GINESTRE - Laura Serluca - Nina Simone: la musica delle idee

 

Laura Serluca

"Cantare per la mia gente è diventato il mio scopo. Non suonavo più jazz o blues o classica: suonavo i diritti civili".




Nina Simone è uno dei personaggi più esemplari e controversi della scena musicale Afro-americana degli anni '60 e '70. 

Portavo sempre il ghiaccio a Nina Simone. Era sempre carina con me. Mi chiamava "Tesoro", Le portavo un saccone di plastica grigia pieno di ghiaccio per raffreddare lo Scotch. Lei si strappava la sua parrucca bionda e la gettava sul pavimento. Sotto, i suoi capelli veri erano corti come il pelo tosato d’un agnello nero. Si scollava le ciglia finte e le appiccicava allo specchio. Le sue palpebre erano spesse e dipinte d’azzurro. Mi facevano sempre venire in mente una di quelle Regine Egiziane che vedevo nel National Geographic. La sua pelle era lucida di sudore. Si arrotolava un asciugamano azzurro intorno al collo e si sporgeva in avanti appoggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia. Il sudore rotolava giù dalla sua faccia e schizzava sul pavimento di cemento rosso tra i suoi piedi. Finiva sempre il suo spettacolo con la canzone "Jenny Pirata" di Bertolt Brecht. Cantava sempre quella canzone con una sorta di profonda e penetrante rivalsa come se avesse scritto le parole lei stessa. La sua esecuzione puntava dritta alla gola di un pubblico bianco. Poi puntava al cuore. Poi puntava alla testa. Era un colpo mortale in quei giorni. La canzone cantata da lei che mi stendeva davvero era "You’d Be So Nice to Come Home To". Mi lasciava sempre di sale. Magari ero in giro a raccogliere bicchieri di Whiskey Sour in sala e lei attaccava una specie di frana rombante al pianoforte con la sua voce roca che sgusciava attraverso gli accordi "montanti". I miei occhi si fissavano sul palco dell’orchestra e ci rimanevano mentre le mie mani continuavano a lavorare. Una volta rovesciai una candela mentre lei cantava quella canzone. La cera bollente sgocciolò tutta sull’abito d’un uomo d’affari. Mi chiamarono nell’ufficio del direttore. L’uomo d’affari era lì in piedi con questo lungo schizzo di cera indurita sui pantaloni. Pareva che si fosse venuto addosso. Fui licenziato quella sera. Fuori in strada sentivo ancora la sua voce che arrivava dritta attraverso il cemento: "Sarebbe il paradiso se tu tornassi a casa".

Sam Shepard

Nina Simone nasce come pianista classica.

Il suo percorso scolastico fu però interrotto quando, a seguito della discriminazione razziale, le fu negato l’accesso alla prestigiosa Curtis Institute of Music di Philadelphia: era il 1950 ed Eunice (questo il vero nome dell’artista) si scontrava per la prima volta con la dura realtà della segregazione.

Per continuare a suonare, tralasciò il desiderio di perfezionarsi per diventare una pianista classica e iniziò a suonare e cantare musica jazz in un night club.

Per nascondersi dal giudizio dei genitori, in particolare da quello di sua madre, che non avrebbe mai accettato che sua figlia suonasse “la musica del diavolo” essendo tra l’altro la colonna portante della comunità della chiesa locale della sua città mai accettato, Eunice decise di farsi chiamare con lo pseudonimo “Nina Simone”.  

Ben presto incise per una piccola etichetta una sua versione di I Loves You Porgy, tratto da Porgy and Bess di George Gershwin, che balzò immediatamente fra le Top 20 Hits. Più tardi, a New York cominciò a lavorare al suo primo album” Little blue girl”.

Nina Simone ha una voce da contralto unica, profonda, piena, androgina, calda, ammaliante, screziata e in grado di dar vita a un vibrato sorprendente. Il suo è un canto capace di disunire la musica in precise e intenzionali incisioni, ferite, screpolature, lacerazioni. Ad intensificare le sue interpretazioni è l’addentrarsi nella sua formazione classica di elementi jazz e blues. Voce e pianoforte sono interpreti di una tensione emotiva ostinata e indisciplinata, resistente e deserta, feroce e solitaria. Con il suo timbro irrequieto e cupo, a volte nervoso e rauco, valorizza la sua identità afro. I suoi testi rivelano la storia di una donna spinosa, arrabbiata, nevrotica (la sua vita è stata turbolenta a causa di tormenti interiori, violenze familiari sia subite sia inferte e di disturbi mentali) e al tempo stesso, sono depositari delle sue idee. La sua è una sensibilità-sentinella non solo per sé stessa, ma anche per le vittime di discriminazione razziale, povertà, ingiustizie e oppressione (soprattutto quella femminile). La sua arte diventa uno strumento di denuncia e protesta.

 

Negli Stati Uniti infatti continuava a serpeggiare il razzismo per cui la lotta per i diritti civili diventò sempre più perseverante. Nina Simone trovò nella contestazione una motivazione profonda per la sua vita e la sua arte. Decise di mettere al servizio della causa la sua musica: “Perché la mia gente ha bisogno di tutta l’ispirazione e l’amore possibili. “



Nina Simone è una cantante che appartiene a quella razza eletta delle interpreti che possono permettersi di rifiutare la tecnica. Il suo canto è espressione diretta, senza mediazioni, sembra sgorgare direttamente dall'anima, senza abbellimenti, virtuosismi, note superflue ed estetizzanti. Ogni nota è essenziale, bruciante, e così ogni parola che canta è realmente interpretata, scavata in profondità, come se ci fosse sempre qualcosa da scoprire...”

 



La sua musica diventò troppo esplicita per l’industria musicale mainstream e molte radio si rifiutarono di trasmettere la sua canzone di denuncia “Mississippi Goddam”.

Questo brano venne scritto da Nina Simone nel 1963, in seguito all'attentato avvenuto alla Sixteenth Street Baptist Church di Birmingham, in Alabama, dove quattro ragazzine afroamericane persero la vita per mano dei suprematisti bianchi. La canzone rappresenta anche un tributo a Medgar Evers, attivista per i diritti civili che fu assassinato il 12 giugno dello stesso anno da un membro del Ku Klux Klan.

Con la sua potente denuncia, la canzone divenne un importante inno per il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. 

 

L’artista prese parte ai sit-in e alle marce a sostegno della parità razziale, ma la sua musica fu lo strumento di protesta più potente e dirompente. Rifece a suo modo “Strange Fruit” (1939) di Billie Holiday utilizzando il suo timbro vocale scuroprofondo e tipicamente afro in modo provocatorio.

 

Nel suo album del 1967, Nina Simone Sings the Blues, l'artista si presentò come un'eroina che utilizzava la musica per denunciare l'ingiustizia e la discriminazione nei confronti dei neri.

 

In High Priestess of Soul, pubblicato sempre nello stesso anno, Nina Simone affrontò temi come la pace e l'uguaglianza, arricchendo la sua musica con elementi soul e psichedelici.

 

L'album del 1969, To Be Young, Gifted and Black, fu ancora un altro punto di riferimento nella carriera dell’artista: una raccolta di canzoni di protesta politica che celebravano la bellezza e la forza della cultura nera.

 

Nel 1970 pubblicò Black Gold, un disco dal forte impatto politico. Con questo album, Nina Simone invitava l'ascoltatore a riflettere sulla storia della schiavitù, sulle ingiustizie sociali e sull'importanza della liberazione attraverso la musica.

Come attivista ha dato voce agli afroamericani e si è impegnata per la loro emancipazione.





“E quella spinta istintiva, irriducibile al rifiuto della sincronia con i tempi (musicale, storico, politico), quella ricerca mai soddisfatta di essere sé stessa fa di Nina Simone una figura oggi irripetibile...”


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