Caro Babbo Natale - Stefania Giammillaro


Stefania Giammillaro

Caro Babbo Natale, comu semu?

E’ da un po’ che non ti scrivo, troppo che non ti credo.

Che dici? Ci ho pensato troppo tardi?

Già hai ragione… a ridosso della Vigilia d’altronde…

Però, se decido di credere nuovamente a te, credo anche nella possibilità di un miracolo di Natale last minute no?

E poi, farò la brava con le richieste, te lo prometto.

Comincerei ad esempio con la “consapevolezza della transizione”!

Come? Menomale che dovevo fare la brava? Sono troppo complicata?

Ahaha! Caro mio Babbo di un Natale, non sei il solo uomo che lo sostiene, ahimè!

Sai, costretta a letto in questi giorni, ho recuperato la dimensione del riposo pensando a quanto siamo sempre più travolti dalla dimensione del “fare” nella sua quantità, tralasciando, se non addirittura perdendo di vista la qualità dello stesso. Allora “mi riposo” anche in questo contributo, scivolo per un attimo dalle rubriche in atto di Poesia all’Opera e la nuovissima Muddichi, seppur parti integranti di me, mi congedo anche dalle amate recensioni per dedicarmi un po’ alle riflessioni scaturite da questo otium forzato.

Beh sì otium ci sta, non sghignazzare!

L’otium ciceroniano inteso quale tempo libero da poter dedicare, con tranquillità, alle proprie attività intellettuali (Cicerone, De Oratore Libro I, 1-2) oppure riprendo e faccio mia la bella citazione di Robert Louis Stevenson secondo cui “dobbiamo rivalutare il significato di ozio dandogli la connotazione positiva di ricerca del piacere all’interno del difficile mestiere di vivere” (Elogio dell'ozio, 1877, pubblicato da "La vita felice" nel 2008)

E sul mestiere di vivere anche Pavese ha avuto parecchio da meditare e scrivere.

Il punto è caro Babbo Natale che mi sento proprio soffocare da tutta questa fretta e al contempo mi rammarico di essere redarguita di lentezza. Sta diventando un punto focale della mia oscillazione quotidiana, temo. Perché sai, avere finalmente la percezione della comodità della propria schiena sul materasso diventa terribile, quando vivi in quella stessa casa già da tre anni e fino ad allora non ci avevi mai fatto caso. Si crolla dal sonno con  abat-jour accesa, libro aperto sul petto e la tisana ormai fredda dimenticata sul comodino, oppure non si dorme in preda alle ansie, ai pensieri, ai malanni di stagione e non ci si vuole proprio avvicinare al cuscino-nemico e quindi, in entrambi i casi, neanche ci pensi se il materasso è comodo.

Ecco, io vorrei la percezione del materasso.

Perché se ho la percezione del materasso, ho la percezione della transizione!

Tutti a dire, nessuno escluso, di ritrovarsi ad un tratto ad avere 40, 50, 60, 90 anni.

Tutti a chiedersi com’è successo che sono già passati tutti questi anni? Ho girato l’angolo e mi sono trovato/a laureato/a, sposato/a con figli, separato/o, impiegato/o.

Invece, mi avrebbe fatto piacere accorgermi della prima ruga, del primo capello bianco, della prima macchia sul viso, conoscere la prima articolazione che aveva smesso di funzionare come un tempo, il primo muscolo che avrebbe ceduto, il primo dente del giudizio che sarebbe spuntato invece no, tié, tutte e quattro d’un colpo.

Ecco, vorrei chiederti una notifica Facebook o Whatsapp per gli altri segni d’invecchiamento o avanzamento che mi attendono: lo voglio proprio sapere come mi trasformo, assaporare il cambiamento, avere contezza del passaggio dalla me senza alla me con il capello bianco. Invece così sembra un po’ troppo un’imposizione dall’alto, non trovi?

Che poi ai piani alti sacunnu mia tu hai puru un sacco di compari, ma comunque…

E siamo a due richieste. Però è anche a te noto il detto del “non c’è due senza tre”, no?

Quindi proseguo e tu non sbuffare che si vede anche se hai la barba lunga.

Ebbene, la mia terza richiesta riguarda il “saper amare”. Chiunque ama e chiunque ama a proprio modo, siamo d’accordo, ma secondo me c’è differenza tra “amare” e “saper amare” e in quella differenza ci sta l’Universo intero e una o due Galassie almeno.

A me piacerebbe imparare a saper amare che in qualche modo implica l’essere educati alla “alterità”. Solitamente si ritiene che ci ama qualcuno che si avvicini al nostro modo di pensare, sia aderente ai nostri gusti, quando in realtà è l’obiettivo che deve essere comune, comune lo scopo, comune la direzione, non le modalità. Insomma, conta che si arrivi a costruire insieme quel ponte che unisce mondi, non che io trascini la sponda dell’altro dalla mia parte che poi il fiume non passa e se il fiume non passa le tossine non verranno trascinate via dalla corrente né… dalla relazione.

Non siamo educati all’alterità, ma all’identità e per tale ragione le relazioni diventano sempre più tossiche e sempre meno un toccasana per la salute emotiva di ciascuno.

Quanto vorrei che si riconoscesse nella diversità dell’altro sia amico/a, che compagno/a, che parente, una fonte di ricchezza da sublimare piuttosto che un’insidia da sconfiggere o evitare.

Ti piace questa richiesta? Ganza, no?

Come? Sono troppo romantica? Sono rimasta alle favole?

Senti, a coso barbuto! Mo’ mi ascolti e mosca!

Perché siamo arrivati alla fine di questa letterina.

Anvedi questo come saltella di gioia…

Ebbene vorrei concludere la mia lista dei desideri con una richiesta un po’ complicata.

Che bisbigli a mezza voce? Le altre non sono da meno?

E ora vedi questa come ti fa diventare bianco anche il panciotto rosso.

Dunque caro Babbo Natale simpaticone, per Natale vorrei riuscire una volta per tutte ad accettare me stessa, non tanto ad amarmi che significherebbe forse ancora troppo, ma riuscire a guardarmi dall’esterno e darmela ogni tanto una pacca sulla spalla.

Poi sai, è stato illuminante un articolo uscito di recente su La Stampa a firma del teologo saggista Vito Mancuso, nel quale si sostiene che “amarsi per ciò che si è veramente può essere un atto di umiltà e di conciliazione con i propri limiti”.

Dunque si distrugge completamente ogni riferimento narcisistico ed egotico correlato all’amor proprio e forse per la prima volta si parla di “umiltà”. Ma prima di amarsi, occorre “vedersi”, “scorgersi” per potersi conoscere. Insomma, vorrei invitare ad un primo appuntamento la me-stefanina e osservarla con occhi di tenerezza e comprensione e magari chiederle se va tutto bene, anzi, dirle che va tutto bene e regalarle una rosa rossa a stelo lungo ed invitarla a ballare. D’altronde, se si realizza la auspicata conciliazione con i propri limiti e si assume un’onesta cognizione dei propri “talenti”, si registra un passo in avanti verso il saper amare di cui sopra! Non trovi?

Allora, dai, visto che c’è questo richiamo posso permettermi un ultimissimo desiderio.

Vedi che se sbatti così la testa al muro, rischi di farti male.

Questa secondo me ti piace, concludo in bellezza ‘mbare fidati!

Per Natale 2024 vorrei che arrivasse tutta la mia gratitudine a chi fa parte, ha fatto o farà parte della mia vita.

Non un semplice e banale “Grazie”, buttato lì tipo i “come stai” disinteressati e di routine, ma una gratitudine che raggiunga sotto pelle tutti/tutte coloro che ho incrociato nel mio cammino sino ad ora e che incrocerò da qui in poi.

Vorrei che la riconoscenza si trasformasse in gratitudine nella misura in cui si “riconosce” la ricchezza che ha conferito l’ altro nella propria vita, estendendola a quanto ricevuto senza volerlo o semplicemente dall’esserci di quella persona anche a distanza. In tal modo, credo, si possa apprezzare sia il bene conseguito come attenzione non scontata, sia il male, come insegnamento da cui trarre giovamento anche per regolare distanze e tracciare confini e iniziare così a seminare a poco a poco quell’amor proprio.

Vedi? Se ci pensi, alla fine tutto torna…la percezione della transizione, lo sguardo sull’altro, il saper amare, l’amor proprio, la valorizzazione del nulla-scontato.

Tutto torna come i corsi e ricorsi storici, come il ciclo della vita, della natura, della staffetta, come questa esistenza la cui nascita segna comunque il primo giorno in meno vicino alla morte e per questa sorte bisognerebbe brindare sempre al minuto che passa, al secondo che avanza, urlando a squarciagola: “in alto i calici, in alto i cuori”!

Caro Babbo Natale, per me un prosecco e gli stessi giocattoli chiesti dai miei nipoti, grazie.

Buone Feste,

Tua,

Stefania


Commenti

  1. Ma la si può sottoscrivere in più di uno? Io ci sono... Grazie Stefania, godibilissima nella sua ironica serietà❤️

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  2. Brava. Concordo su ogni cosa. Mi ha colpito soprattutto la parte della vita che se ne fugge silenziosa alle nostre spalle. Già solo questo dovrebbe farci ragionare sulla necessità di fermarci. Magari scrivere come fai tu ogni giorno per rileggerci tra 20 anni e vedere come siamo cambiati. Ne parlavo qui: https://youtu.be/aZqdhepFZ-s?si=W9CwwkX-AvJPHlQm Buon Natale anche a te, ciao

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    1. Stefania Giammillaro24/12/24, 01:04

      Grazie Marco 🙏

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