole che si inseguono e toccano . È così che vedo la poesia: quando si incontra e pianta semi. Bellissima l' interpretazione, e l' atmosfera.
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