ORDITI - Anna Rita Merico - su "Sentieri le ferite" di Mariateresa Bari

 

Anna Rita Merico

SENTIERI LE FERITE[1]

 

All’ombra di un filo d’erba

riposa fioca l’ora lenta

del mistero

E se nel buio

di ogni rivelazione

la notte temesse il divenire?

 

Indecifrabili i silenzi

 

Una cifra di calme trasparenze riveste i versi di questa silloge, tutta intramata intorno al tema di un sentire palpitante, che è quello creato dalla ferita cosmica in cui l’Essere è. Il piccolo dell’esistenza cicatrizzata sempre intrecciato al grande di uno sguardo volto all’immensità. Ciò che è vicino s’intrufola nella ricerca di forme ma, al contempo, è il vicino guardato troppo in prossimità che appanna lo sguardo. Nella logica di lontano-vicino si apre la possibilità di un percorso stanato dal suo stesso silenzio.

La spinta delicata per la tensione ad un destino in cui perdita e possesso convivono mostrando aperture l’una verso l’altro e oscillazioni continue di un io poetico vissuto e svelato tra amore e verità. Un’energia serica indaga lo sgomento di un io che pensa l’Essere interrogandone fattezze dall’interno di un controcanto tessuto in potenti minuzie su cui l’occhio si posa intento a cercare mondo.

Ciò che abita questa silloge è uno sguardo che ri-tenta il passo dell’andare, dopo il caos della ferita. Ciò che abita questa silloge è il passo consapevole del dato che, la ferita, è consustanziale alla Vita ed al suo dipanarsi al di sotto dell’apparire e della quotidianità. È   qui che le soglie si varcano mai definitivamente. È qui che il poroso dell’esistenza lascia traccia e apre alla luce. Sono gli attraversamenti a modulare le forme. Il mistero, nei versi di Mariateresa Bari, detta intensità e torsione della parola in un orizzonte di presenza e di lirica venata da proficua melanconia dell’Essere. La tensione emotiva è sempre colorata da trasparenze che si piegano ad una distensione che rifugge dal narrativo e s’incunea negli interstizi in cui il buio viene appena toccato da lucori.

Dimenticanza e memoria, notte e chiarore, segreto e chiarezza: scorribande in un profondo del linguaggio colto nel momento della nascita di sé e del mondo. Lingua della poesia e lingua della natura mostrano l’affinità dei loro dentelli capaci di rigenerare la parola nello spazio largo del tempo.

 

Nei calanchi dell’anima

sgorgano afone le parole

fiotti rossi

ferite aperte sulla pelle opale

del cielo

                                         

Nell’orrore di ogni abisso

colmo di vuoto

soffre il giorno ma non s’arrende

e offre il fianco

Nello strappo

questo è il patto

al parto di un’alba imbuco la voce[2]

Di terra arsa e di vita interiore, di zone liquide e di spettri solari, di responsabilità e di battito vivono questi versi che affermano la necessità di superare ghiaccio e pietra di ferita cosmica, sostanza di corpi. È dimensione che, solo, il linguaggio poetico può attraversare, tenere, mostrare. Mariateresa Bari ci mostra un io poetico pronto a scomporsi spingendosi nei territori del limite e dell’umana profondità. Il mondo vegetale e l’universo umbratile del sogno si tengono stretti. Lo sguardo dell’Autrice armonizza il diverso trovandone unioni capaci di fondere apparenti distanze.

 

Ancor prima di resistere

sognano le foglie

Dalle doglie di una primavera

nascono nascoste

nell’incrocio di braccia esili

ma subito mani di luce

le vestono di sorrisi

e investono di sogni

Di verdemare amore

di follia danzata nel vento

e d’eternità

sognano le foglie[3]

 

Tre le sezioni della silloge: Sul filo delle attese, Sulla soglia, l’Oltre.

Le sezioni creano un arco di intenti e di visione che attraversa sonorità e vibrazioni chiudendosi in un provvisorio punto di arrivo annidato dentro la possibilità dell’Essere oltre la ferita e dentro un’immanenza dell’anima capace di abitare la realtà trasfigurata da parola poetica. Quello che l’Autrice mostra è ciò che La tiene in domanda intorno al senso dell’esistenza attraverso un procedere esperito all’interno di un desiderio conoscitivo dell’universo simbolico e di un intimo immaginario. 

Dimensione poetica e dimensione esistenziale si innervano, ma nulla che rimandi ad avvenimenti precisi. Impadronirsi dello sguardo, saperne attraversare le grammatiche, entrare nel midollo del tempo, quello che scorre dimentico di misurazioni e gonfio di palpitazioni creative. Queste le tele sottese alla scrittura indagante di Mariateresa Bari. È poesia intesa come progetto capace di indagare nei ventri di quanto costituisce quel nutriente, invisibile plancton di cui il Suo pensiero poetante è costituito. Versi capaci di rendere ragione del vivente fuggendo dal possesso e additando al mistero che la poesia -invece- intende sempre bordeggiare per sua arcana natura. Nel verso “E se nel buio/  di ogni rivelazione/  la notte temesse il divenire?” torna il tempo ma, in questo intenso passaggio, l’Autrice dipana, con eleganza, una delle cifre della ferita: il terrore panico del divenire, il morso feroce che azzanna il tempo bloccandolo in tossica forma ma, anche, aprendolo al nodo dell’umile fragilità accettata.

 

Come liana rampicante

al tronco di un pensiero felice

nella nera terra nasci e cerchi

la luce

Creatura irraggiungibile

la luce

ha voce impastata di fango

nel ventre di ogni catarsi

Inaccessibile la stanza dei cieli

Ma se ascolti il suo profumo

la luce

è lieve tocco

sulle labbra del giorno[4]

 

Un essere in poesia capace di salvaguardare il creaturale che fa capolino da un verso, da una stilla, da una tenera gemma sgorgata da inchiostro di vita. 

Un modo proficuo e personale di uscire dalla dimensione strettamente lirica per approdare verso una profonda forma di pietas per l’umano sentire. Quella profondità dell’umano sentire che, sola, la poesia può mostrare e che Mariateresa Bari trasforma in Sentieri.

 

 Ci sono chiavi che non si fanno trovare nelle

chiese chiuse

al traffico dei pensieri

Sentieri le ferite

ci accompagnano fedeli

nei tratti di navata sospesi

dall’incenso del tempo

E ceri intonati alle caviglie

come cori a cappella

in sagrestia d’anime sbarrate

Noi, che a cuori scalzi imbocchiamo

le ferite a raccogliere cieli

a raccoglierci[5]



[1] Mariateresa Bari, Nei sobborghi dell’universo in Sentieri le ferite, SECOP Edizioni, Corato 2024, pag. 21

[2] Calanchi, ivi pag. 51

[3] Le foglie sognano, ivi pag. 43

[4] Se ascolti la luce, ivi pag. 88

[5] Sentieri le ferite, ivi pag. 92


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